“Corre il titolo di Leonardo +2,50% a Piazza Affari, posizionandosi in cima al FTSE MIB +0,13%. Il titolo della società della difesa ha guadagnato nell’ultimo anno il 76,9% circa, e negli ultimi tre mesi oltre il 22,5%. Continua a brillare sui listini tutto il comparto a livello europeo, da Reinmetall (cui fa capo in Sardegna la famigerata RWM, la “fabbrica delle bombe insanguinate”) a Renk, passando per Hensoldt, Thales e Bae System.
Quello della difesa viene infatti considerato, secondo gli analisti, uno dei settori meglio posizionati per il prossimo anno borsistico. Sullo sfondo restano le intenzioni del prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, secondo quanto riportato la scorsa settimana dal Financial Times, chiederà alla Nato di più che raddoppiare il suo target di spesa per la difesa (attualmente al 2%), portandolo al 5%”, recita un trionfante articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore
La strabiliante performance in borsa di Leonardo, riportata da Il Sole 24 Ore, solleva interrogativi su un modello economico che sembra fare sempre più affidamento su spese militari crescenti e conflitti globali. Leonardo, insieme ad altre aziende come Rheinmetall e i colossi americani della difesa, appare tra i principali beneficiari di una tendenza internazionale che lega la sicurezza alla militarizzazione. Questa dinamica coinvolge la NATO, che da alleanza difensiva sta progressivamente mutando in un’organizzazione funzionale alla crescita del settore bellico.
La NATO è stata storicamente concepita come un’alleanza difensiva. Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito a un progressivo ampliamento del suo raggio d’azione, con una crescente enfasi sull’incremento degli armamenti. La guerra in Ucraina ha accentuato questa tendenza: invece di concentrarsi su soluzioni diplomatiche, l’alleanza ha sostenuto un costante flusso di armi, contribuendo indirettamente a prolungare il conflitto. Questo ha inevitabilmente alimentato la domanda di armamenti e il giro d’affari delle industrie del settore.
Il conflitto israelo-palestinese evidenzia ulteriormente una situazione complessa in cui i governi occidentali, nel cercare di mantenere equilibri geopolitici e relazioni commerciali, sembrano adottare un approccio che privilegia la fornitura di armi rispetto a soluzioni politiche di lungo periodo. La reticenza a riconoscere il genocidio in corso a Gaza è legata alla necessità di mantenere aperti i canali di vendita di armi al regime di Tel Aviv, mostrando come le logiche di mercato prevalgano sui diritti umani.
La Leonardo si distingue nel panorama italiano non solo per le sue dimensioni, ma anche per la sua posizione privilegiata nel sistema politico. La nomina di Guido Crosetto a Ministro della Difesa ha rappresentato un’occasione unica per la ditta di armamenti italiana. Guido Crosetto ha avuto un rapporto diretto con Leonardo S.p.A. sia come figura politica che come professionista nel settore. Prima di diventare Ministro della Difesa, Crosetto è stato presidente dell’AIAD, l’associazione che rappresenta le aziende italiane operanti nei settori aerospaziale, difesa e sicurezza, tra cui Leonardo S.p.A. In questo ruolo, ha rappresentato gli interessi di Leonardo e di altre aziende del settore, promuovendo politiche di sostegno all’industria bellica.
Durante il periodo in cui Crosetto era sottosegretario alla Difesa (2008-2011), Leonardo (all’epoca Finmeccanica) era uno dei principali fornitori di armamenti per le Forze Armate Italiane. Sebbene non ci fossero legami diretti tra Crosetto e l’azienda in termini contrattuali, il suo ruolo politico includeva l’approvazione e il monitoraggio delle spese per la difesa, molte delle quali coinvolgevano Leonardo. Dopo aver lasciato temporaneamente la politica, Crosetto ha assunto incarichi nel settore privato, consolidando la sua presenza nel mondo della difesa. Pur non essendo formalmente un dirigente di Leonardo, la sua presidenza dell’AIAD lo ha posto in una posizione di rappresentanza e influenza per conto delle principali aziende italiane del comparto, inclusa Leonardo.
In sintesi, il rapporto tra Guido Crosetto e Leonardo S.p.A. si è sviluppato principalmente attraverso il suo ruolo di rappresentanza nell’AIAD e come figura politica influente nel settore della difesa. Rapporto che solleva questioni sulla trasparenza e sui possibili conflitti di interesse nella gestione dei contratti pubblici. Tale situazione evidenzia la necessità di un monitoraggio più rigoroso per garantire che le decisioni governative siano prese nell’interesse pubblico e non condizionate da interessi aziendali.
