Il conto alla rovescia è finito. A tre anni di attesa, per Matteo Salvini è arrivato il giorno del giudizio, venerdì 20 dicembre. Imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per il caso Open Arms, il vicepresidente del Consiglio è stato assolto. L’accusa: a 147 persone, tra cui alcuni minori, per 19 giorni, nell’agosto 2019, è stato impedito da Salvini di sbarcare sulle coste italiane, mentre le condizioni igienico sanitarie diventavano sempre più precarie. “Il caso non sussiste”, dichiara pochi giorni fa il tribunale di Palermo. Ma giustizia è stata davvero fatta?
“Oggi sono a processo perché in Parlamento la sinistra ha deciso che difendere i confini italiani è un reato. […] Mi dichiaro colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani”. Inizia con un video a fondo scuro e musica drammatica, divenuto virale a settembre, la narrazione di Salvini, e prosegue sui suoi social – a una settimana dal giorno del verdetto – con il conto alla rovescia.
In questi giorni, il processo Open Arms, che prende il nome dall’imbarcazione della ONG spagnola che ha salvato i 147 migranti durante 3 operazioni, ha mobilitato piazze fisiche e virtuali. Dagli slogan gridati in strada ai post di sostegno dei politici di destra (#iostoconSalvini), il loro motto: Salvini è il difensore dei confini dall’immigrazione di massa, e l’immigrato colui che li attacca.
Secondo Salvini, Open Arms avrebbe dovuto approdare su altre coste; mentre l’ONG chiedeva insistentemente soccorso immediato. Un braccio di ferro che alla fine si è risolto con Lampedusa e la conquista della libertà. Ma il punto centrale del processo è ciò che sta dietro a questa vicenda: Salvini ha compiuto un atto politico, legittimo per il ruolo che ricopriva, oppure si è arrogato illegalmente il diritto di non compiere un atto amministrativo da cui non poteva sottrarsi? Salvini si è difeso dall’accusa sostenendo di aver preso una decisione politica: “Ho mantenuto le promesse fatte, ho contrastato le immigrazioni di massa. Per me oggi è una bella giornata perché sono fiero di aver difeso il mio paese. Rifarei tutto”.
La vicenda giudiziaria ha assunto quindi una forte connotazione politica: per Salvini la magistratura che ha istruito il processo è una sorta di mano armata di sinistra, mentre per l’opposizione l’allora ministro degli Interni deve rispondere di reati specifici e le persone trattenute a bordo nel 2019 aspettano ancora giustizia. Certo è che non esistono casi precedenti a questo: nessun ministro è mai stato chiamato in giudizio per reati di questo genere, motivo che ha fatto aumentare l’hype attorno a questo processo.
Ad ogni modo, era chiaro che si trattava di una situazione win-win: Salvini era destinato a vincere in qualsiasi caso. Se condannato, la Lega avrebbe osannato il martire Salvini, vittima di una magistratura politicizzata; se assolto, come è appunto avvenuto, avrebbe primeggiato la figura del difensore degli italiani.
I messaggi di sostegno al vicepresidente non son tardati ad arrivare: “Bravo” è la risposta di Elon Musk, “Sono molto sollevata dell’assoluzione del nostro amico Matteo”, quella di Marine Le Pen. Nel frattempo Open Arms dichiara: “Il dispiacere è soprattutto per le persone, che come abbiamo detto dal primo minuto, sono state private della loro libertà. Aspettiamo le motivazioni dei giudici, per valutare se appellare la sentenza come speriamo anche la Procura della Repubblica”.
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L’attacco al nemico esterno è un escamotage per non guardare ai problemi dentro ai “confini”? Le destre al potere continueranno il loro attacco alla magistratura? Quale futuro spetta a una società sempre più polarizzata e divisiva? Può esistere un sistema democratico senza fiducia nella giustizia?
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