Occhio rotondo 45. Mano | Marco Belpoliti

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La mano. È proprio la mano a colpire. Con il braccio girato all’indietro stringe uno dei manici della borsa a tracolla. Chissà perché quel gesto inatteso. La mano più del manifesto del film appeso al muro: Le mystère Picasso, regia di H.G. Clouzot, film che ha vinto, come si legge in basso sul cartellone, il Premio speciale della giuria di Cannes nel 1956. L’altra cosa che attira lo sguardo è la borsa di cuoio in primo piano, un oggetto artigianale. Quando Martha Rocher ha scattato questa fotografia viveva a Parigi. Il suo nome non è noto. Del resto, questo è il primo libro – Martha Rocher, a cura di Elisa Genovesi e Raffaella Perna (Electa Photo) – che viene pubblicato in assoluto da quando è morta, in Italia, il 25 maggio 1990 all’età di settant’anni, suicida. Ma non è per questa morte che ne scrivo, ma perché come questa fotografia presa per strada, l’intero libro che la contiene è la straordinaria scoperta d’una grande fotografa sconosciuta. 

Non è Vivian Maier, anche se come lei è stata identificata per caso: Martha non era una baby-sitter, ma esercitava il mestiere di fotografa e collaborava con riviste – la sua storia è raccontata in dettaglio nel volume. Dopo Parigi si era trasferita a Milano e aveva aperto un piccolo studio con Hélène Visconti (Straniera, Neri Pozza 2008). Qualcosa in comune con Maier c’è: anche lei amava fotografarsi riflessa negli specchi e nelle vetrine dei negozi, come spiega Raffaella Perna in un saggio del volume. Qualcosa su cui ragionare, dal momento che lo specchio è senza dubbio un oggetto d’uso femminile, mentre l’autoritratto è stato per secoli una prerogativa maschile, con qualche eccezione naturalmente. Probabilmente quel giorno del 1956 a Parigi piove, dato che la donna dello scatto indossa un copricapo di plastica trasparente che la ripara. Forse quella mano rivolta all’indietro vuole in qualche modo proteggere la borsa; forse di borse ce ne sono due, appese alla spalla destra della signora. Dall’immagine non si capisce se sta leggendo il manifesto cinematografico. Forse è solo di passaggio. Più avanti si intravedono altri manifesti, più piccoli, che riguardano le elezioni politiche, un soggetto presente in altri scatti di Martha Rocher. 

Che fotografia è la sua? Era una artista della street photography, come nello spirito dell’epoca in cui è vissuta: la strada è il luogo dove è più facile, e interessante, ritrarre gli altri. Poi ci sono le immagini degli artisti di quel momento – anni Cinquanta e Sessanta –, tutti di stanza nella capitale francese. Una galleria interminabile con Yves Klein, con cui Martha probabilmente era in rapporto stretto; poi Jean Tinguely: il doppio ritratto dei due, Yves e Jean, insieme fuori dallo studio del secondo è memorabile. Martha era arrivata a Parigi nel 1947, per completare i suoi studi di egittologia, mentre a Vienna, dove era nata nel 1920 da una famiglia ebraica di cognome Liebmann, aveva studiato chimica. Nella capitale francese, che sta per passare il testimone di capitale mondiale dell’arte a New York, ha modo di conoscere il Surrealismo. Fotografa Breton, e si capisce che il suo influsso è ben presente nel suo modo di fotografare. 

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Lavora dal 1952 al 1955 come chimica nel laboratorio sperimentale della Gevacolor, dove si occupa di colore. Intanto scatta con la sua Leica. Si capisce che è attirata dal viso delle persone che fotografa. Sono soprattutto i visi femminili – Germaine Richier e Ida Karskaya – a interessarla. Il suo sguardo possiede una inqueta sensibilità, qualcosa d’affettivo e insieme di distante. Gli autoritratti, ad esempio quelli scattati nello studio di Klein, sono costruiti con grazia e garbo e mostrano un preciso senso dello spazio; include sé stessa nello scatto, in realtà sta fotografando un’opera dell’artista francese. Ma il vero soggetto è lei stessa. Per tornare alla foto con la mano, adesso che ho guardato e riguardato lo scatto, è evidente che la donna con la mano dietro la schiena è di passaggio, e si è girata a guardare il manifesto forse attirata dal nome di Picasso, uno straniero come Martha, in quel momento all’apice della gloria internazionale sancita anche dal film. 

Non sappiamo cosa la donna stia guardando davvero: passa e va. Come Martha Rocher, grande fotografa sconosciuta. Non una fotoreporter, non fotografa di opere d’arte, soprattutto ritrattista e testimone di un’epoca leggendaria, che ha vissuto con la sua Leica in mano, con affetto, dedizione e molta curiosità. Quelli ritratti erano i suoi amici, e in fondo anche in questa immagine il soggetto è un artista. Per nostra fortuna il suo lavoro si è salvato. Un caso. La fotografia è un oggetto potente, ma molto fragile. Quasi come lei.

Martha Rocher, Manifesto del film di Henri-Georges Clouzot, Le Mystére Picasso,
Parigi, ottobre 1956, Courtesy Archivio Martha Rocher, Roma

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