TRA USA E CINA/ Le scelte obbligate del Governo in un mondo (di guerre) fuori controllo

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Il mondo ormai è fuori controllo. Con 56 conflitti dichiarati e un numero imprecisato di tensioni, il panorama alle persone comuni appare in balia di forze oscure difficili da decifrare. Crisi che per di più, per effetto della globalizzazione, ormai realizzata e totalizzante, avvengono ad un ritmo frenetico. In pochi giorni si sono accavallati fatti impensabili. Mentre ancora sbalorditi assistevamo l’8 dicembre al crollo del regime di Assad e all’ascesa di un terrorista dell’Isis improvvisamente diventato paladino della libertà davanti ad un’attonita e distratta Russia, ecco che venivano sospese le elezioni in Romania per sospette ingerenze russe e pochi giorni prima, dall’altro lato del mondo, in Sud Corea, veniva proclamata la legge marziale.



Moltiplicazione di eventi, interconnessioni lampanti e nascoste, effetti valanga e catastrofi impreviste. Tutto che avviene entro un esoscheletro di informazioni, di media, di dati, che avvolge l’umanità e la trasforma in un unico indistinto. Secondo alcuni scienziati il mix di globalizzazione, tecnologia e informazione è qualcosa di troppo per essere gestito dalla mente, dalla nostra tradizionale dotazione biologica e antropologica. E infatti le reazioni sono impulsive, instabili, emotive e apatiche allo stesso tempo. Insomma ci troviamo in una condizione definita come ontologia dell’inevitabile. Incatenati in una condizione senza speranza, perché incapaci di qualsiasi progetto. Da qui, ecco la crisi della politica, perché se alla politica, quella vera, togliamo la capacità di immaginare il futuro, di costruire un ponte dal presente ad un domani migliore, se sparisce la speranza, che cosa rimane? Se va bene, un po’ di amministrazione. Poco per gestire il mondo.

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Ma, c’è sempre una avversativa, la volontà di progetto, perché la speranza, da sola, serve agli individui, è una sorta di stella polare, è un fuoco che da forza alle persone, è energia, ma per trasformarsi in azione ha bisogno di una mappa del territorio, di una lettura del presente. E le entità collettive non sono qualcosa di molto diverso dagli individui perché di essi sono fatte. Per ricostruire chiavi di lettura che creino un ordine leggibile, che trasformino tratti oscuri in segni dotati di significato, abbiamo bisogno di rifarci ai classici e alla storia. Non possiamo pensare di inventarci ex novo il mondo. Certo le dinamiche avvengono in contesti diversi, e i fatti sociali non sono collegati da leggi. Ma il passato qualcosa ci dice, ci fornisce qualche indicazione.



Facendo finta di avere analizzato il contesto e la genesi del presente ordine internazionale e di aver raggiunto un accordo di massima sulla sua natura, quello che sembra certo è che le crisi locali e regionali, i relativi conflitti armati, avvengono in un modo non più unipolare, dominato da una super potenza egemone, gli Stati Uniti, ma in una realtà multipolare. Con tre caratteristiche ben marcate, il numero elevatissimo di attori e di medie potenze che giocano la propria partita in autonomia, ma in compagnia di una superpotenza in ascesa come la Cina che svetta per forza e che quindi occupa un posto a sé. L’altro dato è che tutti questi Paesi non si riconoscono in tutto o in parte nelle istituzioni internazionali, nelle norme, perfino nei riti, visti come costruiti su misura sulle potenze occidentali finora egemoni.

La prima dinamica che risulta è che la gestione di un mondo multipolare è molto più difficile e imprevedibile che in quella bipolare della Guerra fredda, mondo manicheo a somma zero, con prese di partito e scelte di campo a trecentosessanta gradi, che coinvolgevano ogni aspetto della vita sociale e financo personale, dove se vinceva l’uno perdeva l’altro. Adesso, se il mondo è uno e piccolo, senza aree franche, le palline all’interno del flipper sono moltiplicate. E il rischio incidente fortuito decuplicato e imprevedibile! Anche perché l’esistenza di più attori fa sì che i margini di manovra per le maggiori potenze, e specialmente per quella che occupa ancora un ruolo predominante, siano maggiori.

