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È di qualche giorno fa la novità che Meta cambierà le proprie politiche aziendali: si sbarazzerà del cosiddetto fact checking, ossia l’obbligo di verificare la veridicità delle notizie diffuse in rete, e si adeguerà al principio dell’informazione libera, decisa dal basso, orchestrata dagli stessi soggetti che la compongono, inserendosi all’interno di un nuovo filone narrativo della digitalizzazione e dei suoi poteri, quella di Elon Musk. La digitalizzazione non sarà più regolata da imperativi di rettitudine, moralità e democrazia, ma tornerà a presentarsi come amorale e potenzialmente caotica. L’accordo stabilito insieme alla società civile è saltato. Tornerà a essere ciò che era agli esordi, un luogo non adatto ai minori, privo di controlli, di autorizzazioni. Smetterà di essere prudentemente vigilata e sorvegliata dagli adulti.
Mark Zuckerberg lo ha comunicato in un video divulgato sui suoi canali e schiettamente annuncia che lavorerà insieme al presidente Trump per tacitare le pratiche aziendali europee, censorie e bacchettone, le quali rendono difficoltoso creare qualche cosa di “veramente innovativo”. Il processo di deregulation è ufficialmente sancito. Da questo momento in poi, anche Facebook, Instagram e Threads si allineeranno a X, la piattaforma virtuale appartenente a Elon Musk, che l’ha spogliata della patina di giustezza liberale, dagli azzurri toni pastello, e l’ha resa un nero ricettacolo di opinioni della vulgata di estrema destra.
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Durante gli ultimi incendi che hanno arso la zona intorno a Los Angeles, Musk esibiva fieramente il post di un utente che si diceva felice della scomparsa del fact checking, ossia della cessata intromissione da parte degli organi nazionali all’interno dell’erogazione delle notizie, perché questo facilita le interazioni e il passaggio d’informazioni tra singoli utenti. “You’re the media now”, ha chiosato Musk.
Le istituzioni tradizionali sono state definitivamente invise, ribaltate. È in gioco quindi un nuovo assetto, un nuovo paradigma che ha tutto il sapore a tratti di una retroguardia fascista? Anche qui infatti si coniugano innovazione e restaurazione, conservatorismo e futurismo, desiderio di protezione, di chiusura, di ordine, e contemporaneamente l’avanguardia della scoperta, l’allargamento dei confini, l’espansione della propria volontà di potenza. Il fascismo del ventennio inneggiava alla guerra come igiene del mondo, si lanciava in grottesche spedizioni di colonizzazione del territorio africano, coltivava il feticcio dello spargimento di sangue, della patria che affermava se stessa. Tecnica, efficienza, dinamismo in un universo di senso chirurgicamente epurato, riconcepito secondo valori convenzionali. Sarebbe questo ciò che Elon Musk auspica?
I suoi progetti sono interamente ascrivibili a questo contraddittorio connubio di rivendicazione delle istanze soggettive e di rimessa in ordine della collettività. Vorrebbe abolire la censura, sbarazzarsi degli interventi e delle interferenze statali, ma anche rifondare la famiglia canonizzata, proibire l’inclusione di individui transgender alle competizioni sportive, l’ingresso di immigrati negli Stati Uniti. La sua parodistica utopia vede un’umanità robotica, agli ultimi stadi dell’evoluzione, avanti e indietro da Marte, con chip impiantati nel cervello e tuttavia bianca, organica e rigorosamente binaria.
La febbre cibernetica che lo muove assurge a tutto ciò che è nuovo e pioneristico rivestito però da codici e significati invecchiati. Sedi operative e legali in Texas per pagare meno tasse, ma assalto al potere da parte dei cittadini. Satelliti Starlink che ammantano lo spazio extraterrestre al punto che sarà difficile scorgere l’arrivo di asteroidi, ma un futuro di benessere e di prosperità per le generazioni che verranno. Scoperte scientifiche che condurranno l’essere umano a trasformarsi in una vera e propria macchina, dunque a una condizione post-umana, ma bando alle transizioni di genere.
Una tale convivenza di antinomie farebbe girare la testa a chiunque. Eppure, per ora, resta salda la convinzione che i miliardari abbiano risolto l’equazione sottesa alla vita, che la tecnica sia il mezzo più sicuro per risolvere i problemi contemporanei e, a dispetto di ciò che dicono i poeti, quel che verrà è sempre più degno di considerazione rispetto a quel che è stato. Il futuro batte il passato a carta forbice sasso.
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Sembra al tempo stesso che una fetta della società civile stia cominciando a mettere in discussione il vincolo dalle piattaforme digitali. Ora che hanno smesso di servire il patto democratico e sono passate dalla parte della teocrazia trumpiana, è ancora possibile usufruirne come se niente fosse? Qualcuno sostiene a mezza voce di no. Qualcuno azzarda addirittura che potrebbe essere un’occasione. Avendo loro delegato l’apparato dell’informazione, la tenuta delle relazioni, il perimetro dell’agorà pubblica, la meccanica degli incontri, delle interazioni, gli svaghi e il frastagliato ventaglio della comunicazione, che cosa succederebbe se li recuperassimo, se tornassimo ad appropriarcene?
Questo improvviso cambio di rotta sulla bilancia del potere ha dissipato le nubi che pesavano sulla natura della tecnologia, e stiamo forse iniziando a comprendere che essa non è mai stata neutrale. Risponde a chi la comanda dall’alto. E se in alto non stessero più le strutture liberali, ma il reazionarismo eversivo – altra contraddizione in termini – di Elon Musk, non sarebbe il caso di immaginare un’alternativa?
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