I tanti modi con cui un presidente del Consiglio può comunicare

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Tra i tanti modi con cui il governo e il presidente del Consiglio comunicano con la stampa e coi cittadini, la conferenza stampa è il più istituzionale. La conferenza stampa di fine anno, poi, lo è in maniera particolare: quella di tracciare un bilancio dell’azione di governo relativo all’anno che si conclude, e definire le prospettive per quello che sta per iniziare, è una tradizione ormai consolidata da decenni.

Ma ci sono molti altri canali che un capo di governo può usare, più informali e discreti, ciascuno con particolarità e scopi diversi: interviste, note stampa alle agenzie e anche chat su WhatsApp (ci torniamo).

Il primo a fare una conferenza stampa di fine anno fu Giulio Andreotti: il 28 dicembre del 1976 il leader democristiano, a capo di un governo che non godeva di una effettiva maggioranza parlamentare e che fu per questo chiamato il governo «della non sfiducia», decise di dare un’intervista negli studi del telegiornale Rai rispondendo alle domande dei direttori dei sette principali quotidiani nazionali. Era un periodo di grosse tensioni sociali e politiche, il paese era nel pieno dei cosiddetti “anni di piombo” segnati dal terrorismo e dalla violenza politica, e inoltre era in ristrettezze finanziarie. Perciò Andreotti pensò che fosse opportuno dare un messaggio rassicurante ai cittadini.

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Da allora, con modi e formule che si sono andate modificando nel corso del tempo, la conferenza stampa di fine anno, organizzata dall’Ordine dei giornalisti e dall’Associazione della stampa parlamentare, si è affermata come un momento solenne nel rapporto tra il presidente del Consiglio e i media, e si è tenuta sempre salvo poche eccezioni (l’ultima fu nel 2009, quando il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e il suo principale consigliere era il sottosegretario Gianni Letta, che proprio nel 1976 aveva partecipato alla prima conferenza stampa, quella di Andreotti, come direttore del quotidiano Il Tempo).

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al Senato, il 20 maggio 2004, insieme al suo storico portavoce Paolo Bonaiuti (Roberto Monaldo/LaPresse)

Con Giorgia Meloni, per il secondo anno consecutivo questa tradizione ha subìto una piccola alterazione per cui la conferenza stampa di fine anno si svolge all’inizio dell’anno nuovo. Quella prevista per la fine del 2023 fu rimandata prima dal 23 al 28 dicembre, e quindi si tenne il 4 gennaio del 2024 a causa di precarie condizioni di salute di Meloni; stavolta è stata invece direttamente fissata per il 9 gennaio. C’è peraltro una grande attesa per questo evento, anche perché negli ultimi dodici mesi Meloni ha di fatto partecipato a una sola conferenza stampa oltre a quella del 4 gennaio: quella del 15 giugno da Borgo Egnazia, in Puglia, in occasione del G7 da lei presieduto.

In altre occasioni ha risposto a domande della stampa insieme ad altri capi di Stato o di governo (a Kiev, in Ucraina, il 24 febbraio; a Shengjin, in Albania, il 5 giugno; a Roma, col primo ministro britannico Keir Starmer, il 16 settembre). A volte ha tenuto dei “punti stampa”, cioè dei brevi colloqui di cinque o dieci minuti organizzati in maniera più estemporanea in occasione dei Consigli europei a Bruxelles (i cosiddetti doorstep) o dei suoi viaggi internazionali (qui, per esempio, quello durante il G20 a Rio de Janeiro, in Brasile).

– Leggi anche: Le cose false e fuorvianti dette da Meloni in conferenza stampa

Al contrario, Meloni ha rinunciato ad altri tradizionali momenti di incontro con la stampa: le conferenze stampa alla fine dei Consigli europei e quelle al termine dei più importanti Consigli dei ministri, dove di solito il capo del governo interviene, insieme ai ministri più direttamente coinvolti nelle varie materie, per spiegare le misure approvate. È stata notevole, tra le varie, la mancata partecipazione alla conferenza stampa dopo che il Consiglio dei ministri aveva approvato il disegno di legge di bilancio, il 18 ottobre del 2024.

Questa riluttanza a incontrare la stampa in occasioni ufficiali che prevedono molte domande dei cronisti Meloni l’ha sviluppata a partire dalla confusionaria conferenza stampa che si svolse a Cutro, in seguito a un Consiglio dei ministri straordinario per il naufragio avvenuto al largo del comune calabrese.

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Un momento del Consiglio dei ministri a Cutro, il 9 marzo 2023 (Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse)

Ma oltre che alle conferenze stampa e ai punti stampa, il presidente del Consiglio ha molti altri modi per comunicare in maniera formale e diretta: le interviste, per esempio, sia quelle televisive o radiofoniche, che possono essere in diretta o registrate, sia quelle concesse in occasione di eventi pubblici più o meno grandi (feste di giornali o di partito, meeting e convegni di associazioni), sia ai giornali, che prevedono invece quasi sempre un lungo lavoro preparatorio.

