Accusato dagli Usa di avere aggirato l’embargo per vendere ai Pasdaran pezzi elettronici per i droni, non sarà estradato e alle 13 di domenica ha lasciato il carcere di Opera. Il suo avvocato: «Non se l’aspettava». Tre giorni dopo il suo arresto a Malpensa era stata incarcerata Cecilia Sala
Quando intorno all’una del pomeriggio di domenica 12 gennaio gli aprono la cella del carcere di Opera per anticipargli che non verrà estradato negli Stati Uniti ma scarcerato, pochi minuti prima che il ministro della Giustizia Carlo Nordio renda nota la notizia in un comunicato, il detenuto resta sorpreso, come se non comprendesse subito, poi accenna un sorriso quasi incredulo, e quindi giù a piangere.
Mohammad Abedini-Najafabani è un uomo libero. Lo raggiunge poco dopo in carcere il suo avvocato Alfredo De Francesco, i due parlano brevemente, poi si lasciano con la richiesta di Abedini-Najafabani al legale di «mantenere riservatezza» anche su quelle poche frasi, «spero di risentirlo già domani». Dall’Iran. Perché, intanto, il 38enne ingegnere iraniano accusato dagli Usa di aver aggirato l’embargo per commercializzare ai Pasdaran iraniani componenti elettronici a duplice uso civile e militare, montati anche su droni (come quello che il 28 gennaio 2024 aveva ucciso in un avamposto giordano tre soldati americani) nel primo pomeriggio a Linate si imbarca subito su un aereo messo a disposizione dagli 007 italiani dell’Aise e diretto a Teheran, appena rilasciato.
Liberato dalla V Corte d’Appello di Milano, tenuta a dare esecuzione al provvedimento con cui il Guardasigilli in mattinata, ritenendo insussistenti le condizioni per dare l’estradizione agli Usa, aveva utilizzato la facoltà riconosciutagli dall’articolo 718 del codice di procedura e cioè chiesto alla Corte la revoca della custodia cautelare di Abedini-Najafabani.
Un dietro-front nel giro di tre settimane senza che giuridicamente fosse mutato nulla, visto che era stato lo stesso Nordio a sollecitare, invece, la custodia cautelare di Abedini-Najafabani il 20 dicembre, quando già da 24 ore era stata immotivatamente arrestata a Teheran la giornalista italiana Cecilia Sala, tre giorni dopo il fermo, il 16 dicembre, dell’iraniano a Malpensa su mandato spiccato il 13 dicembre dagli Stati Uniti.
L’unica differenza — oltre alla liberazione di Sala in Iran — è che nel frattempo il difensore De Francesco aveva anticipato (già nel discutere di domiciliari) argomenti giuridici volti a suggerire che la struttura delle imputazioni americane non soddisfacesse il requisito (indispensabile per l’estradizione) della doppia imputabilità: e cioè non descrivesse fatti (l’associazione a delinquere e il supporto a quel Corpo dei Guardiani della Rivoluzione classificato dagli Usa come organizzazione terroristica) che costituissero reati in modo sovrapponibile anche nell’ordinamento italiano.
Non si terrà dunque più dopodomani l’udienza nella quale la Corte avrebbe dovuto decidere se tenere Abedini-Najafabani in carcere o metterlo ai domiciliari. Nei giorni scorsi Nordio si era detto intenzionato ad attendere l’esito dell’udienza, ma l’impressione è che l’iniziale affidamento ministeriale su una decisione positiva dei giudici sia stato raffreddato dalla subentrata convinzione che difficilmente avrebbero concesso i domiciliari all’iraniano, sui quali non aveva mutato parere contrario la Procura Generale: a quel punto la scelta di Nordio, pur identica a quella di ieri nei presupposti addotti, sarebbe forse apparsa di gestione troppo stridente con la sentenza, il che ha spinto il ministro ad esercitare prima dell’udienza la facoltà riconosciutagli dalla legge.
«Abedini mi ha sempre ripetuto che aveva fiducia nella giustizia», commenta il suo avvocato, che «anche a nome del mio cliente» ringrazia «tutti coloro che nel silenzio e con grande delicatezza hanno sostenuto questo percorso e accompagnato ogni nostro passo con la preghiera».
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