A Gaza il freddo e i bombardamenti mietono altre vittime tra i più vulnerabili. Nuovi raid israeliani in Siria e attacchi in Yemen (Irina Smirnova)

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La crisi umanitaria nella Striscia di Gaza si aggrava drammaticamente con l’arrivo dell’inverno. Oltre alla devastazione causata dai bombardamenti, il freddo sta diventando una minaccia mortale per la popolazione, specialmente per i neonati. Negli ultimi giorni, quattro neonati sono morti per ipotermia, un drammatico segnale delle condizioni disumane in cui vivono le famiglie di Gaza, private di ripari adeguati, riscaldamento e accesso ai servizi essenziali.

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Secondo il Ministero della Sanità palestinese, il bilancio complessivo delle vittime del conflitto supera ormai le 45.400 persone, con oltre 108.000 feriti. Le operazioni militari non si fermano: nella notte, almeno nove civili palestinesi, tra cui tre bambini, sono stati uccisi e molti altri feriti in una nuova ondata di raid aerei israeliani. Uno degli attacchi più gravi ha colpito un edificio di fronte all’ospedale Kamal Adwan, nel nord della Striscia, causando la morte di almeno 50 persone.

L’Unicef ha lanciato un appello urgente per un cessate il fuoco immediato. Edouard Beigbeder, Direttore regionale dell’Unicef, ha denunciato la situazione come insostenibile: “Non stiamo assistendo solo all’uccisione di bambini negli attacchi, ma anche alla loro morte a causa del freddo e della mancanza di ripari adeguati. Le nostre squadre continuano a distribuire indumenti invernali, coperte e forniture di emergenza, ma senza un accesso umanitario sicuro e senza restrizioni, non possiamo raggiungere tutti coloro che hanno bisogno di aiuto”.
Oltre 473 milioni di bambini – ovvero più di 1 su 6 a livello globale – vivono in aree colpite da conflitto, mentre nel mondo si verifica il più alto numero di conflitti dalla Seconda Guerra Mondiale, affermano i nuovi dati pubblicati dall’Unicef.

La percentuale dei bambini nel mondo che vive in zone di conflitto è raddoppiata – da circa il 10% nel 1990 a quasi il 19% di oggi – afferma l’Unicef secondo cui questo drammatico aumento dei danni ai bambini non deve diventare la “nuova normalità”. Alla fine del 2023, 47,2 milioni di bambini erano sfollati a causa di conflitti e violenze, con tendenze nel 2024 che indicano ulteriori sfollamenti dovuti all’intensificarsi dei conflitti, tra cui Haiti, Libano, Birmania, Palestina e Sudan. I bambini rappresentano il 30% della popolazione globale, e in media circa il 40% delle popolazioni rifugiate e il 49% degli sfollati interni. Nei Paesi colpiti da conflitti, in media più di un terzo della popolazione è povero (34,8%), rispetto a poco più del 10% nei Paesi non colpiti da conflitti .
Nel frattempo, la direttrice delle professioni infermieristiche e sanitarie di Emergency, Michela Paschetto, ha descritto la situazione come una delle peggiori mai affrontate: “Ho lavorato in Libia, Yemen, Afghanistan, ma ciò che ho visto a Gaza è una condizione estrema, sia per i combattimenti sia per le condizioni di vita della popolazione. Molte persone vivono in tende senza servizi di base, esposte al freddo e alla mancanza di cibo e cure”.

Gli ospedali di Gaza, già sovraffollati e privi di risorse, non riescono a far fronte alle richieste. Per questo Emergency sta lavorando alla costruzione di una nuova clinica a Khan Younis, dove saranno garantite cure di primo soccorso, stabilizzazione di emergenze medico-chirurgiche, assistenza ambulatoriale per adulti e bambini, e attività di salute riproduttiva. La scarsità di acqua, cibo e abitazioni, unita alla mancanza di servizi sanitari adeguati, rende vitale ogni forma di aiuto.
La comunità internazionale è chiamata ad agire per fermare una tragedia che non conosce fine. Gaza non può essere lasciata sola: è necessario garantire immediatamente un cessate il fuoco, aprire corridoi umanitari e fornire il supporto necessario per salvare le vite di chi lotta ogni giorno per sopravvivere.
Per rispondere a questa emergenza, Emergency ha avviato un progetto di supporto medico e logistico presso un Centro di salute primaria nella zona di al-Mawasi, a Khan Younis, nel sud della Striscia. La struttura, gestita dall’organizzazione locale Culture & Free Thought Association (CFTA), offre assistenza sanitaria di base a una popolazione in disperato bisogno.

I ribelli Houthi dello Yemen, sostenuti dall’Iran, hanno affermato che nuovi raid aerei hanno colpito oggi il nord del Paese, poco dopo aver rivendicato la responsabilità di un attacco missilistico contro Israele. Gli Houthi in una nota hanno affermato che i raid sono stati effettuati nell’area di Buhais del distretto di Medi della provincia di Hajjah, incolpando “l’aggressione statunitense-britannica”. Non ci sono stati commenti immediati da Londra o Washington. Gli Houthi hanno attribuito a Usa e Gb anche i raid di ieri sulla capitale Sanaa.

Nuovi bombardamenti israeliani in Siria: un conflitto che non trova fine

Intanto la Siria continua a essere teatro di violenze e instabilità, con una nuova serie di attacchi aerei israeliani che hanno colpito diverse zone del paese. Secondo fonti locali e internazionali, i bombardamenti hanno preso di mira principalmente aree vicine alla capitale Damasco e nella regione meridionale del paese, causando distruzione e un numero imprecisato di vittime.

