In attesa del giudizio universale di un voto, che non è all’orizzonte, ognuno può pensare a sé: da FdI a Avs, i bilanci e le nuove sfide per i prossimi 12 mesi
È ormai a un passo il 2025. L’anno del Giubileo, quello della remissione dei peccati. Giubilo: sentimento di gioia incontenibile. Ma anche essere giubilati: venire messi a riposo dopo anni di servizio, onorato o meno. Anno di svolta, il 2025, per la politica. Si gira la boa della legislatura e si respira già l’aria delle elezioni, quelle in cui i leader si giocano tutto. Che il centrodestra parta in vantaggio non c’è dubbio. È animato da una convinzione. È consentita la concorrenza, lo sgambetto, perfino l’agguato. Ma quando si vota è un altro paio di maniche. Al momento della verità si sta tutti insieme. Non è così per il centrosinistra, perennemente alle prese con la necessità di un’unità assai difficile da raggiungere.
Ma intanto, in attesa del giudizio universale del voto popolare, ognuno pensa a sé. Giorgia Meloni, convinta che ciò che va bene a Fratelli d’Italia alla nazione conviene. Elly Schlein, sicura che la sua ragione prevarrà, ma che intanto è lei che deve fare il pieno. Antonio Tajani, che punta tutto sulla conquista della leadership dei moderati. Matteo Salvini, che spera di ritrovare il tocco magico che lo portò a conquistare il 34 per cento alle Europee. Giuseppe Conte, che pare essersi scrollato di dosso quel sabotatore di Beppe Grillo, ma che ora deve dimostrare di avere tela da tessere. Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che hanno fatto un balzo in avanti che nemmeno loro si aspettavano, e devono stare attenti a non perdere tutto. Maurizio Lupi, che ha infilato con abilità la sua scialuppa nel grande gioco. Matteo Renzi, bombardato da più parti, ma chissà se Indro Montanelli anche di lui direbbe «rieccolo». Carlo Calenda, lasciato ormai quasi solo sul campo di battaglia, che però non si arrende. E poi chissà che non nasca qualcosa di nuovo, con quelle sorprese che in Italia qualche volta arrivano e fanno saltare il banco.
Meloni, l’ingresso nell’anno nuovo più che solida (malgrado tutto)
Scrollatine dalle opposizioni, un po’ di calci negli stinchi dagli alleati, e pure qualche dabbenaggine dei suoi, ma Giorgia Meloni entra nel 2025 più che solida. Regge bene nei sondaggi, ha trovato un modo per stare con Ursula von der Leyen, gode dei buoni uffici di Elon Musk con Donald Trump, anche se deve trovare un non facile equilibrio tra la solidarietà atlantica e quella con l’Europa. Può essere l’anno della pace in Ucraina, anche se non si sa ancora a quale prezzo. Ma qualcosa di nuovo se la deve inventare, perché il giro di boa è la trappola per tutti i governi. I conti tengono, lo sviluppo un po’ meno. Il premierato si perde nelle nebbie, forse non per una dimenticanza, l’Autonomia differenziata traballa, la rissa eccessiva con la magistratura tradizionalmente non porta bene. L’impatto contenuto dell’immigrazione, anche nella percezione degli elettori, suggerisce un accanimento minore. Non può umiliare Salvini e Tajani, ma neanche lasciarli troppo a briglia sciolta. Schlein cresce, non così la sua capacità di tessere un’alleanza, e questo, almeno finora, le ha consentito di eleggerla come avversaria di comodo.
