Gracia Nasi, manager in nome della libertà

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Nel contesto dell’Europa del primo Cinquecento, le comunità ebraiche rivestivano un ruolo fondamentale nell’economia e nel commercio. L’aumento dell’intolleranza religiosa, però, portò progressivamente alla loro emarginazione dalla vita sociale e alle conversioni al cristianesimo, se non forzate, quantomeno indotte dalla condizione alla quale altrimenti sarebbero stati destinati. Questo fenomeno diede origine alla figura dei conversos o marrani, ex ebrei che, pur accettando formalmente la nuova fede, conservavano spesso legami profondi con la propria identità originaria.

LE CONVERSIONI rispondevano, da una parte, al bisogno di chi desiderava continuare a beneficiare dei servizi economici garantiti dagli ebrei e, dall’altra, permettevano ai convertiti di tutelare il proprio status economico e sociale. Questa situazione, tuttavia, generò un clima di sospetto e persecuzione, con gravi ripercussioni sulla vita dei marrani, soprattutto di coloro impegnati in attività commerciali e finanziarie. Nonostante l’ostilità dell’ambiente, questi individui, forti delle loro risorse economiche e di un’eccezionale capacità di adattamento, riuscirono spesso a prosperare.

Tale successo, tuttavia, aveva un costo interiore: l’obbligo di adottare comportamenti ambigui e pragmatici per sopravvivere. Questa «doppia vita» finì per creare una frattura tra principi etici e pratiche economiche, alimentando un atteggiamento disincantato e orientato al pragmatismo. Proprio questa mentalità può essere considerata un elemento fondativo del capitalismo moderno, caratterizzato dalla capacità di adattarsi alle circostanze e dalla ricerca dell’efficienza al di là delle barriere ideologiche e morali.

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IN QUESTO CONTESTO si collocano la vita di Gracia Nasi e quella di suo nipote Joseph Nasi. Sono entrambi personaggi storici, ma il secondo è stato uno dei protagonisti del romanzo di Wu Ming, Altai, mentre Gracia è al centro di La Señora. Vita e avventure di Gracia Nasi (Laterza, pp. 186, euro 18) di Maria Giuseppina Muzzarelli, che è invece un saggio, ma dalle qualità di un romanzo. Complici sono le vicende di cui questa donna è stata protagonista, ma anche la nitida scrittura che crea un copione avvolgente per raccontarcele.

Gracia Nasi nasce nel 1510 a Lisbona in una famiglia di ebrei sefarditi che sono stati costretti alla conversione; Gracia prende il nome di Beatriz de Luna. Nel 1528 sposa Francisco Mendes a Lisbona, un matrimonio che le offre accesso al controllo di un’immensa fortuna. La sua vita si intreccia quindi con la rete familiare dei Mendes, mercanti e banchieri straordinari, che sotto la minaccia dell’Inquisizione sono costretti a reinventarsi, muovendosi abilmente tra religioni e geografie ostili. Il potere e la ricchezza non la preservano dalle persecuzioni: nel 1535 Francisco muore, lasciandola vedova e alla guida dell’impresa di famiglia. Poco dopo, con l’istituzione dell’Inquisizione portoghese nel 1536, Gracia abbandona Lisbona insieme alla sorella Brianda, trasferendosi ad Anversa. Qui, nel cuore finanziario d’Europa, la señora consolida il ruolo della famiglia come protagonista del commercio internazionale, ma la morte del cognato Diogo nel 1543 scatena una lite ereditaria con Brianda, che ne contesta il controllo.

LA CONTESA tra le due sorelle non è solo una lotta per la ricchezza, ma anche il riflesso di una condizione esistenziale ambigua, spiegata con molta sottigliezza nel libro. Il conflitto raggiunge i tribunali di Venezia nel 1545 e di Ferrara nel 1548, con sentenze alterne che non fanno altro che acuire la frattura familiare, che culmina nel rapimento della figlia di Gracia.

La señora, nel frattempo, continua a spostarsi tra i centri principali della diaspora sefardita e può tornare alla religione originaria. A Ferrara trova un ambiente più accogliente, grazie alla protezione di Ercole II d’Este, che vede nella comunità ebraica una risorsa economica. Il trasferimento definitivo di Gracia a Istanbul nel 1552 segna un nuovo capitolo della sua vita. Sotto la protezione del sultano Solimano il Magnifico, che accoglieva gli ebrei in fuga dall’Europa, Gracia trova finalmente un luogo dove può agire liberamente come ebrea. Il progetto di Tiberiade, concesso a Gracia nel 1560 dietro pagamento annuo al sultano, diventa il simbolo della sua visione utopica: creare una colonia di rifugio per gli ebrei perseguitati, un’idea pionieristica che anticipa i concetti moderni di sionismo. È in questi decenni che la sua vicenda si lega a quella del nipote Joseph, al quale è collegata da una parentela strettissima: è figlio di un fratello di Gracia e della sorella del marito, Francisco Mendes; a sua volta, Joseph ne sposa la figlia. Insomma, un caso di endogamia da manuale.

SCRIVE MUZZARELLI nell’introduzione: «Cosa ci insegna Gracia? Cosa si ricava da questa sua tumultuosa e intricata vicenda? Lo si scopre leggendo, ma a voler dare una piccola anticipazione direi che ci mostra cosa può saper fare una donna se messa nelle condizioni di agire», riuscendo a «tenere insieme identità e affari» in modo straordinario. Nonostante questo, l’autrice evita il ritratto agiografico: la Señora è una dura padrona, al pari del nipote, e questo dà fascino al racconto di vite aspre in tempi spietati di guerre e persecuzioni. Sebbene non esistano libri «definitivi» (ed è bene così), La Señora. Vita e avventure di Gracia Nasi è opera imprescindibile per chi voglia conoscere la storia di questa donna fuori dall’ordinario e del contesto in cui si trovò ad agire.



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