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Giornalisti a Tbilisi durante le manifestazioni di piazza (foto F. Baccini)

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Attacchi fisici, insulti, ostacoli al lavoro, danneggiamento delle attrezzature, arresti. In Georgia i giornalisti sono diventati un obiettivo delle violenze delle forze di polizia durante le proteste di piazza, mentre le emittenti statali sono accusate di disinformazione

Oltre 90 giornalisti feriti, arrestati o a cui è stato impedito di lavorare durante le proteste di piazza che – ininterrottamente dal 28 novembre – stanno animando le città della Georgia, dalla capitale Tbilisi a quelle più piccole.

“Dobbiamo continuare a lavorare, anche se dobbiamo affrontare la brutalità delle violenze, sappiamo cosa c’è in gioco”, spiega Mamuka Andguladze, presidente di Media Advocacy Coalition, a OBCT nel pieno delle manifestazioni del 14 dicembre contro la nomina del nuovo presidente de facto Mikheil Kavelashvili da parte del Parlamento controllato dal partito al potere Sogno Georgiano dopo le controverse elezioni del 26 ottobre.

Attacchi fisici, insulti, ostacoli al proprio lavoro durante le manifestazioni, danneggiamento delle attrezzature, arresti ingiustificati. Da quando sono iniziate le manifestazioni contro la decisione del governo di mettere in stallo i colloqui per l’adesione all’Unione europea “fino alla fine del 2028” e più in generale contro il regime di Sogno Georgiano – come lo definiscono i manifestanti che chiedono “nuove elezioni libere e democratiche” – anche il settore dei professionisti dell’informazione è stato colpito dalla violenza senza precedenti delle forze dell’ordine e delle bande di uomini vestiti di nero, a volto coperto e senza distintivi che operano sotto il comando di Zviad ‘Khareba’ Kharazishvili, capo del Dipartimento per i compiti speciali del Ministero degli Affari interni.

“Sembrava che indossare la targhetta ‘Press’ ci rendesse ancora di più degli obiettivi appetibili”, racconta Davit di Euronews Georgia, parlando dei giorni più caldi a inizio dicembre, quando la polizia in assetto antisommossa caricava i manifestanti con lanci di fumogeni e cannoni ad acqua davanti al Parlamento.

A causa del rischio di ripercussioni fisiche e professionali nel clima di crescente repressione della società civile nel Paese, i reporter e gli operatori delle testate indipendenti o non affiliate al governo hanno chiesto di non rivelare i propri nomi.

“Il peggio non era durante le proteste, che comunque erano pericolose, ma soprattutto tornare a casa o spostarsi da soli durante il giorno. Nei vicoli del centro ero terrorizzata di incontrare le bande di Khareba”, è la testimonianza di Elena, giornalista dell’indipendente TV Pirveli.

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Il 7 dicembre la collega Maka Chikhladze è stata aggredita e violentemente gettata a terra da uomini mascherati in una strada secondaria della capitale, mentre il cameraman Giorgi Shetsiruli – che stava riprendendo la scena live – è stato preso a calci in testa.

L’escalation dopo la legge sugli agenti stranieri

Anna Gvarishvili, responsabile dell’Investigative Media Lab, centro per la promozione del giornalismo investigativo dell’Università della Georgia, spiega a OBCT che “prima della legge sugli agenti stranieri era abbastanza sicuro lavorare in Georgia, c’era qualche forma di pressione ma non poteva essere alla luce del sole”.

La situazione è invece cambiata dopo la primavera del 2024, quando il partito al potere Sogno Georgiano ha forzato la mano per introdurre una legge già abortita l’anno precedente di fronte alle proteste di massa della popolazione georgiana.

Nonostante settimane di enormi manifestazioni a Tbilisi per evitare il ritorno di un progetto di legge che ha preso ispirazione da quello in vigore in Russia dal 2022, dal 28 maggio tutte le organizzazioni che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero devono registrarsi come “organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera”.

Questo ha fatto sì che anche i media indipendenti non affiliati al governo e che ricevono sostegno da organizzazioni o fondazioni europee o statunitensi (e che in ogni caso già rendevano pubblica l’origine dei propri introiti) “sono schedati e ricevono quotidianamente pressioni e minacce sempre più esplicite”, continua Gvarishvili, sottolineando che “ormai tutto ciò è legittimato nei fatti dal governo”.

