Lavoro, oltre 1 milioni di occupati in più rispetto al pre-Covid in Italia

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Oltre 1 milione di nuovi posti di lavoro e un calo di altrettanti disoccupati da dicembre 2023 a fine 2024. Lo sottolinea il Rapporto Inapp 2024, presentato alla Camera, dal titolo: «Lavoro e formazione: necessario un cambio di paradigma». Perché se siamo al record storico di occupati (24,1 milioni) e del tasso di occupazione (62,5%), per agganciare la media europea l’Italia dovrebbe far entrare nel mondo del lavoro altri 3 milioni di persone. Restano ancora criticità e aspetti chiaroscuri evidenziati dal presidente dell’Istituto, Natale Forlani.

Innanzitutto, è migliorata la qualità dei nuovi rapporti di lavoro con la crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+1,3 milioni) che ha compensato la riduzione di quelli a termine (-288 mila) e di una quota dei part-time (-3%). Allo stesso tempo però il tasso di inattività italiano supera quasi un terzo della forza lavoro (33,6%) e «continua a rappresentare lo zoccolo duro del mancato utilizzo delle risorse umane in età di lavoro e raggiunge il picco del 58,2% per le donne del Mezzogiorno».

Ancora problemi per donne, giovani e Sud

I giovani, le donne e i residenti al Sud restano categorie fragili nel mondo del lavoro tricolore.

I nuovi posti di lavoro assegnati nel 2024 sono equamente distribuiti tra uomini (+532mila) e donne (+511mila), ma il 18% delle uscite lavorative e il 40% delle dimissioni delle donne è legato alla «mancata disponibilità dei servizi di cura per i figli e gli anziani», evidenziando che sono ancora le donne su cui ricade maggiormente il peso del lavoro di cura a discapito della carriera.

L’aumento degli occupati nelle regioni del Mezzogiorno (+4,2%) risulta superiore a quello delle regioni del Nord (+1,8%) Ma circa due terzi del mancato utilizzo delle risorse umane in età di lavoro, in prevalenza giovani e donne, sono concentrati nelle regioni del Mezzogiorno, mentre in quelle del Nord e del Centro i tassi di occupazione sono già allineati alle medie europee e superiori per la componente maschile.

Resta aperta anche la questione giovanile: l’incremento dell’occupazione si concentra fra i lavoratori over 50, che negli ultimi due anni è diventata la componente più numerosa (41%) superando quella tra i 35 e i 49 anni. Non stupisce che quindi l’età mediana dei lavoratori italiani sia di 48,3 anni e in rapida crescita. Per giunta, si legge nell’indagine Inapp, il 97% delle imprese non ritiene importante ridurre il numero dei lavoratori anziani e il 93% non pensa di sostituirlo con quelli giovani.

Il grave problema del mismatch

Il principale problema del mercato del lavoro italiano resta proprio la difficoltà per le imprese di reperire lavoratori qualificati: il mismatch è aumentato del 22,5% negli ultimi 5 anni toccando quota 47,8% nel 2024, registra Inapp.

Il fenomeno è amplificato da un complesso di fattori: riduzione della popolazione in età di lavoro; carenza di competenze per i profili esecutivi; offerte di lavoro che non riscontrano le disponibilità da parte delle giovani generazioni. L’incidenza di tali fattori, spiega Forlani, «è destinata a crescere per l’impatto dei cambiamenti demografici determinati dalla riduzione della popolazione in età di lavoro – circa 4 milioni di persone entro il 2040 nello scenario mediano delle stime Istat, già manifesto nell’esodo pensionistico delle generazioni anziane di gran lunga superiore rispetto alle coorti giovanili che entrano nel mercato del lavoro – e di quello delle tecnologie digitali sulle organizzazioni del lavoro e sulle professioni».

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La carenza di occupati qualificati risulta concentrata nei comparti influenzati dalla spesa pubblica: 1,27 milioni in sanità e assistenza, 689 mila nella pubblica amministrazione, 315 mila nell’istruzione. I posti di lavoro risultano invece sopra la media nelle attività manifatturiere (+360 mila), nel lavoro domestico (+287 mila), negli alberghi e ristorazione (+127 mila), in agricoltura (+107 mila).

Salari troppo bassi

Da ultimo, il rapporto Inapp, segnala criticità rilevanti sulle condizionalità legate a sussidi come il Reddito di cittadinanza e ora dell’Assegno di inclusione e del Supporto alla formazione e al lavoro: formarsi e accettare la proposta di lavoro. «Non riscontrano significativi risultati» neppure «l’inserimento dei soggetti con elevati livelli di disagio e i programmi collettivi di reinserimento dei lavoratori nelle aree di crisi».

I salari dei lavoratori italiani restano lontani dalle medie Ue e Ocse, per la bassa produttività e «la mancanza di investimenti nei comparti dei servizi privati ad alta intensità di occupazione». Anche nella fiammata inflattiva la dinamica dei salari nominali è stata inferiore a quella dei prezzi per la quasi totalità delle attività economiche, ma molto differenziata negli andamenti settoriali, sottolinea l’Istituto. Tra i settori meno sofferenti si ritrovano le attività bancarie e assicurative e la manifattura, mentre quelli più colpiti sono il commercio, gli alberghi e ristoranti e l’informazione-comunicazione.

La contrattazione collettiva nazionale, conclude il rapporto, «non appare in grado di incentivare la crescita dei salari reali se non vengono adottati altri indicatori: produttività, fabbisogno di lavoratori competenti, attrattività delle proposte salariali, potenziamento del secondo livello di contrattazione aziendale o territoriale». (riproduzione riservata)



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