Trump “piccona” l’eolico: inquina e distrugge

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Mar-a-Lago, Palm Beach, Florida, costa “presidenziale” degli Stati Uniti d’America. Ottomila chilometri e passa da Tuerredda, punta estrema del Golfo degli Angeli, Isola di Sardegna. Due icone, diverse e “apparentemente” lontane, una americana, una sarda, tutte e due con coste mozzafiato, una cobalto, l’altra turchese. Una, Mar-a-Lago, residenza invernale del più tycoon dei Presidenti degli Stati Uniti di sempre, Donald Trump, l’altra, Tuerredda, vessillo incontaminato di una terra identitaria immersa in un paradiso terrestre nel cuore del Mediterraneo. Eppure, da quando “The Donald”, versione moderna del “picconatore” in salsa sarda, è stato eletto quarantasettesimo Presidente degli States, le sue parole riverberano sulla costa sarda come non mai.

Filo rosso

Un filo “rosso” di vento che lega la costa atlantica a quella mediterranea, un esempio universale di globalizzazione delle parole, segno della potenza di chi le pronuncia. L’eco della conferenza stampa dell’uomo, volenti o nolenti, più potente del mondo hanno avuto l’effetto di uno tsunami, ovunque, Sardegna compresa. Sul pulpito presidenziale allestito nella villa più iconica degli Stati Uniti, quella che fu della prima donna tycoon americana, Marjorie Merriweather Post, le parole del prossimo inquilino della White House sono un manifesto per i prossimi quattro anni, quelli che si annunciano, per il mondo intero, a dir poco “scoppiettanti”. Parla a ruota libera, Donald Trump, ma ha ben chiaro quel che dice: vuole riprendersi il “Canale di Panama”, traguardare la Groenlandia, immaginando il dominio americano sulla rotta del circolo polare artico, riaffermando il principio di “American first”, “Prima l’America”. Dissemina messaggi ovunque e per tutti, propositi temerari e minacce a cuore aperto, programmi e missioni da perseguire con le buone o con le cattive.

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Tazebao eolico

C’è un tema sul quale il numero uno degli Stati Uniti si fa cupo e assume il peso del “salvatore” dell’ambiente e del paesaggio. Lo declina come un “tazebao” mondiale, affisso sulle coste d’America e sulle terre arse dalle pale eoliche dismesse e abbandonate in giro per gli States e non solo. Le sue parole in un attimo fanno il giro dell’universo, irrompono con la forza del maestrale tra le “grida” delle Borse del mondo intero. Strali destinati a segnare strategie finanziarie ed economiche, energetiche ed ambientali. L’irruzione eolica è per simboli. La sintesi è iconica: «questi mulini a vento diventano spazzatura, inquinano ovunque, restando cumuli di rottami, a servizio di chi guadagna alle spalle dei cittadini». Firmato Donald Trump, il Presidente più istrione della storia degli Stati Uniti d’America.

Spazzatura

L’incipit è donchisciottésco: «I mulini a vento invadono il nostro paese, sono disseminati ovunque, come se si lasciasse cadere della spazzatura in un campo. Questo è quello che succede: in un breve periodo di tempo si trasforma tutto in spazzatura». L’attacco è flemmatico, ma serrato come una cesoia: «L’energia eolica è quella più costosa, quei “mulini” funzionano solo se ottieni sovvenzioni statali. Le uniche persone che li vogliono sono quelle che si stanno arricchendo con i mulini a vento, quelli che ricevono enormi sussidi dal governo degli Stati Uniti». Ragiona con i numeri, il magnate americano fattosi per la seconda volta Presidente d’America. Le parole sono tranchant, anche pensando ai vantaggi per il mercato del “gas” americano. Ripete, sottolinea e ribadisce: «Quella eolica è l’energia molte volte più costosa del gas naturale pulito. Per questo proveremo ad avere un politica in cui non vengono più installati mulini a vento». Basterebbero queste parole per scaraventare nei quadranti finanziari delle Borse mondiali un macigno destinato ad affossare le major dell’energia. Ma lui, l’anchorman più spietato della Casa Bianca, non si accontenta e rincara la dose, questa volta in chiave ambientalista, mettendo spalle al muro coloro che pur dichiarandosi “green” ignorano il disastro naturalistico che stanno generando “i mulini a vento”. Li elenca con il gesto della mano che assegna un numero crescente allo sfregio: «Al largo della costa di New Jersey vogliono costruire circa 200 mulini a vento che stanno facendo impazzire la gente. Nessuno li vuole e sono molto costosi, non funzionano senza sussidio». Esemplifica il sentimento degli speculatori del vento: «Non persegui l’energia di cui hai bisogno, vuoi l’energia sussidiata perchè è un buon affare». Lo dice da uomo abituato a fare affari e lancia la sfida: «Per costruire questi mulini non hanno bisogno di sussidi, se vogliono farli, provino a farli senza i soldi dello Stato».

