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AGI – Un 2024 con più ombre che luci per i grandi player del lusso. Il settore ha segnato il passo in tutto il mondo dopo il boom di vendite registrato negli ultimi anni. Per la prima volta dal 2008, ad eccezione dell’anno del Covid, i beni di lusso si avviano verso una flessione delle vendite del 2%, a 363 miliardi di euro. E’ il dato principale emerso dallo studio di Bain & Company in collaborazione con la Fondazione Altagamma. In tutto il mondo, a mostrare maggiore “resilienza”, ovviamente, sono i clienti più facoltosi, su cui si sono concentrate le attività di marketing dei diversi marchi, tra cui Hermés. Questo ha generato una certa crescita “al vertice della piramide” ma anche un forte calo nel resto della clientela, che si è contratta di 50 milioni di acquirenti.
Un mercato sempre più polarizzato, insomma, in cui solo un terzo delle aziende del lusso concluderà il 2024 con una crescita positiva, a differenza dei due terzi dell’anno precedente. Basta dare un’occhiata ai conti delle diverse maison per avere la conferma di questa battuta d’arresto. L’utile operativo di Kering per il 2024 dovrebbe essere pari alla metà di quello dell’anno scorso, a causa del crollo del 25% nel terzo trimestre delle vendite di Gucci, che costituisce quasi la metà del fatturato e due terzi dell’utile operativo. Anche Lmvh, il più grande gruppo del lusso del mondo (comprende Louis Vuitton, Christian Dior, Celine, Loewe, Kenzo, Givenchy, Fendi, Emilio Pucci, Marc Jacobs, Berluti, Loro Piana) ha riportato un calo delle vendite.
Nel trimestre al 30 settembre, il fatturato è calato del 3% a 19,1 miliardi di euro. L’unico ad andare controcorrente con una crescita delle vendite oltre il 10% è il gruppo francese Hermés, che si rivolge ai consumatori di lusso più facoltosi con lunghe liste d’attesa per le sue borse più popolari ma anche perché persegue un modello di business più difensivo. Per il 2025 gli analisti stimano un recupero moderato a livello globale, anche se la crescita delle vendite rimarrà modesta, con una marginalità delle imprese di circa +3%. La ripresa, secondo alcuni esperti, potrebbe essere guidata da cambiamenti macro-ambientali come modifiche normative apportate dai nuovi governi o la fine di alcuni conflitti.
Intanto per quest’anno la frenata non risparmia nemmeno l’Italia. Stando alle previsioni della Camera nazionale della moda, il settore allargato a occhiali, gioielli e beauty chiuderà il 2024 sotto i 96 miliardi di euro, in calo del 5,3% rispetto al 2023. A soffrire, in particolare, il comparto pelletteria e calzature con una flessione dell’8,1% (a livello globale avrà una contrazione tra il 3% e il 5%, a 78 miliardi di euro). A conferma della difficoltà vissuta dal made in Italy, i diversi tavoli aperti al Mimit e la proroga della cassa integrazione al 31 gennaio per venire incontro ai 30.000 addetti delle Pmi interessati dalla crisi, come riferisce il Sole 24 Ore.
Diverse le cause che, a livello globale, hanno fatto rallentare un settore che sembrava non dovesse mai conoscere la parola ‘crisi’. Una delle principali è il rallentamento del mercato chiave della Cina, alle prese con una fase economica fiacca che ridimensiona la fiducia dei consumatori. Finora il gigante asiatico è stato il Paese che ha speso di più nel lusso, coprendo la metà delle vendite globali. Ma a incidere sulla cosiddetta “stanchezza del lusso” ci sono anche altri fattori come i “rischi geopolitici”, dalle elezioni in diverse parti del mondo che hanno determinato cambi di governo ai conflitti che ancora non vedono la fine.
Non solo, anche l’incremento dei prezzi ha giocato un ruolo chiave. In sintesi, i prezzi sono schizzati talmente tanto mentre la qualità è rimasta invariata o addirittura si è abbassata che persino i consumatori benestanti cominciano a non spendere più tanto per questi prodotti. In Europa il prezzo medio di un bene di lusso è cresciuto del 52% dal 2019, e l’impennata è stata simile nel resto del pianeta. Questo perché, inflazione a parte, i grandi marchi hanno cercato di mantenere invariati i propri margini a fronte dell’aumento dei costi di produzione e dei materiali.
Altro “cigno nero” che potrebbe incidere anche sul 2025 sono le indagini a carico di diversi marchi per sfruttamento della manodopera lungo le catene della fornitura. Storici marchi come Armani, Dior, Loro Piana sono indagati per violazioni di questo tipo. E per un settore che punta tutto sull’immagine e sulla reputazione, come fa notare il Financial Times questo fatto potrebbe avere un impatto significativo anche sulle vendite. Per questo motivo alcuni gruppi come Chanel e Only The Brave, proprietaria di Maison Margiela e Diesel, hanno investito nell’acquisto dei loro fornitori e nella loro internalizzazione.
Di fronte ai diversi fattori di crisi, come riferisce il Ft, alcuni rivenditori online hanno chiuso bottega (Matchesfashion) o si sono ristrutturati sotto nuovi proprietari (Farfetch e Coupang; Yoox Net-a-Porter e Mytheresa), mentre le aziende con profitti in calo hanno cercato di consolidarsi (il proprietario di Saks Fifth Avenue, Hbc, ha acquisito Neiman Marcus con un accordo da 2,65 miliardi di dollari; la fusione tra Tapestry e Capri è fallita dopo mesi di battaglie in tribunale con le autorità di regolamentazione antitrust). Altri marchi come Burberry e Mulberry hanno intrapreso un corso diverso con un nuovo management dopo i danni subiti dai profit warning e dal calo delle vendite dovuto a spostamenti verso l’alta gamma poco tempestivi.
Molti gruppi hanno preferito intraprendere una strada conservativa e puntare sui loro pezzi iconici, ostacolando però in questo modo l’innovazione e la creatività. Altri hanno preferito rivoluzionare i vertici creativi. Bottega Veneta, Givenchy, Tom Ford, Celine, Lanvin e Calvin Klein sono tra i marchi che stanno puntando su nuovi stilisti. Fendi, Margiela, Helmut Lang e Carven attualmente sono senza un direttore creativo, e dovranno riempire quegli spazi. Quanto a Dior, Loewe e Gucci non si sa ancora se faranno nuove nomine o se continueranno con i loro attuali designer.
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