Un altro elemento cruciale è il consenso trasversale che la politica italiana sembra esprimere verso l’aumento delle spese militari. Anche partiti tradizionalmente considerati all’opposizione, come il Partito Democratico, appaiono allineati a queste politiche, contribuendo a consolidare un quadro di consenso che limita il dibattito pubblico su priorità alternative. Questa dinamica favorisce Leonardo, che si trova in una posizione dominante nel mercato italiano delle armi.
L’incremento delle spese militari ha un costo significativo per il bilancio dello Stato e per i cittadini. Ogni euro destinato all’acquisto di armamenti è un euro sottratto a settori fondamentali come la sanità, l’istruzione e le politiche sociali. Questo squilibrio rischia di compromettere il benessere di milioni di famiglie, accentuando le disuguaglianze economiche e sociali.
A livello internazionale, la crescita del settore bellico contribuisce a perpetuare cicli di violenza e instabilità. I conflitti armati, spesso alimentati dall’esportazione di armi, generano crisi umanitarie che colpiscono in modo sproporzionato le popolazioni civili, causando migrazioni forzate e devastazione economica. In Ucraina, ad esempio, le continue forniture militari da parte della NATO servono non tanto a difendere il paese, quanto a prolungare il conflitto con la Russia. Ogni missile lanciato e ogni carro armato distrutto rappresentano nuove opportunità di profitto per aziende come Leonardo.
Il modello di business delle industrie belliche si basa su una dinamica di conflitti perpetui. Più a lungo durano le guerre, maggiori sono i profitti. Non è un caso che la NATO, invece di adottare un approccio diplomatico verso la Russia, abbia continuato a promuovere politiche aggressive che aumentano il rischio di escalation. Questo approccio, sostenuto dalle pressioni di multinazionali come Rheinmetall, Lockheed Martin e Leonardo, ha trasformato l’alleanza da baluardo difensivo a immenso mercato per la vendita di armi.
Nel caso del conflitto israelo-palestinese, la logica del profitto si manifesta con estrema chiarezza. La mancata denuncia del genocidio a Gaza da parte dei governi occidentali non è solo una questione di politica estera, ma anche di interessi economici: dichiarare il genocidio comporterebbe l’imposizione di sanzioni contro Israele, compromettendo un mercato altamente redditizio per le armi occidentali. Questa subordinazione dei diritti umani ai profitti economici è una delle caratteristiche più oscure dell’attuale sistema geopolitico.
Le conseguenze di queste politiche sono devastanti sia a livello globale che locale. Nei paesi teatro di conflitti, le guerre finanziate e alimentate dall’Occidente portano morte, distruzione e crisi umanitarie senza precedenti. Nei paesi occidentali, invece, l’aumento della spesa militare si traduce in una crescente povertà per le classi meno abbienti, con tagli ai servizi essenziali e una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.
Leonardo e le altre aziende belliche occidentali non rappresentano una garanzia di sicurezza, ma un cancro che mina il futuro di intere generazioni. La loro influenza sui governi, esercitata tramite lobbying e ingerenze politiche, rappresenta una minaccia diretta alla democrazia e al rispetto delle costituzioni nazionali. In Italia, ad esempio, la Costituzione ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, ma questo principio viene sistematicamente ignorato in nome dei profitti.
Di fronte a queste dinamiche, è fondamentale promuovere una riflessione collettiva sull’idea di sicurezza e sul ruolo delle spese militari. Politiche che privilegiano il dialogo, la cooperazione internazionale e lo sviluppo sostenibile potrebbero rappresentare un’alternativa più efficace e umana rispetto alla corsa al riarmo.
Le istituzioni internazionali e i governi nazionali devono lavorare insieme per definire regole più chiare e trasparenti sul commercio di armamenti, garantendo che l’interesse pubblico prevalga sugli interessi di settore. Allo stesso tempo, è necessario investire in programmi che rafforzino la resilienza delle comunità e affrontino le cause profonde dei conflitti, come la povertà, la disuguaglianza e i cambiamenti climatici.
La crescita economica di Leonardo e delle altre multinazionali belliche non è un motivo di celebrazione, ma un atto d’accusa contro un sistema che privilegia il profitto rispetto alla vita umana. La NATO, trasformata in un mercato per la vendita di armi, è il simbolo di questa degenerazione. Solo attraverso una presa di coscienza collettiva e un’azione politica decisa da parte della Popolazione sarà possibile invertire questa tendenza, restituendo valore alla pace e alla dignità umana. Altrimenti, continueremo a vivere in un mondo dominato da un’industria che si nutre di sangue e distruzione
Aurelio Tarquini
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