CHANUKKAH – La riflessione della presidente Ucei

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Si avvia questa sera la festività di Chanukkà con i molteplici significati di cui è carica, e sicuramente tra le preferite per i nostri piccoli circondati di luci, doni e golosità.
È una festa caratterizzata proprio dalla relazione tra l’interno delle nostre case e la via esterna. Tra quello che viviamo nel nostro circuito chiuso e quello che viene comunicato all’esterno. Se Pesach è la festa della liberazione dalla schiavitù e dell’impegno per una narrazione dettagliata di quanto avvenuto ai nostri padri usciti dall’Egitto, la festa di Chanukkà sottolinea la riconquista della libertà – e in particolare la libertà di culto – e l’impegno di comunicazione. Le chanukiot devono essere poste davanti alla finestra in modo che i passanti possano vederle e apprendere quanto avvenuto. È una sfida di comunicazione verso l’esterno indeterminato. E vorrei aggiungere anche di dialogo. Per “gli altri” un oggetto (chanukkia) con candele accese ispira una certa attenzione per chi ci fa caso, forse una curiosità, ma quello che è ovvio per noi forse non lo è per gli altri e va quindi anche spiegato.
Ci è ben chiaro quanta differenza vi sia tra narrazione e comunicazione, tra l’uso di parole-testo e l’uso di oggetti che sintetizzano una vicenda, tra un imperativo di tramandare ai nostri figli e generazioni future il salvataggio da una condizione di sottomissione e l’attraversare il deserto, e l’imperativo di spiegare un miracolo a persone estranee ai fatti. Tra cercare la completezza del messaggio per condividere valori e speranze e lo scegliere selettivo e limitato di alcune parole e immagini che generano alla fine l’esatto contrario.
Per quanto vissuto in questi lunghi mesi di tenebre, di dolori e dilemmi laceranti, con punti interrogativi su quale sia nel buio delle menti odiatrici e assuefatte alla narrazione selettiva la logica per trovare un percorso di uscita verso una luce, il nostro impegno di comunicare è ancora più faticoso ma ancora più doveroso. Sono giorni in cui culminano sentimenti di bene e di spiritualità nel mondo ebraico e nel mondo che ci circonda e per questo l’impegno “di rendere noto il miracolo” riguarda anzitutto il dialogo con chi è profondamente credente e di chi rappresenta quella Religione. La fede è anzitutto una dimensione umana e ha come fine quello di vivere, offrendo supporto e sollievo, modelli di vita, per condurre vita di famiglia e di comunità. Per convivere assieme ad altri. La religione ha i suoi riti e simboli con cui si comunicano e si trasmettono sentimenti. E allora oggi è fondamentale che tutto sia incanalato verso la verità da riconoscere e narrare con senso di responsabilità. Che non si attribuisca attraverso vesti e versi un significato diverso alle icone e ai simboli religiosi. Che non si attribuisca il buio di una guerra a chi subisce il trauma. Il buio è una condizione in cui tutti ci troviamo e le luci non si accendono con gli slogan e le accuse che fanno riemergere un buio di coscienze, pregiudizi e persecuzioni medievali. Il dialogo, anche attraverso momenti di feste collimanti, seppur diverse, si basa sulla comune convinzione che le luci si accendono assieme. Il dialogo presuppone l’uso delle parole – attinte ai dizionari di guerre, di storia e di diritto internazionale – con senso di consapevolezza e responsabilità per il loro significato puntuale. Aprendo Porte del Giubileo e mantenendo ben aperte quelle del dialogo e della coerenza. La forza del rito e della preghiera è nella stratificazione millenaria elevando lo spirito, sentendosi parte di una forza motrice del mondo che siamo chiamati a preservare e nel quale seminare luce di bene verso l’altro. La forza distruttiva delle parole distorte è nel ripeterle generando oscurantismo. Essere pellegrini di speranza comprende anche il riconoscimento di quanto Israele e l’ebraismo sono alla base della fede.
Il concetto di esporre la nostra luce sobria – non accecante né spenta – è forse anche quello di ribadire che noi non ci isoliamo. Che ci siamo e che la nostra vita prosegue e non ci rintaniamo né ci nascondiamo per timore. Anzi cerchiamo convivenza e sappiamo porci anche in un confronto di idee e critiche per migliorare e difendere. Certo non per timore o prevaricazioni accecando altri con inesistente odio. E proprio in questo senso – di convivenza – Chanukkà porta il messaggio di affermare libertà di culto e di religione che in questo periodo vediamo gravemente minacciata.
E il messaggio che ribadiamo costantemente ogni giorno di buio imposto da narratori mediatici su masse ignare che passano per piazze e vie del mondo digitale e parallelo, è che non chiediamo di accendere fari di sicurezza per le nostre dimore e vite ma per quelle di un’intera collettività e sistema basato su presidi di legalità che preservano il nostro ordinamento costituzionale e democratico. Il buio è una responsabilità di cui si attende narrazione corretta da oltre ottant’anni. Ed è proprio l’abuso del diritto da parte di chi vuole spegnere luce per luce, pensando che non ce ne accorgiamo, a dover essere ben chiaro per illuminare menti e non solo i cuori addolorati dalle laceranti conseguenze delle guerre. Chi cerca suicidio spegne ogni giorno una luce si chiude in una stanza buia. Israele sicuramente non è chiusa né al buio perché riscaldata da candele che ogni giorno si accendono in memoria di chi ha sacrificato la vita, di chi è stato assassinato e portato via. Illuminata con sforzi di persone di ogni settore e credo religioso a donare tempo ed energie per la ricostruzione e il recupero. Per salvare la vita ovunque sia possibile come imperativo che supera e rafforza ogni precetto. Certo che non è facile, certo che ci sono opinioni diverse, certo che ci sono faticose sfide esistenziali, certo che la dialettica politica è accesa. Ma rappresenta una luce non un incendio né un buio e così cerco di vedere le cose ogni giorno. Israele in questi otto giorni di Chanukkà stracolmi di iniziative, festival e celebrazioni per bambini, aiuto alle famiglie e a chi si dedica alla sicurezza del Paese e di tutti i suoi cittadini, è piena di luce che fa sperare nella forza di recuperare dolore e lutto che sono parte della fatica millenaria di essere ebrei e del vivere in Israele.
C’è chi invece legge in tutto il buio e ne rende convinti anche gli altri. Anzi convincendo che ciascuno di noi e tutte le comunità, oltre ad Israele, ad essere il buio genocida e la disgrazia del mondo. C’è chi aiuta a spegnere le luci nelle nostre democrazie dando supporto a chi sparge fiammiferi nelle piazze e nelle università, portando i nostri Paesi e l’Europa al suicidio.
Io metterò da stasera e per otto giorni da 1 a 8 luci verso la strada per fare comprendere quanto avvenuto millenni fa e quanto accade ancora oggi, sperando che ogni limitazione alle libertà che diamo per così ovvie sia arginata e di vivere ogni atteso miracolo di salvezza per chi ancora sta lontano dal nostro punto di luce con una chanukkia accesa.
Un augurio di Chanukkà sameah a tutte le Comunità, ai nostri giovani e bambini di spensieratezza e gioia, forza e determinazione per andare avanti.

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Noemi Di Segni, presidente Ucei



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