Il cuore africano della rivoluzione industriale cinese

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La Cina utilizza risorse africane per sostenere la sua crescita tecnologica. L’Africa ha certamente bisogno di partner globali che portino capitali e conoscenze tecnologiche, ma gli accordi dovrebbero essere equi, trasparenti e rispettosi dell’ambiente.

Cos’è “Made in China 2025”

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La Cina, con il programma “Made in China 2025”, guida un’offensiva industriale globale per diventare una superpotenza manifatturiera in settori strategici come IT avanzato, robotica e veicoli elettrici. Il piano, articolato fino al 2050, mira all’indipendenza tecnologica e all’autosufficienza del mercato interno, sostenendo l’industria con sussidi, trasferimenti tecnologici e la strategia di “dual circulation”, modello economico integrato che punta a rendere la Cina meno vulnerabile alle pressioni esterne, garantendo al contempo una crescita sostenibile e un maggiore controllo sulle dinamiche economiche globali.

Dominando la catena del valore dei minerali metallici, la Cina utilizza una strategia geopolitica per garantire risorse essenziali e rafforzare il proprio sviluppo industriale, acquisendo una leva politica nei confronti dei paesi dipendenti. Pechino rafforza la sua influenza nella quarta rivoluzione industriale, costringendo le imprese estere a localizzare la produzione nel paese per accedere al mercato cinese.

Le mani di Pechino sulle miniere africane

Negli ultimi vent’anni, l’Africa, che è ricca di risorse minerarie cruciali per la transizione energetica, è stata una fonte essenziale per l’approvvigionamento minerario della Cina, che alimenta il suo sviluppo industriale. Tra il 2005 e il 2018, la presenza cinese nel settore minerario africano si è ampliata, evolvendosi con dinamiche geopolitiche, economiche e ambientali. Eventi come la pandemia, il conflitto russo-ucraino e la guerra commerciale Usa-Cina hanno trasformato il valore strategico dell’Africa. La presenza iniziale di Pechino nel continente africano era limitata a poche miniere, prevalentemente nel sud, con un focus su ferro e cromo, riflettendo una strategia pragmatica di ingresso.

Figura 1

Nel 2018, la situazione era già notevolmente cambiata: le miniere controllate da Pechino erano distribuite in diverse regioni, tra cui quelle dell’Africa occidentale e centrale. Le acquisizioni cinesi nel settore del rame e del cobalto, in particolare nella Repubblica democratica del Congo, hanno consolidato il ruolo dell’Africa come fornitore di risorse strategiche per la transizione energetica globale.

Figura 2

Dal 2005 al 2018, il valore delle miniere africane sotto controllo cinese è aumentato fino a rappresentare circa il 7 per cento della produzione mineraria africana complessiva. L’incremento è il risultato di investimenti mirati e di acquisizioni strategiche, come quella della miniera di Tenke Fungurume, una delle più grandi per la produzione di rame e cobalto al mondo. Il dato del 7 per cento è però sicuramente sottostimato per la consolidata pratica di segretezza nei contratti di approvvigionamento e sfruttamento delle risorse, una realtà diffusa nelle operazioni cinesi in Africa, che ne alimenta l’opacità.

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Figura 3 – Quote di mercato della produzione mineraria totale in Africa

Fonte: Mineral Economics Raw Materials Report

Il cambio di rotta è reale?

L’Africa ha bisogno di partner globali che portino capitali e conoscenze tecnologiche, ma gli accordi devono essere equi e rispettosi dell’ambiente. L’estrazione delle risorse deve garantire la sostenibilità, proteggendo il continente per le generazioni future. Il valore strategico dell’Africa per la Cina si è trasformato: risorse naturali, mercati e voti nei forum internazionali rimangono centrali, ma i cambiamenti geopolitici hanno ridefinito le relazioni sino-africane.

