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Attilio Barbieri

Secondo una simulazione che rimbalzava tempo fa tra i ministeri interessati – Politiche agricole, Sviluppo economico ed Esteri – sui circa 100mila ristoranti “italiani” sparsi nei 5 continenti almeno la metà non avrebbe nulla a che fare con il nostro Paese, con le specialità che distinguono la cucina italiana e nemmeno con le nostre ricette tradizionali. Da tempo le istituzioni, a vari livelli, progettano iniziative per individuare i ristoranti italiani autentici. Con poca fortuna, in verità, perché queste iniziative si scontrano con interessi giganteschi in gioco. A cominciare da quelli delle numerose catene che richiamano a vario titolo l’italianità dei piatti che servono ma che di italiano hanno ben poco. E talvolta nulla.

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A condurre la top 10 delle catene che scimmiottano il Belpaese e i suoi cibi è senza dubbio la corazzata giapponese Saizeriya (ex Maria-nu), quotata alla borsa di Tokyo, e con un fatturato equivalente a un miliardo e 374 milioni di euro. Fondata nel secolo scorso da Yasuhiko Shogaki, tuttora azionista di maggioranza con il 27% del capitale e presidente della società, ha aperto 750 ristoranti fra Giappone, Corea e Cina. L’insegna di Saizeriya è bianca, rossa e verde e a fianco dei claim in giapponese, nel logo, campeggia la dicitura italianissima “Ristorante e caffè”. Ma la parentela con il Belpaese finisce lì. A giudicare dai menu, però, di italiano c’è ben poco.

 

 

La catena italianeggiante con il maggior numero di punti vendita è però Caffè Nero, fondata a Londra nel 1997 da Gerry Ford, che ha 1.026 coffee shop in esercizio, sparsi in sette Paesi diversi. A Ford si deve una piccola rivoluzione nel gusto dei britannici. Fino alla fine degli anni Novanta la stragrande maggioranza degli inglesi beveva caffè solubile. Con la diffusione di Caffè Nero hanno imparato a conoscere l’espresso all’italiana. Ma anche in questo caso l’italianità di quel che si consuma è molto “ariosa”. E i legami con il nostro Paese si dimostrano ancora più labili nella piccola cucina: panini, zuppe e snack non assomigliano nemmeno di lontano a quelli che si consumano nella Penisola.

Interessante, poi, il caso di Vapiano, catena tedesca che ha aperto il primo punto vendita ad Amburgo nel 2002. A fondare l’insegna tre soci, all’epoca quarantenni: Kent Hahne e Klaus Rader con una precedente esperienza a McDonald’s e Mark Korzilius, rampollo di una famiglie di Colonia che aveva fatto i soldi fabbricando piastrelle. L’idea di Vapiano, magistralmente interpretata dall’architetto bolzanino Matteo Thun, è quella di trasmettere una forte sensazione di italianità. La forza dell’insegna tedesca è la pasta fresca, fatta in ogni punto vendita. Gli ingredienti? Tra molti altri prodotti, spiegarono i fondatori ad Alessandro Marzo Magno, «ne prendiamo qualcuno essenziale dall’Italia, come pomodori, prosciutto sia cotto sia crudo, mozzarella e naturalmente il vino prosecco».

10 Vapiano ha rischiato però di sparire. Dichiarata insolvente nel 2021, per gli effetti del Covid, è stata salvata dalla Love & Food Restaurant Holding, società della Repubblica Ceca che ne controlla l’intero capitale. È tutto fuorché italiana anche la catena di ristoranti La Tagliatella che conta 230 esercizi sparsi fra Spagna e Portogallo. Il claim principale recita: «Oltre 400 combinazioni di pasta e sughi nel menu!» La proprietà fa capo alla multinazionale iberica AmRest, un colosso da 2,4 miliardi di euro di ricavi all’anno. Poi ci sono le americane Sbarro e Fazoli’s. La prima nata sul successo riscosso dalla salumeria di Gennaro e Carmela Sbarro, aperta a Brooklyn negli anni Cinquanta.

Ora fa capo ad alcuni fondi d’investimento e può contare su 600 ristoranti in 28 Paesi. Storia simile per i ristoranti Fazoli, anche se il fondatore della catena è il giapponese naturalizzato americano Kunihide Toyoda. In Gran Bretagna operano Bella Italia e Carluccio’s. La seconda nata da un negozio di alimentari aperto a Londra nel 1999 da Antonio Carluccio e chiamato, appunto Carluccio’s, la prima partita sul network precedente “Bella Pasta”. In Francia, infine, sono diffuse Big Mamma e Mezzo di Pasta. Finite, rispettivamente, la prima nell’orbita del fondo britannico McWin e la seconda salvata dalla chiusura nel 2014 dopo che il tribunale ne aveva dichiarato la liquidazione giudiziaria.

 

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