I trasporti, Zaia e il caso Lombardia. Tutti i fronti aperti del leader leghista

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Ha visto tempi migliori la leadership di Matteo Salvini, ma nei sondaggi la Lega resta più o meno stabile. Il che è un motivo di conforto per il segretario e ministro alle prese con la grana dei treni che non funzionano. Oltre alla vicenda ferroviaria che lo ha spinto a non partecipare all’inaugurazione della nuova piazza dei Cinquecento a Roma, e a farsi rappresentare dal ministro per il Rapporti con il Parlamento, Ciriani, ieri al question time alla Camera, ci sono svariati fronti aperti in cui Salvini da politico di professione deve cimentarsi. E non gli manca di certo l’esperienza per muoversi in terreni così scivolosi. La prima precauzione che ha preso in questi giorni non facili è quella di evitare eccessiva sovraesposizione sui social, che pure sono il suo campo privilegiato, o almeno di trattarvi i temi più convenienti – soprattutto quello della lotta all’immigrazione, che però la gestisce Piantedosi e al Viminale resterà questo Matteo e non gli subentrerà quello che c’era prima – piuttosto che quelli più impopolari come appunto il blocco dei treni.

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Un fronte salviniano è quello che riguarda il partito e oggi la Lega riunisce il suo consiglio federale. Da via Bellerio, Milano, Salvini chiederà a Meloni di lasciare il Veneto alla Lega. Dovrà dare soddisfazione, oltre che a se stesso come capo partito, a quell’asse del Nord formato da Zaia, Fedriga, Fontana, i capigruppo Romeo e Molinari e tantissimi lumbard e venetisti, che è in sofferenza e pretende di essere garantito, protetto e rilanciato da Salvini. Nessuno è in grado di fare le scarpe, su questo non c’è dubbio, a quello che un tempo tutti chiamavano il Capitano. E nessuno aspira in questo momento a prendere il suo posto, anche perché nel fallimento di fatto della riforma dell’autonomia differenziata guidare il Carroccio gravato da questa sconfitta è quanto di meno agevole per chiunque.

TRATTATIVE
La delusione dei governatori del suo partito, non solo per l’autonomia ma anche per lo stop al nuovo mandato per Zaia (la Corte Costituzionale potrebbe rimediare ma chissà), è forse la spina più dolorosa. Ma a Salvini non mancano capacità politiche come si sa e non è detto affatto che il problema del Veneto non si possa risolvere. C’è una trattativa nel centrodestra tutta ancora da imbastire. Meloni, Salvini e Tajani ancora non si sono visti per parlare delle Regionali del 2025. Le condizioni di Zaia sono le seguenti: elezioni regionali slittate al 2026 (la decisione spetta alla Conferenza Stato-Regioni presieduta dal leghista Fedriga e un eventuale rinvio consentirebbe a Zaia di inaugurare le Olimpiadi invernali Milano-Cortina a cui tiene assai), sblocco dei mandati e contestuale ricandidatura dopo 15 anni di potere incontrastato in Veneto ma si sa il potere fa venire voglia di altro potere. Riuscirà Salvini a garantire tutto ciò al potente governatore che vuole continuare a governare? Questo non dipende da Salvini e perciò per Salvini è un problema. E per lui non è neppure semplice – se come è probabile non riesce a Zaia il Piano A, cioè quello di succedere ancora una volta a se stesso in Regione – trovare un posto al presidente veneto come ministro del governo Meloni sia perché la premier è nemicissima di ogni ipotesi di rimpasto sia perché non si saprebbe chi sacrificare nella compagine dell’esecutivo, meticolosamente costruita con il bilancino, per favorire il nuovo innesto oltretutto in un dicastero di peso perché non si può collocare in un posticino senza portafoglio un leader territoriale abituato da tanto tempo a maneggiare grandi quantità di soldi. Il Piano B di Zaia di rottura con FdI e con Forza Italia prevede una lista venetista a suo nome, e le possibili candidate presidenti sono due donne (Elisa De Berti, attuale vice presidente della giunta e assessora alle Infrastrutture, e Manuela Lanzarin, assessore alla Sanità). La forza della Lega in Veneto è che Meloni non può contare su esponenti locali molto forti da mettere in campo: ci sono voti per FdI in quella regione ma non i top player. Salvini potrebbe così giocare, secondo alcuni dei suoi, questa carta: dateci subito il Veneto e noi vi daremo la Lombardia (tanto si vota fra tre anni, dopo le Politiche). Accetterà Giorgia togliendo dai guai Matteo? Lui intanto ha blindato tutti i simboli della Lega, quelli con il suo nome e quelli senza, per evitare che qualche scissionista se ne appropri, e deve preparare il congresso del Carroccio a marzo. Che non sarà facile, viste le recriminazioni dei leghisti veneti e lumbard.

Mario Ajello

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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