Mentre Salvini parla nel consiglio federale, c’è chi tra i suoi – un po’ in sala un po’ in streaming – traccia questi scenari: «Si può uscire dal problema Zaia con Luca al posto di Salvini al ministero dei Trasporti e Matteo che torna al Viminale». «E se invece Meloni, che in Veneto non ha nessuno capace e vincente, piazza Urso come candidato governatore e Zaia prende il suo posto al Made in Italy?». Congetture. La realtà è quella di un partito che sta vivendo una fase strana e nel quale i nordisti e gli amministratori locali del lombardo-veneto – e la Lega ne ha svariate migliaia – fanno scudo a Zaia che ha governato tanto e vuole governare ancora, anche a dispetto della fisiologia politica del ricambio.
Di fatto il Carroccio si schiera tutto al fianco di Zaia che si sente ancora in pista per l’ennesimo mandato da governatore ma Giorgia Meloni è di tutt’altro avviso. «Piena sintonia tra il partito e Zaia», assicura Salvini. E ancora lui: «In Veneto squadra che vince non si cambia, è un modello di buongoverno», è il grido di battaglia del segretario. Poi, da Vespa, stempera: «Il governo non rischia, troveremo una quadra». Nel caso comunque Zaia sia costretto definitivamente a restare al palo, l’alternativa è questa: il Veneto resta alla Lega – ma lanciando chi: il vicesegretario Alberto Stefani o una delle due assessore della giunta vicinissime al governatore? – e non verrà ceduta al FdI neppure la Lombardia. «Se a Giorgia diamo un dito si prende tutta la mano», recita l’orgoglio di partito. E insomma un Consiglio federale piuttosto combattivo quello riunito ieri a Roma. I leghisti sono determinati a fare argine al tentativo di sfondamento di FdI al Nord. Ora tocca a Salvini trattare con Meloni e può saltare Zaia ma non la golden share leghista sulla Regione. La Lega farà la battaglia a tutto campo per il terzo mandato e andrà come andrà (probabilmente male) ma «dev’essere chiaro, questa la linea del Piave, che il Nord non si tocca», dicono i partecipanti dell’evento a Montecitorio.
Le nubi su Carroccio si chiamano il mandato per Zaia, ma anche l’autonomia come riforma che si sta sfarinando e i dubbi crescenti, in molte parti della Lega, sulla strategia dello sfondamento nazionale che da un po’ di tempo mostra la corda. Raccontano a fine riunione: il segretario si è fatto «concavo e convesso pur di assecondare le richieste dei territori». Ed è naturale: senza il partito del Nord, Salvini rischia di perdere il congresso prossimo venturo (confermato, per ora a marzo: a Milano o a Roma?). Insomma, Salvini deve portare il problema Lega, che vuole tenere i suoi spazi e non sacrificare nulla allo strapotere meloniano, dentro alla coalizione. Con più convinzione di quanto abbia fatto fin qui. Sintetizza Giancarlo Giorgetti: «Siamo tutti Luca, troveremo un accordo».
DUBBI E STRATEGIE
Zaia si è collegato al Consiglio federale da remoto, mentre alla Camera oltre al ministro dell’economia sono presenti il presidente dei senatori Romeo e quello dei deputati Molinari, segretari della Lega Lombarda e della Lega Piemonte. C’è il viceministro Edoardo Rixi, capo della Lega Liguria, e Alberto Stefani, che è anche segretario della Liga Veneta oltre che vicesegretario nazionale. L’intervento di Luca Zaia è netto: «Se non ci sarà il terzo mandato, la Lega è comunque pronta a presentarsi da sola. Possiamo fare 7 liste venetiste e prendere più del 40 per cento». L’idea è che lui si presenti in cima alla lista che reca il suo nome. Attorno avrebbe una lista di partito, una dei centristi, Azione e due civiche. L’ipotesi è stata fatta anche sondare: vale il 40,5 per cento. Così Zaia farebbe il presidente di fatto, se sarà bocciato il tentativo di ottenere l’ennesimo mandato.
Ancora Zaia: «In Veneto gli elettori sono dalla mia parte, mi chiedono di esserci», incalza. E Salvini platealmente annuisce e chiede unità. Rafforzare la leadership, è in sintesi il ragionamento del segretario, potrà consentire alla Lega di porre le questioni, come appunto quella del terzo mandato, «in modo più efficace». «Più siamo compatti e più Meloni dovrà starci a sentire», assicurano i colonnelli di Matteo uscendo dalla Camera. Dove Romeo e altri hanno fatto notare come «il consenso che si ha alle politiche è una cosa, e in Veneto la premier ha preso voti personali, mentre le regionali sono un altro mondo e sul territorio FdI quasi non esiste in Veneto». Altri ragionamenti: «Meloni deve fare anche il capo della coalizione, deve garantire tutti, non solo il suo partito, deve essere una buona madre come Berlusconi fu un buon padre», avverte uno dei ministri del Carroccio. Mentre Salvini non esclude la possibilità del rinvio del voto. La Lega è pronta a chiedere infatti al governo che per le regionali del 2025 – Campania, Veneto, Toscana, Puglia, Marche e Valle d’Aosta – si vada all’election day nella primavera del 2026. Questo allungherebbe i tempi e darebbe modo di intervenire per legge e a favore di Zaia. Meloni ha già detto di non essere favorevole. Ma anche su questo, toccherà a Salvini essere persuasivo.
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