«Se chiudo gli occhi e penso a Teheran vedo le strade piene, il traffico, la luce forte, l’odore del pane appena sfornato. Si chiama sangak perché cuoce su delle pietre ardenti, il profumo arriva lontano, invade le vie». Isabella Nefar ha 33 anni, fa l’attrice, è per metà iraniana e per metà italiana, oggi vive a Londra. Ha lasciato l’Iran diversi anni fa per studiare recitazione a Milano, alla Paolo Grassi. Il suo ultimo film Leggere Lolita a Teheran, diretto dall’israeliano Eran Riklis e tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Azar Nafisi, che al Festival di Roma ha vinto il premio Speciale della Giuria per il cast femminile, è stato uno dei più belli e significativi dell’anno appena finito, e lei lo porta nel cuore. Ripercorre la storia della professoressa di letteratura inglese che, nel 1979, costretta dalle leggi islamiche di Khomeini, abbandona l’università e crea un circolo segreto di lettura al quale partecipano sette delle sue studentesse. Le altre interpreti sono Bahar Beihaghi, Catayoune Ahmadi, Mina Kavani, Lara Wolf, la celebre Golshifteh Farahani, Zar Amir Ebrahimi e Raha Rahbari. «Nel prendere parte a questo film ho sentito un forte senso di sorellanza», spiega Nefar, «Poter stare insieme a queste altre artiste che hanno avuto un percorso simile al mio è stato molto emozionante. Abbiamo girato subito dopo l’inizio delle proteste in Iran, ed è stato molto forte interpretare una storia vissuta più di 40 anni fa che purtroppo racconta molto anche della situazione odierna del Paese. Essere accanto a Golshifteh Farahani per me è stato un sogno, lei è sempre stata una grande ispirazione per noi ragazze iraniane più giovani. Oggi c’è chi di noi è esiliato, chi non può tornare a casa, chi ha scelto un’altra vita, e poter fare qualcosa da lontano per l’Iran è una grandissima consolazione».
Lei è cresciuta anche in Italia?
«Sono nata e cresciuta in Iran. In Italia venivo ogni anno, in vacanza, a trovare i parenti. Ero convinta che trasferirmi qui avrebbe esaudito tutti i miei desideri di libertà. Quel via vai tra Italia e Iran è sempre stato per me un clash culturale, perché trovavo veramente ingiusto non poter fare a Teheran le stesse cose che vedevo fare in Italia ai miei coetanei. Così l’arte è sempre stata il mio modo per ribellarmi alle costrizioni. Volevo fare la ballerina, ma visto che in Iran non era possibile ballare mi sono avvicinata alla recitazione. Ho cercato delle professioniste, diplomate all’estero, che potessero insegnarmi a recitare, ho iniziato a frequentare le lezioni di nascosto».
In Leggere Lolita a Teheran interpreta Yassi, l’allegra del gruppo.
«Ha quella forte carica che appartiene ai più giovani, mette in discussione tutto: il suo ruolo di donna, il suo futuro, ma lo fa con una grande leggerezza. Di solito interpreto ruoli drammatici molto intensi, Yassi è intensa ma non drammatica. Pronuncia battute quasi comiche, ma allo stesso tempo vuole fare la rivoluzione. È un film che parla molto del tradimento, di come una rivoluzione che ha promesso tanto a tutti, poi finisce per negare tutto, tradisce ogni aspettativa».
Ha un po’ invidiato la libertà con cui era cresciuta Yassi prima della rivoluzione?
«L’ho invidiata, ovviamente in senso buono, per quel che riguarda il suo spirito. Per quella sensazione che provi solo da molto giovane, quando pensi che il mondo ti appartiene e che tutto andrà bene. Mi ha ricordato una parte di me, quando ero più giovane. Quando sono cresciuta in Iran pensavo che una volta andata via dal Paese tutto sarebbe andato bene. La cosa che mi differenzia da Yassi, invece, è che lei ha conosciuto l’Iran pre-rivoluzione, io no. Il suo ruolo di donna è cambiato completamente, per me è sempre stato normale non poter fare alcune cose. Sapevo che massimo a 13 anni avrei dovuto indossare il velo, che le feste erano illegali, che le donne valevano la metà degli uomini».
Quando a 18 anni si è trasferita a Milano per studiare com’è andata?
«Ho fatto due provini per la Paolo Grassi, poi un workshop e infine mi hanno preso. È stato difficile lasciare la mia famiglia, ma avevo bisogno di esprimere me stessa. Avevo bisogno di trovare la mia strada e a Teheran purtroppo non era possibile. La mia speranza è sempre stata quella di poter recitare anche nel mio Paese, il mio sogno è poter essere un’artista che lavora in l’Iran, che può celebrare e abbracciare tutta la bellezza del cinema iraniano».
Non torna in Iran da molto?
«Preferisco non scendere nei dettagli, ho parenti che vivono lì. Di base vivo a Londra e non più a Milano perché ho continuato qui i miei studi. Mi piacerebbe essere il più possibile presente in Italia con il mio lavoro, ma al momento preferisco vivere a Londra. Purtroppo ogni giorno mi sembra che l’Italia faccia dei passi indietro, il nostro governo diventa sempre più trumpiano. Il bello di Londra è che ci sono tantissime culture che si mescolano tra di loro, ma mi manca un po’ il calore degli italiani. Una delle scene che mi ha più segnato di Leggere Lolita a Teheran è quando si dice “anche se vai via dall’Iran, l’Iran resterà sempre dentro di te”. Solo chi è lontano dal proprio Paese, può capire fino in fondo queste mie parole».
Che idea si è fatta delle giovani generazioni iraniane di oggi?
«Hanno una marcia in più, sono diverse da noi, hanno a disposizione Instagram e i social media. La nostra generazione portava ancora il trauma della generazione precedente, che era quella cresciuta durante la guerra. Per noi vedere quello che fanno adesso le ragazze e i ragazzi in Iran è incredibile. Si tratta, credo, di cose che noi non avremmo mai fatto. Il loro coraggio e l’esposizione che quel coraggio può avere grazie ai social è qualcosa di potente e incredibile. Non hanno paura, rischiano la vita ogni giorno, fanno la rivoluzione. Li ammiro tantissimo. Scendono in strada, si vestono come vogliono, esprimono la propria individualità, mostrano chi sono davvero… si tratta della più grande lotta possibile».
Che cosa si augura per il suo futuro?
«Mi auguro di poter raccontare sempre storie che ci facciano riflettere, che raccontino il mondo».
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