Antitrust: la qualificazione del negozio come “fideiussione” e la sua nullità (solo) parziale.

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Il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, chiamato a pronunciarsi nell’ambito di una controversia insorta tra garanti e banca garantita in tema, per quanto qui interessa rilevare, di accertamento della nullità antitrust (ex L. n. 287/1990 e art. 101 TFUE) di una fideiussione dell’anno 2011 azionata dalla banca, ha statuito che:

– “Deve escludersi che la fideiussione del 2011 così come successivamente aumentata sia un contratto autonomo di garanzia, con conseguente inopponibilità delle eccezioni inerenti al rapporto sottostante, in quanto nelle fideiussioni de quibus non è previsto il pagamento da parte del fideiussore “a prima richiesta e senza eccezioni”, che è ritenuto sufficiente per qualificare il contratto come contratto autonomo di garanzia (vedi in tal senso Cass. Sez. un. 18.2.2010 n. 3947 e più recentemente Cass. 23.5.2022 n. 16636), dal momento che al punto 7 delle fideiussioni in esame è stabilito che “il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla Banca, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio” ma non è previsto in assoluto che il fideiussore non possa sollevare eccezioni contro la banca salvo l’exceptio doli o eccezione di nullità del rapporto sottostante la garanzia […]”;

posta la natura di fideiussione codicistica della garanzia all’esame, il Collegio, dopo aver dato conto della conformità delle clausole nn. 2,6, e 8 ai corrispondenti punti dell’intesa anticoncorrenziale ABI dell’ottobre 2002 censurata dal Provvedimento n. 55/2005 dell’Autorità Garante, ritiene tuttavia che: “In applicazione dell’art. 1419 c.c. comma 2° cod. civ., […] anche senza le clausole dei punti 2,6 ed 8, i fideiussori avrebbero egualmente prestato le fideiussioni omnibus a garanzia delle obbligazioni presenti e future derivanti al debitore nei confronti del suddetto istituto bancario, che per parte sua avrebbe accettato le fideiussioni omnibus anche senza quelle clausole. Per un verso, infatti, i fideiussori avevano quindi interesse a prestare le garanzie per consentire alla società di ottenere il finanziamento bancario e comunque se hanno prestato le fideiussioni omnibus con le penalizzanti clausole dei punti 2,6 e 8 dichiarate nulle in questa sede, a maggior ragione le avrebbero prestate per lo stesso importo limite ciascuno senza quelle clausole, e per altro verso la Banca opposta certamente avrebbe preferito ottenere le fideiussioni omnibus senza le clausole dei punti 2,6 ed 8 piuttosto che non ottenere alcuna fideiussione omnibus a garanzia della restituzione del finanziamento concesso”;

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– esclusa pertanto la nullità totale della garanzia impugnata, e accertatane piuttosto la sua nullità solo parziale, il Tribunale dichiara, infine, l’estinzione della garanzia ex art. 1957 c.c., norma non validamente derogata dall’art. 6 del modello all’esame, rifacendosi all’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza per cui: “In base a questa disposizione [1957] il creditore, per non perdere la garanzia fideiussoria, ha l’onere di proporre nei confronti del debitore principale, nel termine fissato dall’art. 1957 cod. civ., una iniziativa giudiziale, ovvero un’azione di cognizione o esecutiva che consenta l’accertamento o il soddisfacimento della sua pretesa creditoria e, qualora durante il decorso del termine sopravvenga la dichiarazione di fallimento del debitore principale, il termine stesso continua a decorrere, in quanto il creditore, se non può più assumere iniziative giudiziali individuali, può impedire la decadenza presentando domanda di ammissione al passivo fallimentare (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21524 del 12/11/2004) […]; in questo senso, quindi, non vale a interrompere validamente il termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c. ad opera del creditore la mera diffida. Un tanto, stante l’esclusione del carattere autonomo della garanzia, in ragione della previsione contrattuale del pagamento “a semplice richiesta” e non “a prima richiesta”. Una pattuizione siffatta, difatti, depone nel senso di facoltizzare il garante a opporre eccezioni attinenti al merito del rapporto garantito.

