Riforma delle pensioni, c’è un progetto, ecco i nuovi requisiti e le regole

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Un altro anno è passato è della riforma delle pensioni ancora non c’è traccia. Ad esclusione di alcune piccole novità introdotte per il 2025 dopo le altre piccole novità introdotte negli ultimi decenni, una vera riforma delle pensioni non ha trovato ancora il suo ingresso nel sistema. E sulle pensioni le regole generali erano e restano quelle Fornero.

Eppure ogni anno si parla sempre con insistenza di una vera riforma delle pensioni solo che evidentemente le difficoltà che gli esecutivi incontrano per varare provvedimenti di questo genere e per superare una volta per tutte la legge Fornero sono tante.

Ma dalle novità che vengono introdotte ogni anno il progetto riformatore sembra andare avanti. E va sempre nella solita direzione che, come vedremo, è esattamente l’opposto di ciò che è i lavoratori chiedono al sistema.

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Riforma delle pensioni, c’è un progetto, ecco i nuovi requisiti e le regole

I lavoratori italiani da una riforma delle pensioni non possono che chiedere una maggiore flessibilità in uscita. Significa che i lavoratori auspicherebbero di avere alcune possibilità alternative alle regole imposte dalla riforma Fornero per poter andare in pensione. Molte volte si è arrivati al punto di pensare ad alcune misure davvero favorevoli da questo punto di vista.

Perché diverse proposte negli anni sono state presentate e sono state anche discusse a più livelli senza mai arrivare al completamento. In ordine sparso per esempio abbiamo avuto una vecchia proposta di riforma delle pensioni con flessibilità in uscita e penalizzazioni strutturali di assegno in base all’età dell’anticipo.

Così era per esempio la proposta di legge contenuta nel DL 857 di Cesare Damiano. In quel caso si parlava di una pensione con tagli lineari di assegno per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile in vigore. Una proposta vecchia questa, ma attuale dal punto di vista delle ipotizzate nuove regole.

Dalla quota 41 per tutti alla pensione per quota

Poi fu la volta delle pensioni anticipate con quota 41 per tutti, una sorta di ritorno alle vecchie pensioni di anzianità che si prendevano prima della riforma Fornero con 40 anni di contributi versati senza limiti anagrafici. In origine era una quota 41 per tutti neutra da talgi e penalizzazioni. Poi è diventata una misura contributiva, perché solo così ci sono delle possibilità che dopo tanti anni si arrivi al varo della misura. Proposte interessanti sono state anche quelle di un vecchio presidente dell’INPS, cioè di Pasquale Tridico. Una proposta che divideva la pensione in due quote, una contributiva ed una retributiva.

Quella contributiva poteva essere percepita a 62 o 63 anni di età dal contribuente che poi a 67 anni di età avrebbe ricevuto anche la parte di pensione mancante, cioè quella calcolata con il più favorevole sistema retributivo. Infine è di qualche mese fa un’ipotesi promossa CNEL, ovvero da quel pool di esperti a cui il governo avrebbe dato incarico di varare una proposta seria di riforma della previdenza sociale. In quella proposta si prevedeva una vera e propria rivoluzione.

Cioè un cambiamento epocale anche dei coefficienti di trasformazione. Infatti si proponeva una pensione flessibile dai 64 ai 72 anni di età a libera scelta del lavoratore. Ma con premi per chi rimandava l’uscita oltre i 67 anni di età e con tagli di assegno per chi anticipava la quiescenza. La misura prevedeva 25 anni di contributi versati e quindi sarebbe stata una valida alternativa alla pensione di vecchiaia ordinaria con 20 anni di contributi.

Tagli praticamente obbligatori per la riforma delle pensioni

 

Appare del tutto evidente che il sistema previdenziale italiano va nella direzione di prevedere delle misure anticipate in alternativa alla legge Fornero, ma non favorevoli come i lavoratori si aspettano. Anzi, nella maggior parte delle ipotesi si parla di pesanti tagli di assegno.

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Per esempio anche di quella famosa quota 41 per tutti che la Lega e i sindacati volevano introdurre nel sistema e di cui abbiamo accennato in premessa, si parla di pesanti tagli di assegno. Il ricalcolo contributivo della prestazione diventa quindi una delle vie più gettonate per qualsiasi nuova misura. Lo dimostra anche la quota 103 recentemente confermata dal governo. L’alternativa al ricalcolo contributivo della prestazione è il taglio lineare di assegno.

Ed anche in questo caso non va meglio ai futuri pensionati. Una pensione con taglio lineare significa che il trattamento viene decurtato di una determinata percentuale moltiplicata per gli anni di anticipo rispetto ai 67 anni di età per esempio. Per esempio un taglio tra il 2% e il 3% per anno significa che a 62 anni di età si potrebbe andare in pensione, ma accettando di perdere tra il 10% e il 15% del trattamento pensionistico spettante rispetto alla pensione a 67 anni.



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