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Le Regioni sono in ritardo sulle aree idonee. E molte proposte di legge sono punitive verso le rinnovabili

Era visto come il provvedimento che avrebbe, finalmente, sbloccato le fonti rinnovabili levandole da quel groviglio di lacci e lacciuoli burocratici nel quale erano invischiate, e invece ha rafforzato l’entropia burocratica al punto che dopo oltre sei mesi dalla sua genesi sono ben poche le Regioni che hanno preso delle misure nella definizione delle aree idonee per le fonti rinnovabili. E ciò perché il Governo ha deciso di non decidere e di rimettere qualsiasi atto normativo concreto alle Regioni. Continuando così nell’equivoco generato all’inizio di questo secolo con l’adozione del Titolo V della Costituzione di ritenere l’energia come materia “concorrente” tra Stato e Regioni. Indicare criteri nazionali e poi affidarsi a queste, infatti, si sta rivelando essere un boomerang. L’unica Regione ad aver varato una decisione circa le Aree Idonee sul proprio territorio, infatti, è la Sardegna, che si è pronunciata con un dispositivo legislativo all’interno del quale in pratica non esistono aree idonee. Bloccando così di fatto le fonti rinnovabili. Le altre, poche, che hanno predisposto un qualche atto in questa direzione e a vario titolo sono Calabria, Lombardia, Piemonte, Lazio, Abruzzo, Toscana e Puglia.

 

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Tempo prezioso

Un’attività che va a rilento per la quale anche pochi mesi sono preziosi sia per centrare gli obiettivi sia perché il clima sta peggiorano. L’osservatorio europeo Copernicus, infatti, ha decretato che il 2024 è l’anno più caldo da quando sono iniziate le misure puntuali del clima globale nel 1880, con +1,62 °C. Superando così gli 1,5 °C al 2100 dell’accordo di Parigi. Secondo il Decreto Aree Idonee, infatti, per raggiungere gli obiettivi necessari al 2030 servono almeno 61,4 GW da realizzare nei prossimi sei anni, pari a 10,2 GW l’anno. Nel raggiungimento di questi obiettivi il ruolo delle Regioni è essenziale, e in base al Decreto stesso si dovranno installare 80 GW di nuova potenza, secondo la ripartizione definita provvedimento. E da questo punto di vista non ci siamo. Le Regioni, infatti, oltre che in ritardo sull’individuazione delle aree idonee sono in forte ritardo anche sul fronte degli obiettivi regionali che sono definiti nel decreto stesso. Secondo il report di Legambiente “Regioni e aree idonee” pubblicato il 27 novembre 2024, il ritardo rispetto al Burden Sharing 2030 è evidente. «Trentino-Alto Adige a parte, che spicca con il 60,8% dell’obiettivo raggiunto, le altre Regioni si mantengono al di sotto del 35%. – scrive nella sua analisi Legambiente – Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Valle D’Aosta e Piemonte hanno una media tra il 34,4% e il 30,6%, e poi a scendere fino ad arrivare nelle ultime posizioni con il Molise, appena il 7,6%, la Sardegna con il 13,9% e la Calabria con il 14%».

 

Provvedimenti sotto alla lente

E l’analisi di Legambiente non si ferma solo all’aspetto qualitativo, ma entra nel merito. La Calabria, per esempio, ha una proposta di Legge regionale che «risulta troppo restrittiva soprattutto considerando le fasce di rispetto per l’eolico», mentre uno sforzo maggiore dovrebbe essere fatto in tema di aree agricole. Caso diverso la Lombardia, la cui legge regionale promossa è «impostata non per essere di ostacolo allo sviluppo delle rinnovabili ma per ridurre la discrezionalità dei processi autorizzativi, nonostante la retroattività della norma che appare un elemento di criticità importante». In Puglia sono «troppe le restrizioni che si ravvisano all’interno della normativa, come nel caso del solare galleggiante o dell’agrivoltaico, mentre sono eccessive le distanze dai siti UNESCO». La legge della Sardegna è, per l’associazione ambientalista, bocciata. Del lungo elenco di criticità citiamo solo la più “strana”: «per l’eolico sono inidonee aree che distano meno di 2 km, in linea d’aria, da grotte e caverne».

 

Cose da fare

Legambiente chiude il proprio rapporto con una serie di raccomandazioni per i decisori locali ai fini di una corretta stesura delle leggi regionali per l’identificazione delle aree idonee, tra le quali spicca quella che riportiamo: «sia applicato il principio di limitazione al minimo necessario delle zone di esclusione in cui non può essere sviluppata l’energia rinnovabile (come previsto dalla recente Raccomandazione della Commissione UE n. 2024/1343). In quest’ottica, le aree ‘miste’ e quelle che non sono state definite come aree idonee non possono essere considerate inidonee tout court. Inoltre, le zone non idonee devono essere puntualmente giustificate sulla base di dati tecnici e scientifici, non generici, eventualmente verificando la possibilità di ridurre gli impianti, piuttosto che vietare, tout court, le installazioni».

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Rimane però lo sconcerto generale rispetto al fatto che la “babele energetica” che si è sedimentata in questi decenni non si è voluta superare. Se ciò sia dovuto a un eccesso di sensibilità o rispetto da parte dell’autorità centrale verso gli enti locali, oppure a un preciso disegno di “frenata” delle rinnovabili, non siamo, per ora, in grado di determinarlo. Verificheremo numeri alla mano, partendo dal fatto che nonostante tutto il 2024, in Italia,  si è chiuso con l’installazione di circa 7,5 GWe di nuove rinnovabili. Valore ancora sotto ai 10,2 GWe/anno necessari ma che testimonia la vitalità del settore.

*direttore di Nextville



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