*****

La sentenza del Tribunale di Roma offre lo spunto per considerare l’eventualità di una “evoluzione” dell’orientamento della giurisprudenza in tema di nullità antitrust delle fideiussioni schema ABI, e come spesso accade nei meandri interpretativi della scienza giuridica, lì dove talora si incunea la soluzione, talvolta di innesta l’elemento contrario capace di ribaltare la questione. Operazione di certo permessa all’interprete, ma pur sempre entro i limiti del rispetto degli ordinamenti unionale e nazionale, nonché dei principi ad essi sottostanti.

Con questa nota, dunque, si intende focalizzare l’attenzione, non tanto sul tema dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale in ambito di garanzie per operazioni bancarie, quanto sulla portata di alcuni aspetti del decisum del Tribunale di Roma, in uno ai probabili scenari e prossime prospettive che lo stesso pone.

E così:

1) Quanto al primo profilo afferente alla qualificazione del negozio come “contratto di garanzia” o come “fideiussione”, il giudicante ritiene dirimente in questo senso la presenza nel contratto della clausola di pagamento a prima richiesta, espressamente preclusiva delle eccezioni. Solo in questo caso, difatti, tale clausola assume rilievo decisivo a sostegno del carattere autonomo della garanzia. Il che, peraltro, riverbera anche in punto di sussistenza o meno nel contratto della deroga all’art. 1957 c.c. sulla base della comune volontà delle parti; deroga che, difatti, va esclusa in difetto di compiuta ricognizione del tessuto volitivo sotteso alla pattuizione “a prima richiesta”. Questo in quanto la sola “prima richiesta” non è di per sé incompatibile con l’accessorietà della garanzia (rectius con il contratto di fideiussione).

In definitiva al fine di verificare se il garante possa o meno sollevare tutte le eccezioni proponibili dal debitore principale, e quindi se si sia al cospetto di una garanzia a prima richiesta atipica ovvero di una fideiussione, con ogni relativa conseguenza, assume centralità l’indagine del reale contenuto delle clausole del contratto.

Il Tribunale di Roma si rifà ad un orientamento esistente sulla questione (Cass., SS. UU. n. 3947/2010), da ultimo -maggiormente enucleata- dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 31105/2024 per cui: “[…] in materia di garanzie personali, la presenza nell’accordo di garanzia di una clausola “a prima richiesta” non è decisiva ai fini di stabilire se le parti abbiano inteso stipulare una fideiussione o un contratto autonomo di garanzia, rendendosi a tal fine necessario accertare, per mezzo di una indagine diretta a ricostruire, facendo uso degli ordinari strumenti interpretativi nella disponibilità del giudice, l’effettiva volontà delle parti, lo scopo che queste hanno inteso perseguire per mezzo dell’intervenuta stipulazione”.

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2) Quanto al secondo profilo afferente alla nullità della fideiussione in quanto riproduttiva delle clausole 2,6 e 8 dello schema ABI dichiarato illecito dall’Autorità Antitrust con il Provv. n. 55/2005, interessante è notare come il Tribunale dopo averne decretato la nullità parziale in ragione della conformità del modello al detto schema, ne escluda la nullità totale sulla base di pretesi interessi di entrambi i contraenti alla conclusione dello stesso a prescindere dalla presenza in contratto delle 3 clausole illecite. Con ciò, dunque, sottintendendo la loro non essenzialità (i.e. rinunciabilità da parte delle imprese colluse).

A rigore, sul punto appare difficile pensare che un’intesa violativa del mercato e della concorrenza, consistita nella reiterazione di condizioni contrattuali standard proposte in modo uniforme dalla pressoché totalità delle banche associate all’ABI, che è attestato essere stata attuata sin dagli anni ’60 e perpetrata sino ai giorni nostri, non abbia avuto di base una spiccata convenienza a favorire i soli partecipanti alla stessa. Del resto, se così non fosse non vi sarebbe stato nemmeno l’interesse alla sua attuazione.

In altri termini, è proprio nell’essenzialità delle tre clausole illecite che è racchiuso il senso dell’anticoncorrenzialità dell’intesa in tema di garanzie per operazioni di credito bancario.

Ciò basta per sostenere che la banca non avrebbe concesso credito al debitore, se non in forza del rilascio di una garanzia contenente le 3 clausole a lei favorevoli. Trattasi, difatti, di clausole che notoriamente aggravano la posizione del fideiussore imponendogli maggiori obblighi, oltre ad accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, dovuto alla remunerazione del maggior rischio assunto dal fideiussore.

