TikTok nelle mani di Musk? Il tycoon tace, Pechino smentisce

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di
Massimo Gaggi

L’ipotesi per evitare il bando negli Usa. Zuckerberg e Bezos con il capo di Tesla all’insediamento

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NEW YORK TikTok a Elon Musk? Forse non succederà, ma quello che fino a ieri sarebbe stato considerato fantascienza, oggi passa per possibilità reale. E se l’ipotesi si materializzerà (forse ci vorrà tempo, anche se la legge votata dal Congresso impone alla cinese ByteDance, di vendere TikTok entro il 19 gennaio pena la sua messa al bando negli Usa) sono immaginabili fin d’ora conseguenze rilevanti su due piani: quello della cultura e dell’informazione in America con l’enorme espansione del peso di Musk nel mondo delle reti sociali dove ha già una posizione di primo piano con X (ex Twitter). 

Il negoziato

E poi quello del testa a testa tra Usa e Cina: se davvero Pechino sta valutando la cessione di TikTok (dopo aver giudicato un furto l’obbligo di vendita imposto dal Parlamento) lo fa per aprire un negoziato più ampio con Trump mirante a ridimensionare la minaccia degli altissimi dazi promessi dal presidente repubblicano. E Musk sarebbe il mediatore ideale, vista la sua alleanza con Trump e gli ottimi rapporti che ha con le autorità cinesi. 




















































Rapporti che ha interesse a mantenere: ha avuto molte agevolazioni dal governo e prestiti dalle sue banche e la sua super factory di Shanghai produce metà delle Tesla vendute nel mondo. Dunque tutte e due le conseguenze amplierebbero il già immenso potere di Trump. Alimentando le critiche di chi (come Steve Bannon, ma è solo la punta di un iceberg più esteso) teme l’eccessiva influenza di Elon: ingovernabile e troppo dipendente dal grande rivale degli Usa. 

Ma come siamo arrivati a questa ipotesi (fin qui ufficialmente smentita da TikTok che parla di fiction mentre Musk tace)? Proviamo a sintetizzare una storia lunga e complessa. 

Il timore che TikTok possa essere usata da Pechino per spiare, studiare il popolo americano, influenzarlo politicamente, risale al primo mandato di Trump: il social cinese ha dati di metà degli americani (da 120 a 170 milioni, a seconda che si contino gli utenti attivi o gli account) e, in base alle leggi di Pechino, tutte le imprese sono obbligate a fornire al governo i dati, se richiesti. Allora Trump minacciò la messa al bando immediata. Poi emerse un possibile compromesso: i dati dei cittadini Usa conservati, anziché su server cinesi, su quelli da Oracle di Larry Ellison, grande amico di Trump. Soluzione discussa a lungo e poi trovata tecnicamente inadeguata. Comunque caduta con la fine della presidenza Trump. Con Biden è tornata la minaccia di messa al bando, ma senza passare dalle parole ai fatti anche perché TikTok aveva scatenato la lobby dei suoi fan, soprattutto i giovani. Solo in primavera il Congresso ha rotto gli indugi e votato la legge-ultimatum: vendere a non cinesi entro il 19 gennaio o messa al bando. 

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La Corte Suprema

Pechino allora parlò di sopruso, di furto, mentre TikTok sostenne davanti alla magistratura l’incostituzionalità della legge: viola il Primo emendamento che garantisce in modo assoluto la libertà d’espressione. Fino a una settimana fa a Pechino regnava l’ottimismo: Trump si era detto favorevole alla permanenza di TikTok negli Usa dopo la visita a Mar-a-Lago del ceo dell’azienda, Shou Chew, mentre la Corte Suprema sembrava orientata a sospendere i termini di applicazione della legge, condividendo i dubbi sulla sua costituzionalità. 

La Corte dovrebbe pronunciarsi in queste ore, ma dall’udienza pubblica della scorsa settimana è emerso tutt’altro: i giudizi sono in maggioranza propensi a considerare quello di TikTok un problema di sicurezza nazionale e non di libertà d’espressione. Da qui l’allarme e un «piano B» con l’ipotesi di cessione. Solo ipotesi: vedremo nei prossimi giorni. Se la Corte non bloccherà, il 19 TikTok verrà soltanto rimosso dagli app store: niente nuovi utenti e i vecchi continueranno a operare ma senza poter fare gli aggiornamenti dei software. Poi, il 20, l’inaugurazione della presidenza «imperiale» di Trump che si propone anche come sovrano della tecnologia: ad assistere al giuramento ci saranno, uno vicino all’altro in prima fila, anche Musk, Bezos di Amazon e Zuckerberg di Meta-Facebook. Poi si comincerà a negoziare.

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14 gennaio 2025 ( modifica il 14 gennaio 2025 | 23:14)

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