La torsione “localista” e pragmatica del jihad

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6 Gen , 2025

Jihad, diplomazia, governance. È la triade che spiega il successo prima dei Talebani in Afganistan, ora di Hayat Tahrir al-Sham in Siria. Due gruppi la cui parabola ed evoluzione – più lunga e coerente quella dei Talebani, più breve e irrequieta quella di Hts – incarnano una medesima tendenza, in una prospettiva storica. La torsione più recente del jihadismo contemporaneo: pragmatica, localista, perfino nazionalista.

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La via l’hanno tracciata i Talebani, arrivando al potere nell’estate 2021 unendo alla guerriglia armata un percorso fatto di pragmatismo, presenza territoriale (a volte tradotta in macchina para-statuale), rivendicazioni nazionaliste. E poi diplomazia in chiave interna, regionale e internazionale. Scelte contestate duramente dallo Stato islamico, che incarna invece l’altra tendenza del jihadismo contemporaneo: transnazionale, globalista, aliena al compromesso. Nell’estate di 3 anni fa, mentre la propaganda lo Stato islamico bollava i Talebani come venduti agli americani, corrotti dalla politica, votati al decadimento, traditori della causa, in Siria al Jowlani salutava con giubilo e guardava con ammirato interesse, già esplicito negli anni precedenti, la vittoria degli eredi di mullah Omar. Considerati un modello. Il jihad messo al servizio di obiettivi politici, piegato alle esigenze dettate dalle circostanze. Un mezzo, non un fine. Il nemico vicino, la causa domestica, non il nemico lontano, non la corruzione e l’eresia ovunque nel mondo. E i confini nazionali come cornice di riferimento della lotta, perimetro contestato dai fautori del jihad globalista perché frutto del colonialismo e dell’imperialismo occidentale, prima ancora di Sykes-Picot.

Quanti adottano solo la lente “esogena” per valutare la rivoluzione in corso in Siria sottovalutano l’evoluzione del gruppo di al Jowlani: per loro è in atto una grande riconfigurazione del Medio Oriente, precisamente voluta e precisamente orchestrata, di cui Hts sarebbe solo una comparsa. Una semplice pedina dei grandi progetti americani e israeliani, comprata e indirizzata attraverso la Turchia, membro orientale della Nato, per disintegrare uno dei pochi Stati arabi non allineati agli interessi di Washington e Tel Aviv. Al Jowlani? Un uomo dei servizi americani, come dimostrerebbe il suo passaggio nelle carceri americane in Iraq. Bella storia. Ma sbagliata.

La storia personale di al Jowlani riflette al contrario i dibattiti, ideologici e strategici, di interessi, ambizioni personali e speculazioni dottrinarie, del jihadismo contemporaneo. Che ha una sua storia specifica, in dialogo costante, conflittuale e dinamico, con la storia delle grandi, medie e piccole potenze e dei loro interessi. Nel 2013, per esempio, è proprio al Jowlani a sollecitare lo scambio epistolare, poi il confronto, infine la rottura da cui sarebbe derivata la più profonda spaccatura dell’arcipelago jihad: quella tra lo Stato islamico e al-Qaeda. Lo Stato islamico infatti diventa tale con un “parricidio”, l’uccisione simbolica della vecchia guardia qaedista da parte dei giovani irrequieti, oltranzisti seguaci del futuro Califfo al-Baghdadi. Tra cui al Jowlani. A cui però non andava a genio il progetto espansionista di al-Baghdadi, che unica il fronte siriano e iracheno. Per frenarlo, cercò l’assistenza del numero uno di al-Qaeda, l’egiziano Ayman al-Zawahiri. Da cui prese le distanze nel 2016, con la rottura da al-Qaeda e la nascita di Jahbat Fatah al-Sham, una mossa che allora molti lessero come cosmetica e di marketing. Ma che anticipava la torsione localista e nazionalista messa in pratica a Idlib, con la nascita di Hayat Tahrir al-Sham, l’istituzione nel 2017 di un apparato politico-amministrativo, i dipartimenti per i servizi sanitari, educativi, di ricostruzione, etc etc.

La torsione localista e nazionalista del jihad fa seguito e contraddice la lunga ondata del jihadismo globalista (non ancora conclusa), che è nata come esito imprevisto della repressione domestica dei gruppi dell’islamismo politico da parte dei regimi arabo-musulmani, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Quella repressione ha favorito il panislamismo, poi l’internazionalizzazione dell’islamismo radicale. E la nascita di organizzazioni con ambizioni transnazionali, prima al-Qaeda, poi lo Stato islamico. La vittoria prima dei Talebani in Afghanistan, oggi di Hayat Tahrir al-Sham in Siria, indicano un’altra via. Passibile di emulazione da parte di altri gruppi jihadisti, anche altrove nel mondo, dove la torsione localista – opportunista o più convinta – è già in atto.

Questo articolo è uscito l’11 dicembre 2024 sul manifesto, che ringraziamo

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