In Emilia Romagna cresce la povertà “Allarme salari e pensioni”

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Nel 2023 in Emilia-Romagna il 6,8% delle famiglie residenti viveva in condizioni di povertà relativa, ovvero con un reddito inferiore alla soglia dei 1.211 euro mensili (famiglia di due componenti adulti). Si tratta di una percentuale superiore a quelle degli anni passati ma notevolmente inferiore a quella media nazionale (10,6%). E’ quanto emerge dall’indagine curata da Ires Emilia Romagna su “Povertà, diseguaglianze e retribuzioni”.

Se l’Emilia-Romagna continua ad essere una delle regioni italiane con maggiore benessere e minori diseguaglianze, il quadro è però notevolmente mutato per la crisi economico-finanziaria del 2008 prima e per l’impatto della pandemia da Covid-19 poi, con un ulteriore peggioramento nel 2022, soprattutto sul fronte dell’inflazione e della riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. In quest’ultimo anno, infatti, la spesa media delle famiglie emiliano-romagnole è cresciuta dell’8,9%, arrivando alla soglia dei 2.900 euro a famiglia. Una crescita quindi superiore a quella dell’inflazione calcolata secondo l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), pari all’8,4%, e molto superiore alla crescita media dell’importo delle pensioni (+3,1%), nonché delle retribuzioni dei settori privati non agricoli (+1,2% quelle giornaliere e +3,2% quelle annue). È vero che nell’anno successivo, il 2023, la crescita dei prezzi è stata inferiore (5,2%) e l’aumento delle retribuzioni (+3,6% quelle annue) e soprattutto delle pensioni (+7,5%) maggiore, ma questo
non è bastato comunque a salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie.

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Soprattutto se si considera che la maggior parte delle persone in povertà presenta una situazione multiproblematica, per cui, ad esempio, fragilità e disagio economico si accompagnano generalmente a condizioni di debolezza sul mercato del lavoro, precarie condizioni abitative, associate più frequentemente a titoli di studio medio-bassi, in un rapporto di causalità circolare di segno negativo difficile da rompere e che, anzi, si rafforza da sé. Aumenta e si cronicizza il rischio per queste persone di rimanere intrappolate nel cosiddetto “circolo dello svantaggio sociale”. A conferma di ciò, cresce nel 2022 in Emilia-Romagna l’indicatore di sovraccarico del costo dell’abitazione, cioè la percentuale di coloro che vivono in famiglie in cui il costo totale dell’abitazione costituisce oltre il 40% del reddito familiare netto, che tende ad avvicinarsi a quello nazionale (5,0% contro 6,6%).

Dall’analisi dell’andamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nei settori privati non agricoli dell’Emilia-Romagna nel biennio 2021-2023, oltre al già segnalato divario rispetto all’andamento dell’inflazione, emerge un quadro caratterizzato da diverse disparità: quella territoriale, con l’asse delle province “forti” (Parma, Modena, Bologna e Reggio Emilia) molto distanziate dalle più deboli (Ferrara e, soprattutto, Rimini), anche per la maggior presenza in queste ultime di lavoro precario e part-time; quella settoriale, dove spicca in particolare la bassissima retribuzione sia giornaliera (78,1 €, al netto dei part-time) sia annua (10.350 €) del settore “alloggio e ristorazione”; quella per qualifica professionale, con i dirigenti che guadagnano oltre 5,5 volte quanto gli operai; quella di genere, con le donne che su base annua guadagnano in media il 68,4% di quanto percepito dagli uomini; quella relativa alla cittadinanza, con gli extracomunitari che nel 43,1% dei casi non raggiungono i 15.000 euro annui di retribuzione.

“L’Emilia-Romagna – commenta l’analisi Ires il segretario generale della Cgil Emilia Romagna Massimo Bussandri – si conferma la regione italiana con il più basso rischio di povertà e con un indicatore di disuguaglianza nettamente inferiore alla media nazionale, ma l’accurata ricerca di Ires ci dice che, purtroppo, non è tutto oro quello che luccica. Se le sacche di povertà vera sono oggettivamente circoscritte, è altrettanto vero che sempre più famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese se non abbassando progressivamente il proprio livello di consumi, non certo voluttuari. Si tratta di famiglie che non appartengono a contesti di disagio sociale, ma di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati i cui redditi si sono progressivamente impoveriti negli ultimi anni (aumentando molto meno rispetto alle necessità per far fronte alla crescita dei prezzi), tanto da dare corpo a una vera emergenza salariale e pensionistica”.

“Anche l’analisi delle retribuzioni ci conferma che l’Emilia-Romagna del lavoro stabile e continuativo si sta contraendo (ormai solo la metà dei lavoratori dipendenti emiliano-romagnoli lavora a tempo pieno e indeterminato per tutto l’anno) per fare sempre più posto a tipologie di lavoro povero e precario. Crescono i divari tra territori, tra settori produttivi e tra i generi. Questo è quello che si evince dai dati e lo scenario macroeconomico che abbiamo davanti non ci tranquillizza affatto. La crisi della manifattura che da noi copre una vasta gamma delle produzioni industriali (meccanica e automotive con il relativo indotto, chimica di base, tessile d’eccellenza) ma anche larga parte dei settori manifatturieri artigiani richiede risposte urgenti perché rischia di far uscire dalla porta ancor più posti di lavoro stabili e strutturati per fare ulteriore spazio alla povertà lavorativa. Le difficoltà del welfare e della sanità pubblica generate da politiche nazionali scellerate rischiano di essere un ulteriore fattore di impoverimento (di chi per curarsi deve rinunciare a un’ulteriore quota di reddito o di chi addirittura deve rinunciare alle cure) e richiedono la messa in campo di una nuova progettualità regionale”.

“La crisi climatica che ha colpito mezza regione, da Bologna alla Romagna, richiede la definizione di un nuovo modello di sviluppo se non vogliamo che gli eventi estremi determinino nelle zone più esposte un forte ridimensionamento demografico e produttivo. La manutenzione del Patto per il Lavoro e per il Clima sarà la sede regionale dove affrontare questi nodi. La campagna referendaria di primavera, con i sei referendum promossi dalla Cgil o sostenuti anche dalla Cgil, sarà l’occasione per invertire una tendenza nefasta a partire dall’indirizzo politico nazionale, occasione che io credo tutte le forze politiche sane di questa regione avrebbero interesse a sostenere”.





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