Il rapido deterioramento della libertà di stampa, le campagne diffamatorie di alto livello, le violenze mirate e l’impunità per i crimini contro i giornalisti hanno portato il Center for Media, Information and Social Studies (CMIS) a lanciare un progetto per la sicurezza dei media in Georgia, che comprende un database con le violenze e gli abusi nei confronti dei giornalisti , una cartina che mostra dove sono accaduti e una spiegazione dettagliata dei singoli eventi.

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Il presidente di Media Advocacy Coalition non ha paura a parlare di “russificazione della Georgia”, che si basa su due pilastri: “La violenza brutale contro i manifestanti e la propaganda anti-occidentale diffusa attraverso i media controllati dallo Stato”.

Andguladze non rivela nessun segreto quando parla del modo in cui televisioni statali filo-governative come Imedi TV “portano avanti questa strategia ormai consolidata giustificando gli attacchi della polizia, minimizzando la portata delle proteste e contribuendo a diffondere le menzogne palesi del regime” guidato dal partito dell’oligarca Bidzina Ivanishvili.

L’ultimo caso più lampante è stato il ringraziamento  del primo ministro Irakli Kobakhidze a Ungheria, Slovacchia, Romania, Spagna e Italia per aver “difeso gli interessi del popolo georgiano al Consiglio dell’Unione europea”.

Tuttavia, al Consiglio Affari esteri del 16 dicembre non erano passate le sanzioni (che richiedono l’unanimità dei 27 governi) contro i responsabili della crisi in Georgia a causa del voto contrario delle sole Ungheria e Slovacchia, mentre la sospensione del regime di esenzione dei visti a livello diplomatico ha trovato il via libera grazie al ricorso alla maggioranza qualificata e con il sostegno di tutti tranne Budapest e Bratislava.

La dichiarazione del governo di Tbilisi ha così costretto i ministeri degli Esteri italiano, spagnolo e romeno a smentire la ricostruzione, definendola “disinformazione”.

Anche la presidente in carica Salomé Zourabichvili ha fatto riferimento a questo tema, rivolgendosi alla sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo il 18 dicembre: “Avete visto le bugie del governo, ma sappiate che le tre risposte [dei paesi summenzionati] non sono state rese note dalla televisione pubblica”. In altre parole, questo significa che “le persone che guardano questi canali non sanno che si tratta di disinformazione” e che Sogno Georgiano è isolato in Europa.

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Giornalisti al lavoro a Tbilisi durante le manifestazioni (foto F. Baccini)

Giornalisti al lavoro a Tbilisi durante le manifestazioni (foto F. Baccini)

L’appello delle organizzazioni internazionali a Bruxelles

La situazione è diventata così preoccupante da spingere 11 organizzazioni internazionali per la libertà dei media, per i giornalisti e per i diritti umani – tra cui OBCT – a scrivere un appello urgente ai leader delle istituzioni dell’Unione europea per reagire alla situazione “critica” della libertà di stampa in Georgia.

“La portata della repressione dei media dal 28 novembre, in seguito alla decisione del partito al governo Sogno georgiano di interrompere i colloqui negoziali della Georgia con l’Ue, è stata senza precedenti”, si legge nella lettera.

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La richiesta ai presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento europeo e all’alta rappresentante Kaja Kallas è quella di “usare tutta l’influenza per porre rapidamente fine alla repressione dei giornalisti in Georgia”, incluse “sanzioni mirate contro i responsabili degli attacchi” e la chiara esortazione agli esponenti di Sogno Georgiano di rispettare il diritto dei giornalisti di riferire sulle manifestazioni in corso “senza temere per la propria sicurezza”.

Non va dimenticato che la Georgia è un Paese candidato all’adesione all’Ue e, anche per questo motivo, a Bruxelles non si può trascurare “il ridimensionamento della libertà democratica e l’aumento dell’autoritarismo”.

A difesa della libertà di stampa e dei diritti civili in un potenziale futuro membro dell’Unione, secondo le 11 organizzazioni internazionali i leader delle istituzioni europee devono esigere “inequivocabilmente e pubblicamente” che in Georgia sia garantito un ambiente “sicuro e favorevole” ai giornalisti che raccontano le proteste, la fornitura di attrezzature per la raccolta di notizie e di equipaggiamento di sicurezza.

Ma soprattutto “indagini pienamente trasparenti e sanzioni adeguate” contro i responsabili dei crimini contro i professionisti dell’informazione.

 

Questo articolo è stato prodotto da OBC Transeuropa all’interno del progetto Media Freedom Rapid Response (MFRR), un meccanismo a livello europeo che traccia, monitora e risponde alle violazioni della libertà di stampa e dei media negli Stati membri dell’UE e nei Paesi candidati.

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