Il Forum on China-Africa Cooperation (Focac) 2021 ha evidenziato un cambio di rotta nella strategia cinese verso l’Africa, puntando sulla riduzione dei finanziamenti pubblici per le infrastrutture a favore della finanza privata e promuovendo l’energia pulita, con particolare attenzione a idrogeno e gas. La Cina si è inoltre posizionata come leader del sud globale, sottolineando il proprio impegno nella governance climatica, anche attraverso la prima Dichiarazione congiunta sulla cooperazione per il cambiamento climatico, che promette sostegno ai paesi in via di sviluppo nelle istituzioni multilaterali.

L’Africa, sempre più centrale nella transizione energetica globale, è chiamata a cogliere questa opportunità con una visione strategica. Tra le priorità emergono la necessità di negoziare investimenti vantaggiosi, garantire standard ambientali elevati, diversificare i partner economici per ridurre la dipendenza dalla Cina e promuovere la trasformazione industriale delle risorse locali, puntando a un maggiore valore aggiunto.

Il futuro del continente dipenderà dalla capacità di guardare oltre l’estrazione di materie prime, come oro e diamanti, e costruire un modello di sviluppo sostenibile e innovativo.

Tuttavia, la presenza cinese solleva interrogativi su trasparenza e sostenibilità. Molte miniere sotto controllo cinese operano con standard ridotti, rendendo difficile il monitoraggio indipendente e complicando la valutazione degli impatti sociali e ambientali. Le attività estrattive cinesi sono spesso associate a sfruttamento del lavoro e degrado ambientale, in contrasto con gli impegni dichiarati al Focac 2021 per energia verde e lotta al cambiamento climatico. È quindi necessario un maggiore allineamento tra gli impegni internazionali di Pechino e le sue pratiche locali.

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La pandemia di Covid-19 e il conflitto russo-ucraino hanno messo in evidenza le fragilità delle catene di approvvigionamento globali. In questo contesto, la Cina potrebbe intensificare la sua presenza in Africa per ridurre la dipendenza da altre regioni e consolidare il controllo sulle risorse strategiche. Tuttavia, il rallentamento economico e le crescenti pressioni geopolitiche potrebbero limitare la sua espansione.

L’Africa resta cruciale per la Cina, non solo per le risorse minerarie, ma anche per progetti legati all’energia e al clima. La relazione è però segnata da sfide come mancanza di trasparenza, governance debole e sostenibilità limitata. Il futuro della cooperazione dipenderà dalla capacità dei paesi africani di elaborare strategie che superino la semplice esportazione di risorse, promuovendo lo sviluppo sostenibile e valorizzando le proprie ricchezze naturali e umane.

Parallelamente, l’Occidente cerca di ridurre la dipendenza dalla Cina, investendo in nuove filiere di approvvigionamento e promuovendo accordi con partner africani. Ma la diversificazione ha costi significativi, sia economici che politici. Nel lungo termine, sarà essenziale che i paesi africani negozino accordi più equi e sostenibili, trasformando le proprie risorse in un motore di sviluppo e prevenendo conflitti e sfruttamento.

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Maurizio Barbieri

paliotta

Professore Ordinario di Geochimica presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente della Facoltà di Ingegneria della Sapienza Università di Roma. Esperto geochimico del Gruppo di Lavoro Permanente Acque Minerali e Termali del Ministero della Salute. Esperto valutatore di progetti di ricerca nazionali ed internazionali. Componente eletto del Consiglio di Amministrazione della Sapienza Università di Roma (2009-2016). Membro del Comitato Tecnico Scientifico sulla Sostenibilità della Sapienza Università di Roma. European Chair (Italy) of the Society for Environmental Geochemistry and Health. Coordinating Editor della Rivista Environmental Geochemistry and Health, Associate Editor della rivista Applied Water Science, Editorial Board Member delle riviste Scientific Reports, Water, Geochemistry, Journal of African Earth Sciences, Arabian Journal of Geosciences, Euro-Mediterranean Journal for Environmental Integration nonché “Guest Editor” di 4 volumi speciali. Autore di più di 90 pubblicazioni indicizzate Scopus.

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