E chi l’ha detto che l’intelligenza artificiale alla fine potrebbe diventare un problema? All’Iit la pensano esattamente al contrario, perché chi fa ricerca, e non fine a se stessa ma applicata e funzionale a tradursi in start up, sa che l’unione fra la sua intelligenza e quella delle macchine potrà dare risultati importanti in campo scientifico. Ne è convinto Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, al lavoro all’antivigilia di Natale. «Se guardo a quello che abbiamo realizzato quest’anno e a quello che ci aspetta il prossimo sono molto soddisfatto — spiega questo scienziato che nel 2019 ha ereditato la guida dell’Iit da Roberto Cingolani e, come lui, ha imparato a diventare anche manager — La preoccupazione, che amareggia anche i nostri ricercatori, è rappresentata dai tagli decisi dal Mur che non colpiscono solo le università, anche i centri di ricerca, come il nostro: il dieci per cento per i prossimi tre anni, una trentina di milioni, per intenderci».
L’Iit oggi conta su 1.900 ricercatori sparsi fra Genova (1.250, di cui 800 nella sede di Morego e gli altri divisi fra Erzelli, San Quirico, San Martino e il Bic) e una rete nazionale di 11 centri, che presto diventeranno 12, oltre a due avamposti al Mit di Boston e a Harward. Un gigante che in Italia ha innovato il sistema di fare ricerca, legandola al trasferimento tecnologico, e che ha saputo ben sfruttare anche i fondi del Pnrr.
E ora, professor Metta?
«Abbiamo appena deliberato di espandere il calcolo ad alte prestazioni in Liguria Digitale, fondamentale per ampliare la capacità di conservazione dei dati di cui abbiamo un grande bisogno».
Alla base del vostro lavoro c’è il trasferimento tecnologico a start up che sviluppano progetti innovativi. Vogliamo indicarne alcuni?
«Sì, certo. Partiamo da Iama Therapeutics, che ha appena chiuso la fase uno della sperimentazione clinica, avviando il trial clinico di una nuova molecola per il trattamento di epilessia e autismo. Una storia di successo che ora passa alla fase successiva, sfruttando l’approccio computazionale e riuscendo a togliere gli effetti collaterali a un farmaco noto. Siamo insomma sempre più vicini a una molecola che si trasforma in un farmaco».
All’interno dell’Iit si era anche sviluppato il progetto del grafene…
«Che è diventato anche questo una start up, con sede a Genova, Be Dimensional. La società ha ricevuto un ulteriore finanziamento Bei di 50 milioni per sviluppare i progetti sul grafene e altri materiali e quindi ci attendiamo nuovi, importanti risultati».
Dall’Iit sono nate start up che ora collaborano con grandi marchi…
«Sì, è il caso ad esempio di Alkivio che realizza biocompositi e biopellet dai residui della carta. I suoi sono tutti materiali compostabili, alternativi alla plastica. E qui è nata una collaborazione significativa con Alessi, per il suo cavatappi iconico, finora in metallo e plastica. Il metallo può essere riciclato, ma al posto della plastica, con una produzione iniziale di 18mila pezzi, si utilizzerà il materiale compostabile di Alkivio».
Fare ricerca e trovare applicazioni concrete continuerà a rappresentare la rotta dell’istituto anche alla luce del nuovo piano industriale?
«È così. Quest’anno abbiamo varato il nostro nuovo piano strategico, siamo quindi al primo anno, utile per valutare con attenzione dove stiamo andando».
Lo riassuma in una parola.
«Sostenibilità. La nostra ricerca ci spinge sempre in questa direzione e così i progetti che nascono».
Facciamo un esempio?
«Sensori edibili che si possono inghiottire per la misurazione di parametri biologici attraverso segnali e poi vengono tranquillamente digeriti. E con i sensori abbiamo realizzato anche le batterie che fanno funzionare i sensori, anche queste edibili. La rivista Time Magazine ci ha inserito nelle duecento migliori scoperte dell’anno».
Siete molto attenti anche agli aspetti legati alle neuroscienze, con particolare riferimento ad alcune sindromi. Quale progetto state sviluppando in questo ambito?
«Più di uno, ma restando a Genova siamo molto concentrati sulla collaborazione con l’Istituto Boggiano Pico per la cura dei bambini affetti da autismo. Abbiamo iniziato a far dialogare questi bambini con il nostro cucciolo di robot Icub. Abbiamo visto che attraverso l’interazione con il robot, sotto forma di gioco, chi ha problemi di ritardi nel neurosviluppo migliora la comprensione. I test clinici certificano il miglioramento. Ora vogliamo proseguire e tramite un finanziamento Erc (Consiglio europeo della ricerca n.d.r.) ampliare questa interazione con Icb anche a ragazzi più grandi, adolescenti».
L’ambito medico vi impegna particolarmente…
«È effettivamente un ambito in cui abbiamo realizzato iniziative belle, importanti. Penso all’ingegnerizzazione delle molecole, per la cura dalla Sla, per trovare dei target affinché le proteine si aggreghino con l’Rna (acido ribonucleico n.d.r.). In vitro funziona già. Una seconda applicazione riguarda invece la terapia antitumorale, cercando di portare delle molecole ad attaccarsi a proteine per far morire le cellule tumorali. Il prossimo anno passeremo dalla sperimentazione all’applicazione».
Che altro avete in programma il prossimo anno?
«Potenziare gli investimenti sul supercalcolo, grazie ad applicazioni legate all’intelligenza artificiale, fondamentale anche in altri campi, la robotica, la scienze della vita, i nuovi materiali».
Nessuna preoccupazione dall’intelligenza artificiale?
«Tutt’altro. Abbiamo bisogno di un’intelligenza che non dimentichi nulla, che elabori dati di fisica, di chimica, neurali. Le nostre intelligenze, reali, convivono benissimo con quelle artificiali, anzi si alleano per ottenere risultati sempre migliori».
E quale sarà la prossima alleanza?
«La stiamo già costruendo, a Morego. Siamo partiti con l’investimento quest’anno e ci vorranno un paio d’anni prima che tutto sia pronto. Si tratta di laboratori di chimica in cui saranno solo i robot, 24 ore al giorno, a intervenire, mentre i nostri ricercatori staranno dall’altra parte del vetro, a far funzionare le macchine. Sono applicazioni legate al mondo dell’energia».
Anche voi, però, come le università, dovete però fare i conti con i tagli decisi in legge di Bilancio, vero?
«Purtroppo sì, lo abbiamo scoperto a novembre, una brutta sorpresa, quella della Finanziaria. Ci siamo subito messi a lavorare a testa bassa e nel 2025 dovremmo riuscire a tamponare i tagli, utilizzando parte degli investimenti per i progetti. Ma per i prossimi tre anni è prevista una decurtazione del 10% l’anno, 30 milioni circa. E le difficoltà ci saranno. È un grave errore tagliare la ricerca, che è base dell’innovazione, senza cui perdi competitività».
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