Pertanto, se questo è, in un contesto siffatto è richiesto uno evidente sforzo interpretativo per escludere l’essenzialità delle condizioni anticoncorrenziali in parola, e quindi, la sussistenza dell’interesse delle banche al rilascio di una fideiussione, anche epurata delle condizioni predisposte a loro vantaggio, praticamente rinunciate. 

Cionondimeno, la questione non muta anche guardandola dal lato del fideiussore.

Invero, stante la lesività dell’intesa ex se per il solo fatto di escludere il diritto dell’utente ad una scelta effettiva tra i prodotti in concorrenza, è del tutto irrilevante la circostanza che il fideiussore possa avere un qualche interesse al rilascio della garanzia e al suo mantenimento. E più che altro l’eventuale interesse non esclude o non affievolisce l’illiceità di un’intesa, che si basa sulla sostituzione del diritto dell’utente del mercato ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente.

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Vero che l’interesse dell’utente risiede nella concreta possibilità di accesso al credito, ma è anche vero che il finanziamento viene accordato verosimilmente solo a quelle determinate condizioni, data la standardizzazione attuata dalle associate ABI su tutto il territorio nazionale delle condizioni di fideiussione, destinate – per l’appunto-ad una pluralità indistinta di singoli operatori.

Il tutto, quindi, con alterazione del libero mercato e della concorrenza.

In altre parole, ancora, non può certamente rilevare l’interesse dell’utente del mercato rimasto inciso, dal momento che l’interesse stesso risulta falsato in conseguenza di una sua scelta solo in apparenza libera.

Da quanto precede, pertanto, non può non considerarsi la sanzione della nullità totale di un negozio di fideiussione impugnato per conformità all’intesa anticoncorrenziale ex art. 2 L.287/1990 e art. 101 TFUE.

Insomma, pur dovendo tenere in debito conto che non si conoscono le specifiche difese operate dai contraddittori nel giudizio da cui promana la sentenza in commento, restano le non poche perplessità che la stessa desta.

Di poi non vanno trascurate le ulteriori considerazioni rivenienti da un ricongiungimento delle questioni qui venute in luce nonché dall’esperienza pratica.

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È frequente, difatti, assistere nel contenzioso (del pari si legge nella sentenza de qua) a difese delle banche -predisponenti la fideiussione schema ABI- ancorate alla tesi del contratto atipico ovvero anche autonomo, diverso e altro dalla fideiussione tipica.

Tuttavia, in questo tipo di difese il punto è che la natura atipica si fa derivare proprio dalle tre clausole all’esame.

Se questo è, non v’è chi non veda come tali condizioni non possano che assumere carattere marcatamente essenziale e significativo, idoneo a condurre ad un giudizio di nullità totale del contratto di cui si tratta.

Insomma, da un lato, l’affrettarsi ad escludere la natura atipica della garanzia, per poi, dall’altro lato, escludere la nullità totale in ragione di un preteso interesse di cui è titolare un utente del mercato leso da un’intesa anticoncorrenziale, fa emergere la sussistenza tutt’ora di questioni per niente risolte, quantomeno solo in apparenza superate.

3) Quanto al terzo profilo, e memori della recente sentenza della Corte di Cassazione sopra citata, una volta appurata la qualificazione del negozio come “fideiussione”, non può ritenersi sussistente una valida deroga all’art. 1957 c.c. solo per la presenza nel contratto della clausola di pagamento a prima richiesta, il che importa che il garante può opporre tutte le eccezioni proponibili dal debitore principale ivi compresa, quindi, quella della nullità della clausola di deroga di cui all’art. 1957 c.c. riprodotta all’art. 6 del modello di fideiussione all’esame.

Un tanto per giungere, in finale, alla declaratoria di estinzione della fideiussione per non aver la banca proposto le proprie istanze nel termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c., norma, per l’appunto, non validamente derogata. Ebbene quanto alle istanze idonee a tal riguardo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è ormai consolidata nel ritenere che siano solo quelle giudiziali, non essendo sufficiente nel caso del contratto di fideiussione, la mera diffida stragiudiziale (cfr ex multis Cass., n. 20648/2024; Cass. n. 25197/2023). A tale filone giurisprudenziale non fa specie la sentenza del Tribunale di Roma, che quindi nel suo complesso assomma in sé “luci e ombre” di un tema tutt’altro che districato.

 

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