Miocardio ibernato ed eventi aritmici: more is better?

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Nei pazienti con cardiopatia ischemica e funzione sistolica depressa le complicanze aritmiche (fibrillazione ventricolare/tachicardie ventricolari) rappresentano un’importante causa di morte.  Questo fenomeno è dovuto alla progressiva disfunzione dei cardiomiociti ed allo svilupparsi della cicatrice ischemica che può costituire il substrato per aritmie ventricolari ed eventi aritmici maggiori (MAE) (1).

A differenza del miocardio cicatriziale, il miocardio ibernato presenta caratteristiche uniche, che possono essere identificate mediante tecniche di imaging volte a valutare la vitalità miocardica. In particolare, il rilevamento del mismatch tra perfusione e metabolismo tramite la combinazione di tomografia a emissione di positroni e tomografia computerizzata (PET/CT) con 13N-ammoniaca (NH3) e 18F-fluorodesossiglucosio (FDG) consente di quantificare aree con metabolismo attivo nonostante una ridotta perfusione. 

Tra i predittori noti di eventi aritmici maggiori nei pazienti con cardiomiopatia ischemica (CI) figurano i precedenti MAE e una frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) ≤ 35%. Sebbene le cicatrici miocardiche rilevate tramite imaging di perfusione siano associate ad eventi aritmici, il significato prognostico del miocardio ibernato (HM) è ancora poco chiaro.

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Per indagare il ruolo del miocardio ibernato nelle complicanze aritmiche dei pazienti con cardiomiopatia ischemica, Kovacs e colleghi dell’Università di Zurigo hanno condotto uno studio su 254 pazienti con cardiomiopatia ischemica e studiati in modo consecutivo con PET/CT combinata con NH3/FDG. Lo studio è stato  recentemente pubblicato sull’European Heart Journal (EHJ) (2).

Dettagli dello studio

L’obiettivo dello studio era predire gli eventi aritmici utilizzando la PET/CT combinata con NH3/FDG, valutando in particolare la relazione tra miocardio ibernato ed episodi di aritmie ventricolari sostenute (2).

Per identificare il miocardio ibernato, sono state analizzate regioni con ridotta perfusione a riposo ma normale uptake di FDG (indicativo di mismatch tra perfusione e vitalità). L’estensione del miocardio ibernato è stata calcolata quantitativamente mediante software dedicati, utilizzando come soglia il valore del 7% definito dal trial PARR-2 (3). In base a questa soglia, le aree ibernate sono state classificate come ridotte (<7%) o estese (≥7%).

Sono stati inclusi pazienti consecutivi con CI sottoposti a PET/CT NH3/FDG. Il miocardio ibernato è stato misurato in rapporto al volume totale del miocardio ventricolare sinistro. L’outcome primario era rappresentato dai MAE, definiti come morte cardiaca improvvisa, interventi di defibrillatore (ICD) e tachicardia/fibrillazione ventricolare sostenuta.

Tra i 254 pazienti, la LVEF media basale era del 35% [(IQR) 28–45] e il 10% era portatore di ICD. La PET/CT ha identificato ischemia in 94 pazienti (37%), cicatrici in 229 (90%) e miocardio ibernato in 195 (77%). Durante un follow-up di 5,4 anni (IQR 2,2–9,5), si sono verificati MAE nel 13% dei pazienti (n 34). Un’area ibernata estesa è risultata essere associata ad una minore incidenza di MAE (HR 0,31; IC 95%: 0,1–0,8; P = 0,001). Dopo aggiustamenti multivariati per storia di MAE, LVEF ≤35% e cicatrici ≥10%, un miocardio ibernato esteso risulta essere associato in modo significativo ad una minore incidenza di eventi aritmici maggiori (P = 0,016). Inoltre, i pazienti con un’estesa area di miocardio ibernato hanno mostrato un miglioramento della funzione sistolica nel tempo (P = 0,006), mentre questo miglioramento non è stato osservato in pazienti senza miocardio ibernato (P = 0,610) o con aree ibernate di dimensioni ridotte (P = 0,240).

Conclusioni: 

Nei pazienti con cardiomiopatia ischemica la presenza di miocardio ibernato si associa a un rischio ridotto di eventi aritmici avversi e  ad un miglioramento della frazione d’eiezione. Questi dati  forniscono una nuova evidenza riguardo l’associazione tra miocardio ibernato ed incidenza di eventi aritmici. Saranno sicuramente utili studi più ampi e trial randomizzati, ma sulla base dell’esperienza di questo singolo centro possiamo intanto affermare che un’area estesa di miocardio ibernato è associata ad un minore rischio di eventi aritmici maggiori nei pazienti con cardiomiopatia ischemica, e questo dato è sicuramente supportato anche dal miglioramento della funzione sistolica globale del ventricolo sinistro. 

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Referenze:

1) Bello D, Fieno DS, Kim RJ, Pereles FS, Passman R, Song G et al. Infarct morphology iden- ti es patients with substrate for sustained ventricular tachycardia. J Am Coll Cardiol 2005; 45:1104–8 

2) Prediction of major arrhythmic outcomes in ischaemic cardiomyopathy: value of hibernating myocardium in positron emission tomography/computed tomography; EHJ – Cardiovascular Imaging (2025) 26, 30–37 https://doi.org/10.1093/ehjci/jeae232

3) D’Egidio G, Nichol G, Williams KA, Guo A, Garrard L, DeKemp R et al. Increasing bene-  t from revascularization is associated with increasing amounts of myocardial hibernation: a substudy of the PARR-2 trial. JACC Cardiovasc Imaging 2009;2:1060–8.



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