“Perché Lilly non può essersi suicidata. Così racconto il male della cronaca nera”

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Sono trascorsi oltre tre anni dal 14 dicembre 2021, ovvero da quando Liliana Resinovich scomparve a Trieste, venendo ritrovata morta tre settimane più tardi. Il prossimo è il mese decisivo sul caso – dopo l’Epifania sarà depositata la nuova perizia degli esperti nominati dalla procura – mentre ormai da giorni trapelano presunte indiscrezioni sui nuovi test condotti dagli esperti nominati dalla procura. Sono in tanti a chiedere a gran voce verità sul giallo, non solo i parenti e gli amici, ma anche l’opinione pubblica.

Di questo coro fa parte Elisabetta Cametti, scrittrice e ospite fissa negli approfondimenti di cronaca a Mattino 5 e “La vita in diretta”. Cametti ha scritto il volume “I dettagli del male – Misteri e verità dei crimini familiari più atroci”, che raccoglie il caso di Liliana Resinovich ma anche altri che hanno scosso particolarmente italiane e italiani, ovvero la vicenda di Giulia Tramontano, uccisa all’ottavo mese di gravidanza dal compagno con cui era in procinto di rompere la relazione, Laura Ziliani sedata, picchiata e soffocata dalle figlie e dal genero, Diana Pifferi lasciata morire di stenti da sola in una rovente abitazione milanese.

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In quattro capitoli fondamentali, Cametti ricostruisce queste storie, puntando l’accento appunto sui dettagli che si sono rivelati di profonda importanza nel corso delle indagini. I dettagli sono riportati nel testo anche in maniera diversa visivamente, ovvero in maiuscolo, affinché il lettore ne possa mantenere facilmente traccia. “Giulia Tramontano avrebbe potuto essere la nostra migliore amica, la vicina di casa, la sorella, così come Laura Ziliani e Liliana Resinovich: dobbiamo essere più consapevoli nella lettura di quello che accade perché, solo se riusciamo a cogliere certi segnali, riusciamo a intervenire a salvare la nostra vita o quella di qualcun altro”, spiega a IlGiornale la scrittrice Cametti.

Elisabetta Cametti
Foto per gentile concessione di Elisabetta Cametti

Dottoressa Cametti, perché i dettagli sono così importanti in un caso di cronaca nera?

“Attribuisco un grande valore ai dettagli: li cerco nelle persone, nelle cose, nelle situazioni. Poi li metto in evidenza e li collego nel ragionamento che guida la trama: rappresentano i puntini che uniti dal tratto della matita svelano il disegno. Nei dettagli si nasconde sempre la risposta, qualsiasi sia la domanda. I dettagli sussurrano, spiegano. Urlano, alcune volte. Sono i dettagli a influenzare il pensiero, a farci cambiare prospettiva e orizzonti, a indirizzare le nostre scelte in una catena di sensazioni e conseguenze. Ho scelto di raccontare le quattro storie proprio attraverso quei dettagli che hanno giocato un ruolo importante: un abbraccio, un rossetto rosso, del topicida, un test di paternità… nel caso di Giulia Tramontano. Quegli elementi che hanno condotto verso un epilogo piuttosto che un altro. Perché è nei dettagli che scorre la vita. O che si interrompe”.

Tramontano, Ziliani, Resinovich e Pifferi. Come mai ha scelto proprio questi quattro casi?

“Sono i casi che mi hanno colpito di più nell’ultimo periodo, perché avvenuti in famiglia. È in famiglia che si esprimono i sentimenti profondi: amore, gioia, serenità… ma anche frustrazione, senso di inadeguatezza, odio. La famiglia può essere un terreno di crescita o di conflitto. Il luogo dove si coltivano i valori o quello infestato da comportamenti tossici. Il rifugio per sfuggire dagli orrori del mondo o il covo della violenza. Quella violenza che diventa la risposta a un rifiuto, a un abbandono, alla fine di un rapporto. In famiglia si uccide per un’aspettativa tradita. Questo è uno dei messaggi che ho voluto lanciare”.

Cioè?

“Ho dedicato questo libro alla paura, perché spesso è l’unica arma che abbiamo per difenderci. Dobbiamo imparare a non abbassare mai la guardia e ad ascoltare i campanelli di allarme. In ognuno di questi casi i segnali c’erano, ma purtroppo sono stati sottovalutati. Credo dovremmo essere più consapevoli nella lettura di ciò che accade a noi e a chi ci circonda, perché solo cogliendo e interpretando certi segnali, è possibile intervenire in tempo, salvarci o salvare la vita di qualcun altro. Non bisogna fare l’errore di pensare che violenza e omicidi siano qualcosa di lontano da noi: il male può nascondersi ovunque, anche qui e ora. Giulia Tramontano avrebbe potuto essere nostra sorella, la nostra migliore amica, una vicina di casa. Così come Laura Ziliani, Liliana Resinovich… la piccola Diana”.

Qual è il dettaglio che la induce a pensare che Allegra, la donna con cui Alessandro Impagnatiello aveva una relazione all’insaputa della sua futura vittima, avrebbe potuto essere uccisa come Giulia Tramontano?