Salvini, una partita arrischiata tra il Ponte e il Viminale
Pellaccia dura, quella di Matteo Salvini. Si è preso Roberto Vannacci per scappottare le Europee, e pareva che il generale avrebbe presto fatto di lui un sol boccone, ma si è invece arenato sull’ormai stantio mondo al contrario. I luogotenenti fibrillano, borbottano, mugugnano, ma non pare che ce ne sia uno, a partire dai governatori, che abbia il fegato di provare a togliergli il timone della Lega. Si è schierato con Donald Trump primo tra quelli della prima ora, anche se le sue simpatie per Putin non gli spalancheranno facilmente le porte d’oltreoceano. Ha pure avuto la meglio in tribunale sulla vicenda migranti, sentenza che non lo ammorbidisce nella sua sfida alla magistratura. Ma i voti sono quelli che sono, immagine sbiadita di quelli di una volta, con Giorgia irraggiungibile e con Tajani che sta sempre lì lì per soffiargli la piazza d’onore. Anche la voglia di tornare al Viminale, osteggiata dalla premier, sa un po’ troppo di già visto per garantirgli un vero rilancio. Rimane il ponte sullo Stretto, che è un terno al lotto, per le infinite variabili, che rendono improbo un taglio del nastro elettorale.
Tajani, il presidio del centro. Anche grazie alla Famiglia
Forza Italia appare oggi una realtà consolidata della politica italiana. Era tutt’altro che scontato, anzi fino a poco tempo fa ci si interrogava su chi avrebbe divorato o fatto a brandelli il partito alla morte di Silvio Berlusconi. È quindi una medaglia sul petto di Antonio Tajani, che è riuscito perfino a evitare che le lotte intestine prendessero il sopravvento. Certo, non ha fatto tutto da solo, la Famiglia è rimasta al suo fianco a proteggere la creatura del Padre. Ma sul fronte, tutti i giorni, ci sta lui, sia come leader che come ministro degli Esteri. Mentre altri ancora si interrogano su come costruire il centro, Tajani la guida la truppa dei moderati, specie dopo il tracollo del Terzo polo, travolto dall’ego smisurato dei suoi alfieri. Ma anche per lui non ci sono sonni tranquilli. È probabile che prima o poi nasca un’area centrista vicina alla sinistra, e pure l’amico Lupi prova a sottrargli consensi. Poi c’è la sfida eterna con Salvini, croce e delizia sia sulla politica estera, che sull’Autonomia differenziata e sui migranti. Ma forse deve soprattutto guardarsi da Giorgia Meloni, che, un centimetro alla volta, prova anche lei a inglobarlo, il centro.
Schlein. È la sola a poter sfidare Giorgia. Ma con chi?
Nelle regioni ha un po’ vinto e un po’ perso, ma il suo partito l’ha rafforzato. I capi corrente devono stare un po’ zitti, anche perché sarà lei, Elly, a scegliere i candidati alle elezioni. L’apertura ai Cinque Stelle, che tante critiche le ha procurato, l’ha vista distanziare di parecchie lunghezze Giuseppe Conte, che all’indomani delle Politiche pareva sul punto di acciuffare il Pd e magari sorpassarlo. Pure all’ala riformista dei dem ha dimostrato che, tutto sommato, non è elettoralmente determinante. E infine è Elly, al momento, l’unica che può contendere la leadership a Giorgia Meloni. Ma lo sa pure lei che dovrà darsi una strategia, prima o poi. Perché, così come è ora, può aspirare solo ad arrivare seconda. Conte si è stufato di farsi spolpare con la tattica del frega piano. Le manca un centro acchiappavoti, con Matteo Renzi che pure i suoi non lo vogliono, con Carlo Calenda che non si fida, con Giuseppe Sala al quale non dà via libera, perché qui è lei che poco si fida, anche se teme di più le ipotesi del nuovo Prodi, vedi Ernesto Maria Ruffini. È convinta che la legge elettorale obbligherà a unirsi, ma non è mica detto.
Conte: il re della foresta a 5 Stelle ha bisogno di idee nuove
I leoni non muoiono di vecchiaia, sono quelli più giovani che li azzannano. E quindi ci sta che sia Conte, una volta liquidato Grillo, a essere l’indiscusso re della foresta pentastellata. Ma quanta fatica. Sondaggi alla mano, ha lasciato sul campo meno consensi di quanti fosse lecito aspettarsene. Però il futuro appare irto di salite. Di tornare alle origini non se ne parla, anche perché in genere non porta bene. E allora c’è tutto da inventare, perché eliminare la mannaia del secondo mandato non basta di per sé a scaldare gli animi. E poi c’è da regolare i conti con Elly, che tra baci e abbracci gli ha soffiato un sacco di voti. Ma anche far troppo da soli, rendendo meno solida l’alternativa alla maggioranza, rischia di essere controproducente. Nel ruolo di Giuseppi è stato abile a aprire la porta a Trump, ma si sa, riconoscenza non vide mai re. E anche la via della pace in Ucraina, da lui percorsa anche al costo di concessioni a Putin, rischia di sgonfiarsi. Ora è tutto sulle sue spalle, e Conte deve tirar fuori idee nuove, con le quali sostituire quelle oniriche e magari velleitarie del fondatore, che avevano fatto la differenza.