Insomma, gli USA possono anche delegare ad altri, o sperare che altri gestiscano le varie patate bollenti. Esempio classico è il caso del caotico ritiro americano dall’Afghanistan voluto da Biden. Che i talebani minaccino Cina, Pakistan, alleati afghani, la stessa Russia, poco importa nel calcolo costi-benefici. Altro caso, l’intervento in Libia, dove gli americani hanno lasciato un vuoto dopo la destituzione di Gheddafi, lasciando campo libero a russi e turchi con la conseguenza di far confrontare gli alleati francesi con Mosca negli Stati sub-sahariani. Fatti che hanno segnato il tracollo dell’influenza di Parigi in quella regione da sempre pensata come cosa propria. È da queste considerazioni che nasce la politica estera di Trump. Se l’Europa non è in grado di badare a se stessa, alla sua sicurezza, è un suo problema, non ci sono vincoli al di là dell’interesse nazionale. In un mondo caotico, sono necessarie alleanze ad hoc, bilaterali, non rigidi protocolli come prevede la NATO, che costringono a procedure consequenziali.

Ed ecco la storia. Un esempio nel passato su come gestire il multilateralismo di concerto lo ritroviamo in quella potente organizzazione messa su dal Congresso di Vienna quando il mondo di allora, gli Stati europei, si sedettero intorno ad un tavolo per fronteggiare minacce percepite che coinvolgevano tutti i governi, superando le numerose divergenze. Consenso su norme, elaborazione del principio di legittimità, e meccanismo di gestione dinamica dell’ordine internazionale, cioè equilibrio di potenza. Questi i due pilastri del vecchio mondo.

Oggi il mondo non è confrontabile nemmeno alla lontana, ma allargamento nella gestione, nuove norme non più dettate dal sovrano occidentale e procedure che tengano conto dei Paesi in ascesa, cioè un nuovo principio di legittimità, sono tutti elementi ineludibili per la costruzione di una cornice di sicurezza collettiva.

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A turbare i desideri, ecco però sbucare fuori dal cilindro della storia l’incubo della “trappola di Tucidide”. Ecco che l’ascesa della Cina appare come un formidabile catalizzatore di forze e di crisi, potenza revisionista per antonomasia che sembra turbare i sonni di ogni presidente americano. Perché il passato ci dice che nessuna potenza in declino cede serenamente il potere. Atene, minacciata da Sparta, va alla guerra. Da qui il comportamento cinese, da quando, in quel fatidico dicembre del 2001, Pechino è entrata nel WTO. Spostare la sfida sul piano economico, stringere i rapporti con l’antagonista, diventarne il maggior partner commerciale, comprane il debito e trasformarsi nella fabbrica americana oltre mare, in pratica fondersi in una strana simbiosi. E prendere tempo, crescere intanto sul piano scientifico, tecnologico, economico, e militare, sorpassare il mondo, superare la storica dicotomia città-campagna, creando finalmente quel mercato interno che è lo storico obiettivo fallito dall’Unione Sovietica di una volta. Cina forte di un partito comunista erede di Confucio e della sua millenaria classe di mandarini. Impero di mezzo silente, sempre schierato però, senza clamore, evitando ogni conflitto armato, anzi cercando di guadagnare da ogni crisi. Dall’Ucraina al Medio Oriente. Riuscirà questa strategia a non irritare il gigante americano confuso e disorientato?

Bene agisce in questo nuovo caos contemporaneo il governo italiano. Con una Unione Europea non pervenuta, l’unica cosa che può fare l’Italia è allargare i propri margini d’azione, gli accordi bilaterali, dal Piano Mattei all’America Latina, alle partnership con l’India e il Giappone. Il prezzo è alto, perché con un’Europa acefala grazie alla duplice crisi di leadership franco-tedesca, il sostegno alle politiche USA, unica potenza che può ancora garantire quei margini di manovra “fuori alleanze”, è necessario e inderogabile. Come? Fornendo la propria capacità, il proprio ruolo di ponte e di pontiere nel Mediterraneo, a condizione che il Paese sappia bene dove vuole andare. Ma per ottenere questo risultato le scelte di politica internazionale non possono cambiare.

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