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La strage degli ulivi pugliesi, iniziata nell’ormai lontano 2013 ma lungi ancora dall’arrestarsi, ha cause diverse dal batterio al quale è stata attribuita, la famigerata Xylella Fastidiosa, essendo invece attribuibile ad un malattia assai complessa, multifattoriale, di nome CODIRO, acronimo che sta per Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo.
E’ quanto hanno dimostrato, con argomenti alla mano, i relatori del convegno tenutosi ieri pomeriggio a San Michele Salentino, in un’accogliente e gremitissima sala conferenze messa a disposizione dall’azienda di Costruzione macchine ed attrezzature agricole della famiglia Palumbo.
Al convegno, ben organizzato e coordinato dalla locale associazione civica Menamè, hanno preso parte come relatori la biologa e fitopatologa Margherita D’amico, l’agrologa Emanuela Sardella e Ivano Gioffreda, agricoltore e membro della Cooperativa agraria Sannicolese, sita nella zona sud occidentale della provincia di Lecce, da cui tutto cominciò.
Partiamo dal fatto centrale, così da prevenire la solita accusa di “negazionismo”, negli ultimi anni utilizzata assai sovente per decapitare fin dal principio qualsiasi discussione franca e libera che abbia a che fare con questione scientifiche: la Xylella Fastidiosa è un batterio rilevato, sia pure in una parte assai marginale, degli ulivi disseccati, ma non è, non può essere la causa, e neppure una concausa, di quanto accaduto agli ulivi salentini, e poi a quelli della Valle d’Itria e ora anche a quelli del sud barese.
Come dimostrato dallo studio pubblicato dai ricercatori Margherita Ciervo e Marco Scortichini, di cui parlammo anche in un articolo pubblicato in gennaio su questa testata, solo l’1,8% delle piante che stanno morendo sono risultate positive a Xylella, e allora è altrove che bisogna cercare le cause del fenomeno.
Malattia multifattoriale, ha ben spiegato, la Dott.ssa D’Amico, addebitabile innanzitutto alla riduzione della sostanza organica e dei microrganismi tipici dei suoi olivetati. La dimostrazione di quanto questo sia vero, sta nel fatto che, al contrario, sono comparsi microrganismi tipici delle zone desertiche, che all’ulivo fanno molto male, e che sono la dimostrazione incontrovertibile della desertificazione che si va estendendo alle latitudini dell’Italia meridionale.
Ma l’elemento più dannoso per i nostri ulivi è la proliferazione inarrestabile di funghi, rilevati indistintamente da Ostuni a Santa Maria di Leuca. Fra questi, il Neofusicoccum, enormemente più rapido ed efficace nel produrre il disseccamento degli ulivi di quanto possa la Xylella: un mese contro trenta.
E ancora, il Diplodia o lo Psytophthora, ma ve ne sono tantissimi. La questione è semplice da comprendere: la pericolosità dei funghi sta nella loro resistenza a tutte le condizioni atmosferiche, molto più elevata della Xylella, e nel fatto che essi siano vengano facilmente trasportati dal vento, elemento costante della Puglia.
Poi ha un peso il clima, certamente, in quanto le scarse piogge o il fatto di non avere ultimamente inverni sufficientemente freddi (anzi costantemente umidi) fa sì che i terreni si compattino oltremodo. A causa del loro indurimento, l’acqua proveniente da piogge spesso copiose ma concentrate in pochissimi giorni, non viene assorbita, rimanendo a formare ampi acquitrini per moltissimi giorni, come può testimoniare chiunque frequenti le campagne.
Anche il sovrautilizzo dei pozzi artesiani, finendo con il facilitare l’ingresso nella falda di acqua salata di origine marina, sta danneggiando le nostre piante, senza dimenticare gli errori madornali che vengono compiuti nella potatura a causa di una preparazione sulla quale la Regione dovrebbe investire molto di più e meglio (corsi online senza tirocinio sui campi) di quanto faccia attualmente.
Nonostante questo, la Puglia resta la regione che produce da sola il 50% della produzione nazionale di olio, ma le sciagurate politiche comunitarie, alle quali l’Italia ha scelto di acconsentire supinamente, hanno imposto al nostro Paese una drastica riduzione della produzione. L’agricoltura potrebbe creare molti posti di lavoro in più senza tali regole.
C’è poi il problema dei prodotti chimici utilizzati, anche quelli figli di strategie catastrofiche Spargere a piene mani insetticidi e diserbanti, continuando a sostenere lo stantio refrain del “non ci sono cure” (ci pare di avere già sentito questa affermazione apodittica in altri contesti recentemente) non fosse altro perché non compiere azioni dannose è già una cura importante.
Anche utilizzare concimi chimici in maniera dissennata, ha affermato Emanuela Sardella, ha portato solo a distruggere lo strato organico dei terreni, per la cui formazione sono necessari tantissimi anni. Ma anche l’aratro a disco, e le ripetute potature nel corso dell’anno, fatte fin sotto il tronco degli alberi, fino a ferirne la corteccia, esponendoli all’attacco dei funghi, è una dimostrazione di grande insipienza.
Fra i prodotti che invece fanno bene all’albero, il solfato di ferro, sia pure con moderazione, e il bicarbonato di potassio, che ha azione curativa e preventiva, e la disinfezione con la calce. Ma la pratica più importante, ha spiegato Gioffreda, sono le potature fatte bene, che preservino le possibilità della pianta di creare la nuova vegetazione (“mai la testa della stessa fino a quando non siano spuntati i nuovi rami che la sostituiscano”.
Il dato più allarmante in prospettiva, anche se costituisce la prova del 9 di questo quadro così complesso, è tuttavia il fatto che, ha testimoniato sempre Gioffreda, nel sud Salento stiano seccando anche le varietà presentate come resistenti a Xylella, Favolosa e Leccino, a dimostrazione del fatto che forse bisognerebbe indagare, e intervenire, su altre cause.
Una Puglia desertificata, destino che potrebbe ancora essere evitato, oltre a far perdere considerevolmente il valore dei terreni e la sua stessa attrattiva turistica, sarebbe un boccone prelibato soltanto per un certo tipo di speculazione, legata alle energie rinnovabili. Vorremmo davvero non avere qualche elemento di valutazione, assai inquietante, al riguardo.
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