arrestati 5 giovani, a capo una donna pachistana

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Il Ros dei Carabinieri sta dando esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bologna su richiesta della Procura bolognese, Dipartimento antiterrorismo che ha diretto, con il coordinamento della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, un’indagine nei riguardi di cinque giovani di origine straniera responsabili di avere costituito ovvero fatto parte di un’associazione terroristica dedita alla promozione, al consolidamento e al rafforzamento delle formazioni terroristiche «Al Qaeda» e «Stato Islamico». Secondo quanto si apprende, una delle cinque persone nei cui confronti è stata emessa l’ordinanza risiederebbe a Monfalcone, in provincia di Gorizia. Le cinque persone straniere oggetto dell’operazione del Ros dei Carabinieri, sono dunque residenti a Bologna, Milano, Monfalcone e Perugia. Sono ritenuti, a vario titolo, responsabili di avere costituito o di aver fatto parte di un’associazione terroristica dedita alla promozione, al consolidamento e al rafforzamento delle formazioni terroristiche «Al Qaeda» e «Stato Islamico».

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Chi sono i giovani arrestati

Quattro dei cinque giovani stranieri indagati e raggiunti da misura cautelare, dopo l’inchiesta della procura di Bologna con il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, sono accusati di avere costituito un’associazione terroristica d’ispirazione salafita-jihadista declinata in chiave takfirista, denominata “Da’wa Italia” finalizzata alla promozione, al consolidamento e al rafforzamento delle formazioni terroristiche “Al Qaeda” e “Stato Islamico”.

In particolare, attraverso la propaganda di contenuti jihadisti e al reclutamento di nuovi adepti alla causa, si sono dimostrati pronti a raggiungere i territori controllati dalle milizie jihadiste in Africa e Siria, circostanza che si sarebbe già concretizzata per uno dei sodali, il quale avrebbe abbandonato il territorio nazionale per recarsi nel corno d’Africa prima dell’emissione del provvedimento cautelare eseguito. Per quanto riguarda il quinto giovane, fratello della principale indagata del gruppo, si ipotizza nei suoi confronti l’avvio di un processo di radicalizzazione proprio sotto l’egida della sorella, e a suo carico l’autorità giudiziaria contesta l’ipotesi dell’addestramento finalizzato a un possibile arruolamento nell’ambito di organizzazioni terroristiche jihadiste. Tutti i soggetti avrebbero operato sul territorio nazionale, attraverso la rete internet.

A capo una donna pachistana

La ‘testa’ del gruppo di propaganda jihadista sgominato dal Ros dei Carabinieri, sotto il coordinamento della Procura di Bologna e della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, era una ragazza, giovane pachistana cresciuta e residente a Bologna per la quale gli inquirenti evidenziano il «particolare attivismo» e «l’incessante opera di proselitismo». Fin da subito, come emerso, la giovane, radicalizzatasi online e nel periodo del Covid, è stata in grado di coinvolgere un’altra ragazza di origine algerina cresciuta e residente a Spoleto, insieme alla quale avrebbe formato il gruppo di propaganda «Da’wa», che in arabo significa «chiamata». La giovane residente a Bologna, iscritta a una scuola superiore senza però aver finito gli studi, avrebbe poi tirato dentro anche il fratello, minore, pure indagato. A suo carico l’autorità giudiziaria contesta l’ipotesi dell’addestramento finalizzato a un possibile arruolamento nell’ambito di organizzazioni terroristiche jihadiste. L’inchiesta è stata avviata nel settembre 2023, partendo dall’azione di monitoraggio sui circuiti radicali di matrice jihadista, con particolare attenzione alla diffusione di contenuti di propaganda attraverso la rete. Nel corso delle indagini, spiegano i carabinieri, è stato possibile assistere a «una rapida e per questo preoccupante evoluzione nelle intenzioni degli indagati» di non limitare il loro impegno alla sola propaganda di contenuti jihadisti ma di ampliare il raggio d’azione verso nuovi soggetti (come il fratello minore della principale indagata) oltre a ricercare contatti al di fuori del territorio italiano per cercare di raggiungere i territori controllati dalle milizie jihadiste. 

L’inchiesta

L’inchiesta, rivelatasi complessa e articolata e condotta mediante il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, è stata avviata nel settembre 2023, partendo dall’azione di monitoraggio sui circuiti radicali di matrice jihadista, con particolare attenzione alla diffusione di contenuti di propaganda attraverso la rete. Le indagini si sono concentrate prima sul ruolo ricoperto da una giovane pakistana cresciuta e residente a Bologna, la quale, evidenziando particolare attivismo ed emergendo per l’incessante opera di proselitismo, è stata sin da subito in grado di coinvolgere un’altra giovane di origine algerina cresciuta e residente a Spoleto, insieme alla quale avrebbe formato un gruppo a sé stante dedito alla propaganda e denominato appunto “Da’wa”, che in arabo significa “chiamata”, intesa nella sua accezione di invocazione ad abbracciare la “giusta” versione dell’Islam. Gli ulteriori approfondimenti hanno permesso di identificare altri partecipi al sodalizio e in particolare acquisire gravi indizi di reità nei riguardi di un giovane cresciuto a Milano che si ritiene essersi unito alle milizie jihadiste operanti in Corno d’Africa e di un altro di origine turca, da molti anni residente tra le province di Gorizia e Udine dove risultava ben inserito nel tessuto socio-economico della zona.

I punti cardine

Nel programma e nelle vicende di questo gruppo si rinvengono alcuni punti cardine del movimento jihadista globale: il sempre maggiore ricorso ai giovani, spesso anche minorenni, che risultano particolarmente affascinati dalla propaganda e che in breve diventano a loro volta strumenti di diffusione del messaggio, oltre a risultare imprevedibili nel potenziale passaggio all’azione e quindi ancor più pericolosi; in questo percorso sembra aver assunto un ruolo centrale il periodo del covid, che costringendoli a un isolamento forzato ha facilitato un rapido processo di radicalizzazione, oggettivamente amplificato dalla rete internet. Nel corso delle indagini è stato possibile assistere ad una rapida e per questo preoccupante evoluzione nelle intenzioni degli indagati di non limitare il loro impegno alla sola propaganda di contenuti jihadisti ma di ampliare il raggio d’azione verso nuovi soggetti (è il caso del fratello minore della principale indagata) oltre a ricercare contatti al difuori del territorio italiano per cercare di raggiungere ei territori controllati dalle milizie jihadiste.

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