Un Natale che possa portare speranza e una piccola grande luce

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Un buon Natale a tutti. Nella speranza che sia una festa per tutti. Una festa universale, e non solo per i credenti. È infatti la Speranza la parola chiave che guida, dalla notte di Natale, il venticinquesimo Giubileo della Chiesa cattolica per tutto il 2025.

Nella convinzione, si spera comune, di lasciare che il suo significato più profondo trovi un po’ di spazio in ciascuno, in ogni famiglia, in ogni parte del mondo, in tutti. Senza una speranza come può pensare la propria vita chi è solo, chi è in sofferenza, nelle varie situazioni tragiche, comprese le conflittualità e le guerre? Che il Natale porti luce, una piccola grande luce. Cioè porti pace, giustizia, verità, bene, bellezza.

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Anche se oggi è una festa che rischia di essere intesa solo come fatto commerciale o turistico, rimane comunque la percezione che sono gli affetti famigliari, anzitutto, che si sentono coinvolti, che si sentono toccati. Tanto da farci gli Auguri. Per augurarci che cosa?

Per cui non è una festa come tante altre. Ha qualcosa di speciale. Sarebbe bello che tutti ci fermassimo per un attimo a pensare al mistero del Natale. Segnato da quella piccola luce. Il richiamo della luce ci dice che vengono vinte le tenebre, e tutto ciò che si nasconde tra le tenebre. Sapendo che la luce non si vede, ma è attraverso la luce che noi vediamo.

In tutte le tradizioni occidentali e orientali, il simbolo della luce, nella notte di Natale, rimanda alla domanda di verità che è per tutti vivere secondo coscienza: la fiamma dello Spirito Santo, l’Intelletto come scintilla divina, il sole pensato come Agathon, l’illuminazione come ricezione della Verità o come entrata nella Verità, e così via. La notte di Natale nasce Gesù; la stessa notte nasce Mithra (“Lo spirito della luce”), la divinità Indo-Iranica della luce (collegata ai vedici Varuna-Agni).

Ma questo esplodere della luce ha una caratteristica ben precisa: si annuncia nella forma di un bambino. Non di un adulto, ma di un bambino appena nato, dunque indifeso e fragile in tutto. Nasce dunque come un dono. E nasce per lasciarsi accogliere. Un bambino in una famiglia che sta migrando, perché composta di rifugiati. Come racconta il capitolo secondo del Vangelo di Matteo, una famiglia costretta ad abbandonare la propria terra per fuggire dalla persecuzione.

A quel tempo non esistevano le norme attuali sui rifugiati. Quindi nessuna tutela per la famiglia di Gesù. Più avanti, nello stesso Vangelo, è Gesù che afferma, nel cap.23,35, il comandamento della ospitalità. Una vera contraddizione tra la legge umana e la legge divina. Di qui l’eterno mistero del Natale, di ogni Natale. Una incarnazione che è tutta fragilità, non come un guerriero che impone la legge della forza col dire a tutti “io son chi sono”, per dirla alla Goldoni.

Il bambino nasce invece nella fragilità, in una stalla, migrante. Una fragilità che sconfigge le tenebre senza contrapporsi o combattere le tenebre. Un grande segno, anche rispetto ai tempo che stiamo vivendo. Con le guerre ed i conflitti a farla da padroni. Nasce cioè senza armi. Eppure i Magi, rappresentanti dei re della terra, vanno ad omaggiarlo. Per dire del limite, più che del valore, della politica. Una grande lezione. Non è dunque il Dio degli eserciti che nasce a Betlemme, “casa del pane”.

Cosa emerge da questo modo di porsi della luce? Emerge che il vero, il buono, il giusto, il bello non si impongono mai con la forza, ma solo donandosi. Senza nemmeno la contrapposizione alle tenebre del falso, dell’ingiusto, del cattivo, del brutto. No, è la vittoria del dono sul presunto possesso. Non è il mio, il tuo, il nostro. Ma è per tutti. Per dirla con Bernanos, in fondo “tutto è grazia”.

Ogni presunta verità, se armata, è sempre perdente. Perché attraverso l’armarsi si insedia e prende diritto il negativo, il male, ogni pretesa di esclusiva. Le cose vere, buone, giuste, belle, invece, hanno sempre il vestito dell’innocenza di un bambino. Un vestito senza armi, senza pregiudizi, senza precomprensioni. Basta osservare come giocano i bambini tra di loro. Un senso della vita che non si lascia dunque abbagliare dal presunto “diritto all’odio”.

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Come i bambini non vedono i pregiudizi, non vedono cioè le tenebre dei pregiudizi, così è la luce che splende e riscalda nella notte di Natale. Gli stessi bambini della favola di Andersen, o nella metafora di Nietzsche, o nell’evangelico “se non ritornerete come bambini”. La luce del bambino nasce dunque disarmata, e vince senza combattere, perché non vede chi combattere. Vive in pace con tutti.

Festeggiamo, dunque, nella notte di Natale l’innocenza del bambino che nasce, perché innocente. Puro dono. La luce non si vede, ma è in virtù della luce che possiamo vedere.





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