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Acqua, lievito, cerali e luppolo. Eccoli gli ingredienti della birra. Dove la parte del protagonista se la giocano chiaramente in quattro. Ma se non ci fosse il luppolo? Non avremmo quel tipico sapore amaro prodotto da questa pianta appartenente alla famiglia delle cannabacee. Il luppolo, inoltre, � un antisettico: previene la formazione di infezioni nel corso della fermentazione della birra. Peccato, per�, che in Italia non siano tantissime le coltivazioni di luppolo e non esista ancora una filiera: �Possiamo parlare di una coltivazione di nicchia: si contano al massimo una novantina di ettari dedicati al luppolo. La pi� estesa, circa cinque ettari, si trova a Campogalliano, nel Modenese�, ricorda Katya Carbone, ricercatrice del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria).
Carlsberg Italia e Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) insieme per sostenere una filiera brassicola nazionale. Forniranno consulenza alle aziende, tecnologie di precisione e formazione per gli agricoltori. E si studiano tecniche per valorizzare gli scarti
E proprio il principale ente di ricerca italiano ha stabilito recentemente un accordo con Carlsberg Italia per promuovere la ricerca e l’innovazione sul luppolo coltivato all’interno del nostro Paese. I due protagonisti intendono fornire consulenza e supportare le aziende del luppolo nell’adozione di tecnologie di precisione per la gestione delle colture, svolgere attivit� di formazione per gli agricoltori impegnati nella produzione di luppolo o interessati ad avviarne la produzione, con particolare riferimento a tecniche colturali sostenibili nell’uso delle risorse naturali e ambientali.
Tra costi e investimenti
Di certo, i coltivatori di luppolo hanno bisogno di una spinta operativa da parte delle grandi aziende, visti anche gli alti costi per la coltivazione di questa pianta: �L’investimento iniziale per un ettaro coltivato a luppolo pu� superare i 40mila euro. Tuttavia, l’impianto ha una vita media stimata di 25-30 anni e pu� rappresentare quindi un ottimo investimento nel tempo�, spiega Carbone, la quale ricorda l’importanza dei macchinari per la raccolta, l’essiccazione dei coni di luppolo — da realizzare, quest’ultima, entro 4-5 ore al massimo, per stabilizzare il raccolto e non perderne la frazione aromatica – e la successiva pellettizzazione, per l’impiego nella produzione della birra.
Il partner giusto
E se il Crea ha ben chiare le necessit� primarie della coltivazione del luppolo, Carlsberg pu� essere il partner giusto per trovare una soluzione: �La valorizzazione del luppolo coltivato in Italia � una priorit� per Carlsberg Italia ormai da alcuni anni, tanto da averlo inserito nell’intera gamma di birre del nostro birrificio Angelo Poretti�, osserva Serena Savoca, Marketing&Corporate Affairs Director Carlsberg Italia. I tempi del progetto? �Prevediamo a primavera prossima un primo appuntamento con i ricercatori di Crea nel nostro Birrificio di Induno Olona: intendiamo rafforzare questo impegno a favore delle aziende italiane impegnate nello sviluppo della coltivazione del luppolo nel nostro Paese, contribuendo cos� alla crescita del ‘made in Italy’ nel settore agroalimentare e alla crescita della filiera produttiva del luppolo nazionale�, risponde Savoca.
Ma non chiamateli scarti
Intanto, � dal 2012 che il Crea sta lavorando sulla filiera delle materie prime brassicole anche attraverso lo studio e lo sviluppo di un modello di gestione delle colture sempre pi� sostenibile. Questo avviene in particolare nel caso del luppolo, per il quale alla raccolta si generano scarti importanti, essendo la pianta composta per un terzo da coni, e per due terzi da fusti e foglie: �Questi ultimi costituiscono una preziosa biomassa da recuperare e valorizzare: una sfida per la ricerca alla quale anche il Crea sta cercando di fornire una risposta utile per gli operatori di settore�, ricorda la ricercatrice del Crea, l’ente per il quale vale la regola aurea della scienza: nulla � impossibile, basta provarci e ricercare. �Il Crea � un ente di ricerca applicata, con una forte vocazione sperimentale che lo caratterizza: per questo il supporto all’agroalimentare italiano e al sistema Paese � nel suo Dna�, aggiunge Andrea Rocchi, presidente Crea.
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