La ripresa non esiste, e i governi sperano di incassare con l’evasione

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1 – “GUERRA ALL’EVASIONE PER TORNARE A CRESCERE”
Marco Zatterin per “la Stampa”

In dieci passi dalla stretta sugli evasori fiscali al rilancio del governo dell’economia e dunque della crescita. Il club degli Otto grandi vara la «Dichiarazione di Lough Erne» sotto forma di un decalogo di impegni con cui si intende corroborare la giustizia fiscale, e poi aumentare la trasparenza di imprese e commercio internazionale.

«Tutte cose che faranno la differenza», assicura il G8 nel breve testo: con la grande azione sugli ingranaggi della macchina tributaria, che va oliata per recuperare il gettito che gli stati non incassano, possono arrivare mille miliardi solo per l’Europa. Se attuato, è un piano rivoluzionario. Ma come sempre con le parole della politica, il condizionale è una scelta inevitabile.

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I britannici hanno convocato il G8 per ragionare su «Tre T», tasse, commercio (trade) e trasparenza. Le trentatré pagine conclusive delle due giornate sui laghi occidentali dell’Irlanda del Nord hanno dato loro la soddisfazione di mettere una quantità di paletti teorici. I Grandi alla ricerca di formula per rilanciare un quadro economico che definiscono «ancora debole», hanno tenuto a battesimo l’avvio del negoziato per l’intesa di libero scambio Usa-Ue (migliaia di posti e mezzo punto di pil l’anno) e cercato l’affondo sul sistema fiscale, il cui equilibrio «è essenziale per la giustizia e prosperità di tutti».

Il punto di partenza è «l’impegno a fare lo scambio automatico delle informazioni fiscali lo strumento destinato a diventare lo standard globale»: toccherà all’Ocse elaborare rapidamente uno strumento multilaterale che «renderà più semplice scovare e punire gli evasori», una magia che a livello globale sottrarre agli Erari qualcosa come 30 mila miliardi.

L’indicazione del G8 è che ogni paese deve definire un piano per rendere accessibile a tutte le amministrazioni fiscali l’informazione su chi detiene e beneficia effettivamente delle società. «Non ci sarà più alcun nascondiglio per chi sfugge al Fisco», tuona il premier britannico, David Cameron, padrone di casa a Lough Erne. C’era chi ambiva un registro pubblico globale per le imprese, ma non è passata.

Ci sarà un libro nazionale delle grandi aziende e non obbligatoriamente aperto, invece, per tenere sotto controllo profitti e pagamenti al fisco multinazionali: l’idea è di andare a colpire colossi come Amazon o Apple che fatturano globale e incassano dove ci sono meno tasse.

Di nuovo, oltre a questo, c’è la regola della trasparenza per i «trustees» – gli istituti che svolgono l’amministrazione fiduciaria – che saranno tenuti a conoscere il beneficiario della loro attività e avere tutte le informazioni necessarie, su di lui e su chi promuove o istituisce il «trust». Dovrebbe essere un faro definitivo su fondi offshore e un antidoto alle scatole cinesi e alle società di comodo che facilmente inquinano la finanza e rubano al Fisco.

Con la dichiarazione di Lough Erne i governi si impegnano anche a ridurre la burocrazia di confine che rallenta gli scambi e chiede una politica di trasparenza per i minerali, basta dunque ricatti sul litio o con i diamanti di sangue. Si promette chiarezza su informazioni, statiche e legge, tutto quello che può rendere meno vischioso l’economia. Si chiedono insomma riforme a tutto campo, mentre il comunicato finale del G8 invita l’Eurozona ad avanzare in fretta con l’Unione bancaria.

Invito, quest’ultimo, che deve aver fatto piacere al presidente della Bce, Mario Draghi, che proprio ieri, parlando a Gerusalemme, ha ribadito di «guardare non mente aperta» a ulteriori strumenti non convenzionali di politica monetaria e le dispiegherà se necessario.

L’Eurotower, ha aggiunto, «manterrà una politica monetaria accomodante» e guarda «con mente aperta» alla possibilità di introdurre tassi negativi. La Banca, ha aggiunto, «è pronta ad agire, se necessario», per aiutare l’economia europea e dispone di numerosi strumenti per farlo. Farà da ponte alla bisogna. In attesa che gli stati svolgano la loro parte e impongano al club dell’euro regole più forti e efficaci.