Balene pazze

Padroneggia l’argomento l’uomo della stanza ovale: «Quando costruisci queste torri enormi, alte come grattacieli, servono tre navi per spostarle. È una follia. Sono pericolose. Guardate cosa sta succedendo lassù, nella zona del Massachusetts, con le balene. Due grandi cetacei si sono arenati sulla riva. Ma sono tanti altri ad aver fatto quella fine da diciassette anni ad oggi. I mulini a vento stanno facendo diventare pazze le balene. Ne stanno morendo un’infinità. Non vogliamo che ciò accada. È un disastro». L’attacco all’ambientalismo a senso unico è circoscritto: «È incredibile il modo in cui ragionano: amiamo il vento, sembra bello. Ma non si fanno una domanda: lo sai dove finisce tutto questo dopo dieci anni? Devi demolirli. E cosa succede se non lo fanno? Succede che li lasciano lì. Stanno in piedi e arrugginiscono. E c’è chi dice che a causa di questo possono rilasciare un certo fibroma. E le eliche non possono essere sepolte nella Terra, perché distruggono l’ambiente».

Inquinamento

Lo si capisce lontano un miglio che l’argomento lo maneggia con malinconia, intrisa da rabbia, soprattutto da quando ha saputo che davanti alla sua “Tuerredda”, quella di Palm beach, gli vorrebbero costruire un “parco” eolico a mare, proprio davanti a Mar a Lago. Ai giornalisti spiazzati da tanta prolusione anti-eolica, nella conferenza stampa che annette il Canale di Panama e la Groenlandia, racconta: «Non so se vi è mai capitato di andare Palm Springs in California? Se andate in uno qualsiasi di questi posti, dove ci sono i mulini a vento, vi accorgerete che a lungo termine sono un disastro, si stanno arrugginendo, marciscono, tutti i parchi sono chiusi. Stanno cadendo a pezzi. Se andate a Palm Molle ne hanno messe di nuove accanto alle vecchie perché nessuno vuole buttarle giù. Perché dovrebbero buttarle giù? È molto costoso demolirle e non puoi farci niente. Le lame non puoi seppellirle a causa della tutela ambientale. Tutto questo non ha senso. Non ha senso tutto quello che ci dicono». Le borse del mondo crollano in un attimo. Tutti gli attori internazionali dell’eolico subiscono un tracollo finanziario immediato: le azioni dei due maggiori sviluppatori di parchi eolici offshore del mondo – la danese Orsted e la tedesca Rwe – così come i produttori di turbine Siemens Energy, Nordex e Vestas sono scese fino al 7%.

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Onda lunga

Ultimo effetto dell’editto di Mar-a-Lago: le sei maggiori banche degli Stati Uniti hanno tutte abbandonato il gruppo che si prefigge l’obiettivo di zero emissioni. La JP Morgan, la più grande banca d’affari Usa, è l’ultima a battere ritirata tra i colossi finanziari che avevano sposato il “green” spinto. È la stessa JP Morgan che puntava a devastare il Golfo degli Angeli a colpi di pale eoliche da 300 metri d’altezza. L’onda lunga di Mar-a-Lago ora potrebbe rivelarsi decisiva anche per salvare Tuerredda, e non solo.

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