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Insieme alla ormai ineludibile domanda – chi ci curerà domani? – gli esperti di sanità sono da tempo alle prese con il tema dei costi. Una questione non da poco, caratterizzata da una serie di paradossi. Se infatti la lenta ma costante emorragia di personale ha contribuito alla riduzione negli anni (e non di poco) la spesa ad hoc, nel 2023 è raddoppiata quella per i gettonisti (gli operatori reclutati tramite agenzie di somministrazione del lavoro e cooperative e pagati ‘a gettone’ dalle strutture per tappare i buchi e assicurare il servizio). Inoltre a pagare più caro il prezzo della riduzione di personale sono le Regioni più popolose e quelle del Centro-Sud, oltre alla Lombardia.
Carte alla mano, comunque, Fondazione Gimbe sottolinea come in undici anni siano andati persi oltre 28 miliardi di euro. Un risparmio? Insomma. Di sicuro un duro colpo alla sostenibilità del sistema. Ma vediamo meglio cosa è emerso nell’audizione presso la XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, impegnata nell’Indagine conoscitiva in materia di riordino delle professioni sanitarie
I numeri
Nel 2012-2023 “il capitolo di spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente è stato quello maggiormente sacrificato”, puntualizza il presidente Nino Cartabellotta. Dopo una progressiva contrazione da 36,4 miliardi di euro nel 2012 a 34,7 miliardi nel 2017, la spesa però ha iniziato a risalire raggiungendo 40,8 miliardi nel 2022, per poi riscendere a 40,1 miliardi nel 2023.
Ma rispetto alla spesa sanitaria totale, il trend rileva una lenta ma costante riduzione: se nel 2012 eravamo al 33,5%, nel 2023 siamo scesi al 30,6%. “Se la spesa per il personale dipendente si fosse mantenuta ai livelli del 2012, quando rappresentava circa un terzo della spesa sanitaria totale, negli ultimi 11 anni il personale dipendente non avrebbe perso 28,1 miliardi, di cui 15,5 miliardi solo tra il 2020 e il 2023, un dato che evidenzia il sacrificio economico imposto ai professionisti del Ssn”, dice Cartabellotta.
Il fatto è che gli operatori sono sempre meno. Per l’anno 2022, ultimo disponibile, la Ragioneria dello Stato riporta un totale di 681.855 unità di personale dipendente, pari ad una media nazionale di 11,6 per 1.000 abitanti con nette differenze regionali: da 8,5 unità per 1.000 abitanti in Lazio e Campania a 17,4 unità per 1.000 abitanti in Valle D’Aosta. “Nelle prime 5 posizioni” della classifica per dipendenti “si collocano tutte le Regioni e Province autonome a statuto speciale di più piccole dimensioni (Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Province autonome di Trento e Bolzano) oltre alla Liguria. Al contrario, al di sotto della media nazionale si trovano tutte le Regioni in Piano di rientro, tutte del Centro-Sud oltre alla Lombardia”.
Mettendo in correlazione, sempre per il 2022, le unità di personale dipendente con la spesa pubblica totale, la spesa per unità di personale a livello nazionale è pari a 57.140 euro, con un range che varia dai 49.838 euro del Veneto agli 81.139 della Provincia autonoma di Bolzano. Tutte le Regioni in Piano di rientro mostrano paradossalmente valori superiori alla media nazionale.
“L’ottimizzazione della spesa pubblica per il personale sanitario è stata gestita in maniera molto differente tra le Regioni. Non a caso, quelle più virtuose nell’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni registrano una spesa per unità di personale dipendente più bassa. Un risultato verosimilmente dovuto sia alla riduzione delle posizioni apicali, sia ad un più elevato rapporto professioni sanitarie/medici, che consente di ridurre la spesa mantenendo una maggiore forza lavoro per garantire l’erogazione dell’assistenza sanitaria”, nota Cartabellotta.
L’esplosione dei gettonisti
Secondo un report dell’Autorità Nazionale Anticorruzione relativo al periodo gennaio 2019 – agosto 2023, il fenomeno dei gettonisti era già molto evidente nel 2019, con una spesa complessiva di quasi 580 milioni. Nel 2020 con la pandemia il valore è crollato a 124,5 milioni, per poi risalire negli anni 2021-2022, fino a raggiungere, nel solo periodo gennaio-agosto 2023, quota 476,4 milioni di euro, il doppio rispetto all’anno precedente.
Le carenze
Nel frattempo i camici bianchi sono diventati rarità. E alcune specialità appaiono particolarmente in crisi. “Oltre ai medici di famiglia, le carenze riguardano alcune specialità di fondamentale importanza per il funzionamento del Ssn che non sembrano essere più di interesse per i giovani medici: medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia. Specialità per le quali la percentuale di assegnazione delle borse di studio per l’ultimo anno accademico è stata inferiore al 30%”, ricorda il numero uno di Gimbe.
Quanto agli infermieri, il fabbisogno stimato da Agenas è di 20-25 mila infermieri di famiglia e di comunità. Ma la situazione (già molto grave) difficilmente potrà migliorare a breve.
“Senza il personale sanitario, il diritto alla tutela della salute è seriamente a rischio. E senza una vera inversione di marcia volta a valorizzare i professionisti, il Servizio sanitario nazionale è destinato al fallimento”, è il commento di Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed. Ma una inversione di tendenza, “sebbene ritenuta imprescindibile da tutti gli attori che in qualche misura si occupano di sanità, non è all’orizzonte. La legge di Bilancio prevede solo finanziamenti spot che non consentono di ripescare il Ssn dall’abisso in cui al momento si trova. E per i medici non riserva nulla, se non un vergognoso aumento dell’indennità di specificità medica pari a 17 euro mensili”. Forse, si chiede Quici, “non risulta abbastanza chiaro che senza medici non c’è salute. E se non si interviene prontamente con interventi efficaci, ben presto le corsie degli ospedali saranno vuote”.
L’analisi
Conti alla mano il Ssn, insomma, “sta affrontando una crisi del personale sanitario senza precedenti, causata da errori di programmazione, dal definanziamento e dalle recenti dinamiche che hanno alimentato demotivazione e disaffezione dei professionisti. Senza un adeguato rilancio delle politiche per il personale sanitario, l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni di salute delle persone, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute”, conclude Cartabellotta, sottolineando che non si tratta solo di “una questione economica, ma di una priorità cruciale per la sostenibilità del sistema”. In ballo non c’è solo il lavoro degli operatori della sanità, ma la possibilità di continuare a garantire il diritto alle cure per tutti, indipendentemente dalla capacità di spesa.
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