Lupi: i voti da cercare in casa degli «amici»
Il credo di Maurizio Lupi è soprattutto uno: «Non ho mai visto un governo cadere per le spallate dell’opposizione, ma sempre per liti interne alla maggioranza». È il mantra del centrodestra, l’eredità lasciata da Silvio Berlusconi, che vede alfiere principalmente il leader di Noi moderati insieme ad Antonio Tajani. A gennaio Maurizio e i suoi entreranno nel Ppe, dove c’è già l’amica Forza Italia. Certo, la regola di guardarsi dagli amici vale pure per loro. Perché pur alleati cercano voti nello stesso piatto, la variegata e dispersa area centrista. E intanto Lupi ha iscritto nelle sue file, dopo Michela Vittoria Brambilla, anche Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace, sottraendole, ormai è diventato uno sport nazionale, al leader di Azione, Carlo Calenda. Lupi giura che punta a riconquistare chi diserta le urne, più che a fare razzia in famiglia. Ma guardatevi dal contropiede dei mansueti.
Calenda: la corsa a ostacoli per non restare solo
Emporio Azione. Stazione di posta dove ci si ferma un po’ prima di ripartire per altre direzioni. È la maledizione di Carlo Calenda, che era partito forte con la corsa a conquistare il Campidoglio, senza però riuscire ad arrivare al ballottaggio. Poi il no a Enrico Letta e l’avventura del Terzo polo, con Matteo Renzi che gli aveva promesso di farsi quasi da parte. E poi ancora il no a Emma Bonino e il naufragio alle Europee. E infine, sempre poi, un qua e là alle amministrative, raramente fortunato.
In mezzo Matteo Renzi che gli soffia mezzo gruppo parlamentare. Quindi ci si mette pure Lupi che gli scippa Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace. Il campo largo non lo convince e i Cinque Stelle di Giuseppe Conte li schifa. Campione di coerenza, sia detto senza ironia, in una politica spregiudicata. Chi lo conosce sa che non si arrenderà mai. Ma accidenti se la strada è in salita come il Calvario.
Renzi: un politico all’angolo. E con mille vite
L’ammiccamento iniziale con Giorgia Meloni è fallito, perché quella mica ci casca. Il passaggio a Elly Schlein per farle fare gol alla partita del cuore è bastato perché mezzo Pd gli si rivoltasse contro. Giuseppe Conte gliela ha giurata e lo ha buttato fuori dall’alleanza in Liguria, e chi se ne frega se senza di lui hanno perso. Carlo Calenda con lo può vedere nemmeno dipinto. Gli fanno pure una legge per togliergli i soldi degli arabi. L’Anm gli spara contro. Ci sarebbe da dire: ragazzo mio, come sei messo male. Ma di Renzi si tratta, e vendere la sua pelle è per lo meno prematuro.
Bonelli e Fratoianni: il duo rivelazione al test della tenuta
Mica in tanti avrebbero scommesso un centesimo su Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Ma hanno azzeccato tre mosse: mai divisivi quando si vota. Candidature fortunate, soprattutto quella di Ilaria Salis, dopo lo scivolone con Soumahoro. E poi la posizione sulla guerra in Ucraina, per incassare la rendita pacifista. E ora nei sondaggi stanno sopra il sei per cento. Per paradosso, è proprio l’atteso arrivo della pace che può indebolirli. Con Elly decisa a piazzare robustamente a sinistra il suo Pd. E che quindi, dopo aver somministrato la sua cura a Conte, ha tutta l’intenzione di riprendere da loro ciò che crede suo.
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