di Michele Giorgio*
(foto fermo immagine da Youtube)
Pagine Esteri, 25 dicembre 2024 – Rony Tabash è uno degli abitanti di Betlemme più noti. Parte di una antica famiglia palestinese cristiana, è proprietario del Nativity Store, tra i negozi di articoli religiosi e souvenir più riconoscibili sulla piazza della Mangiatoia. Tabash continua ad aprirlo ogni giorno, ma spesso passa un’intera settimana senza vendere nulla e 25 famiglie locali che realizzavano per lui articoli religiosi in legno d’ulivo intagliati a mano, ora sono senza lavoro. «Non esistono parole sufficienti per descrivere la crisi economica che stiamo vivendo da quasi 15 mesi», spiega il commerciante palestinese al manifesto «la guerra a Gaza ha spento quasi del tutto il turismo internazionale in questa terra, la fonte principale di lavoro e reddito per migliaia di famiglie cristiane e musulmane della città. La disoccupazione è ai massimi livelli (50% secondo i dati ufficiali, ndr) e tanti riescono a malapena a sopravvivere. Questo è il secondo Natale in piena crisi».
Con poche frasi, Tabash illustra lo stato d’animo della popolazione di Betlemme che per il secondo anno a Natale guarda sgomenta la distruzione di Gaza, con almeno 45mila morti, sotto le bombe di Israele – su alcuni presepi della città Gesù bambino appare in una culla tra le macerie – e fa i conti con il crollo della economia dipendente per il 70% dal turismo. Il numero di visitatori è sceso da un massimo prima del Covid di circa 2 milioni all’anno nel 2019 a meno di 100.000 visitatori nel 2024, il tasso di occupazione degli hotel è precipitato dall’80% all’inizio del 2023 al 3% di oggi, secondo i dati in possesso di Jiries Qumsiyeh, portavoce del ministero del turismo.
Le celebrazioni natalizie, perciò, avvengono sordina in solidarietà con Gaza e sono limitate ai riti religiosi e alle preghiere. Incontrando i giornalisti, il sindaco di Betlemme Anton Salman ha puntato l’indice contro il disinteresse della comunità internazionale di fronte ai massacri a Gaza. «Chiediamo un intervento serio e immediato per porre fine alle violazioni di Israele», ha protestato. Desolazione e silenzio regnano nelle vie del centro cittadino e la piazza della Mangiatoia, di fronte alla Chiesa della Natività, è in gran parte deserta, i negozi sono chiusi. Non c’è stato l’allestimento del tradizionale albero di Natale, in questi giorni di solito addobbato con luci e punto preferito per le foto di bambini e famiglie. Il tradizionale ingresso in città del Patriarca latino (cattolico), il cardinale Pizzaballa – che dopo le critiche di papa Francesco a Israele nei giorni scorsi ha potuto visitare la comunità cristiana di Gaza – avverrà oggi sottotono. L’omelia della messa di mezzanotte sarà dedicata alla grave situazione in Palestina.
La crisi di Betlemme è stata aggravata dalla decisione del governo Netanyahu, dopo il 7 ottobre 2023, di impedire l’ingresso alla maggior parte dei circa 150.000 palestinesi cisgiordani che avevano un lavoro in Israele. L’economia palestinese si è contratta del 25% nell’ultimo anno colpendo anche Betlemme e il suo distretto. «È crollato il turismo e non si trova un lavoro alternativo, qualsiasi lavoro. Alcuni dei miei colleghi sono alla fame, vivono grazie all’aiuto di parenti, amici e istituti di carità», ci dice Khaled Bandak, una delle guide turistiche di Betlemme. «Ogni tanto – aggiunge – arriva in città qualche gruppetto di indiani e indonesiani, ma stanno in città qualche ora, giusto il tempo di visitare la Natività e vanno via. I ristoranti e gli hotel restano vuoti».
Quasi 500 famiglie hanno lasciato Betlemme nell’ultimo anno, ha riferito il sindaco Anton Salman. E tante altre si dicono pronte a fare lo stesso. Quelle cristiane in modo particolare. Da generazioni le comunità cristiane sono in declino in tutto il Medio oriente e la Cisgiordania sotto occupazione israeliana è una delle aree più critiche. Nel 1947 l’85% della popolazione di Betlemme era cristiana. Ora dei 220mila abitanti del distretto solo 23.000 sono cristiani loro, circa il 10% della popolazione. Alaa Afteem, proprietario di un ristorante di falafel, racconta che la vita si sta facendo insostenibile per l’insicurezza sulle strade della Cisgiordania, le scorribande dei coloni israeliani e le incursioni dell’esercito che hanno ucciso centinaia di palestinesi tra combattenti armati, giovani che lanciavano pietre e semplici civili. Spostarsi tra le varie città era difficile anche nei periodi meno tesi, ora è più rischioso. «Non c’è sicurezza se si viaggia tra i vari distretti della Cisgiordania, come Betlemme, Ramallah, Gerico, Hebron» afferma Afteem. Il territorio è in continua trasformazione a causa della rapida crescita degli insediamenti ebraici negli ultimi due anni, con coloni aggressivi – dal 7 ottobre 2023 hanno ricevuto 120.000 armi da fuoco «per proteggersi» – che premono con raid sul terreno e attraverso i loro rappresentanti alla Knesset e nel governo Netanyahu per annettere la Cisgiordania a Israele.
Munther Isaac, pastore luterano di Betlemme, sottolinea che anche le famiglie musulmane stanno emigrando, schiacciate da problemi finanziari e dalle preoccupazioni sul futuro. «C’è il timore che questa guerra non finisca più e che possa estendersi ad aree della Cisgiordania, soprattutto dopo l’armamento dei coloni e l’annuncio della possibile annessione della Cisgiordania. Con questo clima e la distruzione di Gaza, festeggiare il Natale è difficile per tutti».
*questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre da Il Manifesto
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