Se infatti le interviste televisive rispondono all’esigenza di dare una certa immagine di sé e occupare, per così dire, lo spazio mediatico, le interviste ai quotidiani vengono concesse più di rado da un presidente del Consiglio, e quasi sempre per dare dei messaggi importanti ad altri leader di partito, ad alleati o avversari, e in generale per parlare a una cerchia più ristretta di “addetti ai lavori”. Altrettanto sporadiche sono le interviste che un presidente del Consiglio concede ai settimanali o alle riviste che non si occupano direttamente di politica, ma che trattano per lo più di attualità, costume e gossip: sono quasi sempre corredate da servizi fotografici impegnativi e molto ben studiati dallo staff del leader, e servono a parlare a un pubblico che di solito non segue questioni parlamentari.

Ma la presidenza del Consiglio, e cioè il capo del governo e i suoi più stretti collaboratori, comunica anche in maniera più discreta. Ufficialmente, tramite comunicati e note stampa, cioè documenti direttamente e formalmente attribuibili a Palazzo Chigi: servono a fornire informazioni, a chiarire, a dare in maniera esplicita la posizione del governo su alcune questioni. E poi con metodi meno ufficiali.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte col suo portavoce Rocco Casalino davanti all’ingresso di Palazzo Chigi, il 15 marzo 2019 (Fabio Cimaglia/LaPresse)

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Da anni è abitudine dei portavoce dei presidenti del Consiglio creare dei canali o chat allargate su WhatsApp. Lì vengono diffusi sia i comunicati e le note ufficiali, sia messaggi più ufficiosi. Sono cosiddetti “off the record”, cioè informazioni che il governo diffonde ma senza prendersene direttamente la responsabilità. Spesso in questi casi le notizie vengono riportate da quotidiani o agenzie stampa come provenienti genericamente da “fonti di Palazzo Chigi”. Tutti sanno che questi messaggi provengono dal presidente del Consiglio o dai suoi collaboratori, ma al tempo stesso è come se il capo del governo si nasconda un po’ dietro una formulazione più vaga, restando insomma più “nell’ombra”. Spesso si ricorre a queste formule quando il presidente del Consiglio vuole indirizzare la lettura di certi fatti o mandare messaggi ad altri politici, senza però che quei messaggi possano essergli esplicitamente attribuiti.

Succede anche che i collaboratori del presidente del Consiglio creino delle chat più ristrette, o inviino messaggi delicati a un numero molto ridotto di cronisti che seguono quotidianamente ciò che fa il capo del governo e ciò che avviene a Palazzo Chigi (a volte anche a uno solo di questi). Ma in casi del genere, quasi sempre, le regole d’ingaggio prevedono che non vengano date informazioni sulle fonti di quei messaggi, o che si ricorra a formule ancor più vaghe che alimentano perlopiù i retroscena: “Chi ha parlato con il presidente del Consiglio dice che…”, “Chi ha potuto raccogliere le confidenze del capo del governo ritiene che…”, “Quel che si vocifera nei corridoi di Palazzo Chigi è che…”, eccetera.

E in certe occasioni particolarmente delicate la stessa cosa avviene senza la mediazione di smartphone o altri dispositivi: può capitare infatti che un presidente del Consiglio in prima persona, o delegando dei suoi collaboratori, convochi a Palazzo Chigi un piccolo gruppo di cronisti per fare il punto della situazione. Accade perlopiù alla vigilia di un importante viaggio diplomatico, o in seguito a casi che hanno alimentato polemiche che il governo ritiene particolarmente fastidiose, o talvolta in casi diplomatici che coinvolgono i servizi segreti o che comunque hanno a che fare col lavoro di intelligence. Ma talvolta questi incontri vengono organizzati, in maniera più o meno ricorrente, anche solo per creare un clima più disteso coi giornalisti che seguono da vicino il presidente del Consiglio.

E poi, ovviamente, un presidente del Consiglio comunica anche direttamente coi giornalisti, o almeno con quelli più importanti, coi direttori delle principali testate, o con quelli con cui è maggiormente in confidenza. Telefonate, SMS, messaggi su WhatsApp o su altri servizi di messaggistica ritenuti più sicuri, note audio: ognuno ha le sue preferenze e le sue abitudini. Mario Draghi era, per esempio, piuttosto restio a comunicare direttamente coi cronisti al di fuori delle occasioni ufficiali; Matteo Renzi e la stessa Meloni, al contrario, hanno sempre avuto un approccio diverso, con un rapporto più franco e confidenziale coi cronisti. Anche in questo caso il modo in cui questi messaggi vengono riportati dipende dall’intesa più o meno esplicita che un capo del governo definisce col giornalista. E ovviamente un presidente del Consiglio, a seconda delle circostanze, può avere interesse a fornire delle indicazioni senza che si sappia in alcun modo che è lui o lei a diffonderle, o invece può volere che si sappia, o che quantomeno si intuisca, quale sia la sua idea o il suo pensiero.



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