Le forze israeliane hanno dichiarato che gli attacchi erano diretti a infrastrutture militari legate alla presenza iraniana e ai gruppi armati affiliati, considerati una minaccia alla sicurezza nazionale di Israele. Tuttavia, diverse fonti siriane riportano che tra le vittime ci sarebbero anche civili, inclusi donne e bambini. Gli edifici colpiti comprendono installazioni militari, ma anche abitazioni e strutture civili, aggravando una situazione umanitaria già al limite.

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Il conflitto siriano, ormai entrato nel suo quattordicesimo anno, ha lasciato il paese in una condizione di devastazione. Milioni di persone sono sfollate, mentre le infrastrutture di base – tra cui ospedali, scuole e sistemi idrici – sono state distrutte o gravemente danneggiate. Gli ultimi bombardamenti israeliani rischiano di peggiorare ulteriormente una crisi umanitaria che il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha definito “catastrofica”.

Organizzazioni umanitarie, come l’ONU e diverse ONG attive nella regione, hanno denunciato l’impatto devastante di questi attacchi sulla popolazione civile. “Ogni nuovo bombardamento sottrae vite, speranze e futuro a un popolo già martoriato,” ha dichiarato in un comunicato David Beasley, direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale.

Gli attacchi israeliani si inseriscono in un quadro più ampio di tensioni regionali tra Israele e l’Iran, con lo Stato Ebraico che ha più volte affermato che non permetterà a Teheran di stabilire basi operative nel paese vicino, portando avanti una strategia di “difesa preventiva” che include raid aerei regolari.
Damasco, dal canto suo, ha condannato duramente gli attacchi, definendoli una violazione del diritto internazionale e della sovranità siriana. Tuttavia, la capacità del governo di rispondere è limitata, considerata la debolezza delle sue forze armate dopo anni di guerra civile e le pressioni internazionali.

La comunità internazionale, seppur preoccupata per l’escalation, sembra incapace di agire in modo deciso per fermare le violenze. Gli appelli per una de-escalation e il rispetto del diritto internazionale si moltiplicano, ma le divisioni tra le principali potenze globali rendono difficile trovare soluzioni concrete.
In un momento in cui milioni di siriani continuano a vivere senza cibo, acqua e riparo adeguati, la priorità dovrebbe essere quella di garantire l’accesso umanitario e promuovere una tregua che permetta di alleviare le sofferenze della popolazione civile.
Con l’intensificarsi degli attacchi e la mancanza di un percorso chiaro verso la pace, il futuro della Siria appare sempre più incerto. Mentre i bombardamenti continuano a mietere vittime e distruggere vite, la popolazione siriana si trova ancora una volta a pagare il prezzo più alto di un conflitto che sembra non avere fine.

Nel frattempo, i servizi segreti americani e britannici starebbero preparando piani per effettuare una serie di attacchi terroristici contro obiettivi militari russi in Siria. A riferirlo è l’ufficio stampa del Foreign Intelligence Service (Svr) della Federazione Russa, riporta la Tass. “Il ruolo di esecutori è assegnato ai militanti del gruppo terroristico Isis, rilasciati dalle ‘nuove autorità’ dalle carceri di recente”, ha spiegato l’Svr.
Sono inoltre in corso negoziati fra la Russia e le nuove autorità al potere a Damasco sul mantenimento degli accordi per l’uso, da parte delle forze di Mosca, delle basi di Tartus e Kmeimim, anticipano fonti informate sulla trattative citate dall’agenzia russa Tass. Le autorità siriane non sono intenzionate ad annullare gli accordi nel futuro a breve, vale a dire fino a che i negoziati non saranno conclusi, si aggiunge. Mosca chiede che circostanze di forza maggiore, incluse azioni militari e cambi di regime, non siano pretesto per cancellare gli accordi sull’uso a lungo termine delle basi. In discussione anche le dimensioni del contingente militare russo in Siria.

Le Forze Democratiche Siriane (Sdf), sostenute dagli Stati Uniti, hanno intanto ribadito la convinzione che il gruppo jihadista dello Stato Islamico stia “cercando di approfittare del caos” nel Paese a seguito della caduta del regime di Bashar al-Assad per aumentare gli attacchi alle aree sotto il controllo delle autorità curde.

“Di fronte allo stato di tensione in Siria, agli attacchi lanciati dall’occupazione turca e dai suoi mercenari contro le regioni settentrionali e orientali della Siria e alla preoccupazione delle Sdf nell’affrontarli, l’organizzazione terroristica dello Stato Islamico sta cercando di approfittare del caos per rianimarsi e rafforzarsi al fine di compiere atti terroristici”, si legge in una dichiarazione delle forze curde. Gli attacchi jihadisti “prendono di mira principalmente le aree settentrionali e orientali della Siria, in quanto sono le più sicure e stabili”.

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“Questi attacchi avvengono in un momento in cui la regione sta vivendo tensioni sulla sicurezza a causa degli attacchi dell’occupazione turca e dei suoi mercenari”, hanno ripetuto, insistendo sul fatto che “è chiaro che il pericolo rappresentato dallo Stato Islamico sta aumentando man mano che l’occupazione lancia i suoi attacchi, il che evidenzia il rapporto organico tra lo Stato Islamico e l’occupazione turca”. I curdi hanno reso noto di aver ucciso 22 “mercenari” intorno alla città di Manbij, riferendosi ai membri dei gruppi ribelli sostenuti da Ankara, dopo aver “respinto con successo un attacco su larga scala” alle loro posizioni nell’area.

Irina Smirnova



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