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2 – CONTI NASCOSTI PER 32 MILA MILIARDI ECCO PERCHÉ È UN’EMERGENZA
Luca Fornovo per “la Stampa”

Il passo avanti (e non da gambero, si spera) del G8 sulla stretta all’evasione e lo scambio automatico sulle informazioni fiscali segue altri piccoli passi fatti di recente da molti Paesi europei. L’ultimo, in ordine cronologico, e piuttosto frettoloso è quello del Regno Unito che con tempismo formidabile alla vigilia del G8, ha ottenuto un piccolo successo che il premier David Cameron ha abilmente portato su un piatto d’argento al vertice. Pochi giorni fa il premier ha convinto tutti e dieci i territori d’oltremare britannici a impegnarsi formalmente nella lotta contro l’evasione fiscale.

I leader di Gibilterra, Anguilla, Turks e Caicos, Montserrat, Jersey, Guernsey, l’Isle of Man, Bermuda, le isole Cayman e le isole Vergini britanniche, tra i più noti paradisi fiscali al mondo, hanno accettato di firmare la convenzione Ocse sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale. L’accordo multilaterale, che l’Italia aveva siglato nel 2006, è stato da poco allargato ai Paesi non-Ocse ed è considerato dalle autorità fiscali un efficace strumento nella lotta all’evasione mondiale, un fenomeno che nasconde una ricchezza gigantesca.

A livello mondiale i furbetti del fisco evadono 3mila miliardi di dollari. E sempre secondo i dati del Tax Justice Network, i conti nascosti ammontano a 32mila miliardi, il doppio del prodotto interno lordo degli Stati Uniti. L’accordo siglato dal Regno Unito è importante perché contiene clausole in materia di scambio di informazioni, notifica di documenti, verifiche simultanee e assistenza alla riscossione.

È anche vero che l’intesa con i territori d’oltremare, tra i più noti paradisi fiscali, evita un potenziale imbarazzo a Cameron, che ha posto l’evasione fiscale come priorità per il G8 durante la presidenza di Londra.

Al di là del moralismo british, per Downing Street era ormai politicamente indigeribile scoprire, per esempio, che Google ha generato utili per 18 miliardi di dollari nel Regno Unito dal 2006 al 2011 e poi ha pagato in tasse, nello stesso periodo, 16 milioni di dollari. Il primo motore di ricerche al mondo è “ricercato” dal fisco inglese che ha aperto un’inchiesta e lo stesso vale per Amazon che avrebbe pagato 3,2 milioni di tasse nel Regno Unito a fronte di un fatturato di 4 e più miliardi di sterline di prodotti venduti a cittadini residenti in Gran Bretagna.

Ma se le multinazionali a stelle e strisce razzolano male e non disdegnano angoli del Vecchio Continente, come riparo sicuro dalle tasse, il Fisco Usa non solo predica bene ma usa il pugno di ferro, per esempio con la Svizzera e le sue banche che hanno consentito a molti cittadini americani di evadere.

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Dopo le multe alle banche Ubs e Wegelin e l’accordo per l’adesione parziale di Berna alle norme americane Fatca, a fine maggio il governo svizzero, attraverso il ministro delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf, ha annunciato un nuovo accordo con le autorità Usa che limita il segreto bancario. Ma la strada è ancora tutta in salita nella Confederazione, tanto è vero che, dopo l’approvazione risicata della scorsa settimana al Consiglio degli Stati (la camera alta del parlamento elvetico) ieri, con un’ampia maggioranza, è arrivato lo stop del Consiglio Nazionale (camera bassa).

Rischia quindi di essere bocciata la legge federale presentata dal governo per chiudere l’annosa vertenza tra le banche svizzere e il fisco americano. Timidi segnali di apertura e collaborazione fiscale con l’Ue sono arrivati anche da Lussemburgo e Austria. In particolare il Lussemburgo, che ha asset bancari pari a 22 volte il suo Pil, si è detto pronto a discutere di iniziative internazionali per limitare l’utilizzo di sistemi transfrontalieri che riducono le imposte alle grandi società.

Un tema che riguarda molto da vicino ancora le grandi società multinazionali, come Amazon, Apple, Microsoft e Google, che una volta rischiavano di pagare due volte sullo stesso reddito nel passaggio transfrontaliero, e che ora sono passate, grazie ad abili meccanismi fiscali, a regimi di bassa tassazione sui profitti.

 

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