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“Non so dire se Allegra avrebbe potuto essere la seconda vittima di Impagnatiello, o se lui quella sera sia corso da lei per rassicurarla sul fatto che non ci sarebbero stati più ostacoli alla loro relazione, visto che si era appena liberato di Giulia. Gli inquirenti sono convinti che la scelta di Allegra di tenerlo fuori e parlargli dalla finestra le abbia salvato la vita. Il pubblico ministero che ha siglato la richiesta di custodia cautelare in carcere per Impagnatiello, sul documento ha evidenziato proprio il concreto pericolo di reiterazione del reato nei confronti della giovane italo-inglese. Invece, è certo che l’incontro con Allegra ha permesso a Giulia di sbugiardare Impagnatiello. Giulia ha visto la realtà dietro l’inganno, la faccia dietro la maschera. Giulia ha fatto emergere la sua vera natura di narcisista manipolatore, distruggendo l’immagine di bravo ragazzo e di barman di successo che lui aveva cercato di costruirsi nel tempo”.

Qual è stato l’eccesso a suo avviso più significativo, tra quelli che ha descritto, nell’omicidio di Laura Ziliani?

“Nell’omicidio di Laura Ziliani, ‘troppo’ è l’aggettivo che connota tutti i dettagli chiave in cui si snoda la narrazione. Troppa enfasi, troppe finte sedute di psicoterapia, troppi errori. Troppa goffaggine nel tentare di depistare e occultare le prove. Troppe bugie, troppe ingerenze, troppe benzodiazepine. Troppa convinzione che il tre sia il numero perfetto. Mi ha colpito molto il fatto che le due figlie e il fidanzato di entrambe abbiano pensato di uccidere Laura ispirandosi alle serie televisive. Da Dexter a Breaking Bad a I Borgia. Hanno preso spunto dai vari episodi per realizzare veleni artigianali, per coprirsi il corpo e agire senza lasciare tracce, per occultare il cadavere, per depistare. Ed è incredibile come fossero sicuri di riuscire a farla franca”.

Pensa che i nuovi esami, in particolare quelli sulle lesioni, nel caso di Liliana Resinovich possano portare alla verità?

“Me lo auguro! Non ho mai creduto al suicidio. La dinamica è sempre risultata incompatibile con un gesto autolesionistico: nessuna impronta di Liliana sui sacchi che avvolgevano il corpo, un cordino non sufficientemente stretto al collo. E poi quelle lesioni al volto, già riscontrate durante la prima autopsia, ma forse sottovalutate. I nuovi approfondimenti, veri e propri esami scientifici volti a ottenere risposte da quel poco che rimane del cadavere, potrebbero portare alla luce la verità, una volta per tutte. Potrebbero testimoniare che Liliana non si è tolta la vita. Liliana amava i fiori, i colori, aveva progetti e nutriva sogni: non si sarebbe mai buttata via dentro sacchi dell’immondizia in un boschetto sporco e pieno di erbacce. In uno degli ultimi messaggi inviati, Liliana scriveva di essere in attesa del domani. Chi aspetta il domani sogna… e nei sogni il suicidio non esiste”.

Perché il concetto di invisibilità è fondamentale per comprendere la storia di Diana Pifferi?

“Diana Pifferi era una bambina invisibile. È morta di fame e di sete in una stanza surriscaldata dalle temperature estive. Abbandonata dalla madre e ignorata dalla vita. Sei giorni e sei notti da sola. Senza acqua, senza cibo. Nessuno ha voluto vedere, nessuno ha voluto sentire. Nessuno si è fatto domande. Nessuno ha pensato che la solitudine potesse torturare, uccidere. Essere più feroce di una mano assassina”.

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C’è dell’altro?

“Sebbene Diana fosse nata dentro un water, nessuno dei medici ha ritenuto necessario segnalare l’accaduto ai servizi sociali. Nessuno si è interrogato sul perché di quella gravidanza misconosciuta. Diana è cresciuta senza avere fatto una visita audiometrica, senza essere vaccinata. Senza avere mai incontrato un pediatra. A diciotto mesi non camminava e non parlava. Aveva pochi capelli, era pallida e sembrava malnutrita. Eppure nessuno si è mai accorto che non fosse in salute. Perché?”.

Perché?

“La risposta è semplice, sebbene dolorosa. Perché a nessuno interessava veramente. Diana era invisibile e lo era anche Alessia. Forse è troppo anche solo da pensare, ma entrambe potevano contare unicamente sul rapporto che le legava. Alessia aveva Diana. Diana aveva Alessia. Diana lo sentiva e dimostrava gratitudine alla madre con i propri sorrisi. Alessia l’ha capito tardi, o forse non lo capirà mai.

E allora, cosa rimane dopo tanta sofferenza? Credo dovremmo chiederci quante altre Diana e Alessia ci siano là fuori. Quante altre esistenze invisibili corrano il rischio di trovare la morte nell’indifferenza. Se non possiamo fare più niente per Diana e Alessia, forse possiamo adoperarci per evitare che succeda ancora”.

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