Il conflitto “a bassa intensità” tra la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Rwanda rappresenta una delle crisi più complesse e persistenti dell’Africa centrale, un nodo che intreccia storia, politica, economia e dinamiche regionali. Recenti eventi, come il fallimento del summit di pace di Luanda e l’avanzata dei ribelli del M23, hanno aggravato una situazione già estremamente fragile.
In particolare, il vertice di Luanda, previsto per il 15 dicembre 2024 e mediato dall’Angola, avrebbe dovuto rappresentare un momento di dialogo tra il presidente congolese Félix Tshisekedi e il suo omologo rwandese Paul Kagame. Tuttavia, l’assenza di Kagame ha sancito l’ennesimo fallimento diplomatico. La mancata partecipazione del Rwanda sembra essere stata una risposta alla richiesta della RDC di interrompere il supporto all’M23, un gruppo ribelle che Kinshasa accusa Kigali di armare e sostenere. Per il Rwanda, accettare una simile condizione avrebbe significato ammettere un coinvolgimento diretto nel conflitto, una posizione evidentemente irricevibile.
La situazione attuale può essere descritta come uno “stallo erosivo”: i rapporti bilaterali sono paralizzati, ma il deterioramento delle relazioni continua. Le accuse di “repeuplement” mosse da Tshisekedi, che paventa un piano rwandese di “sostituzione etnica” nell’est del Congo (una teoria complottista simile a quella diffusa in Europa da vari esponenti di estrema destra), alimentano ulteriormente le tensioni, nonostante manchino prove concrete a sostegno di tali affermazioni.
Dal canto suo, il Movimento 23 Marzo (M23), che è al centro delle ostilità nell’est della RDC, è attualmente in espansione. Fondato nel 2012, il gruppo si dichiara difensore dei diritti della comunità tutsi congolese (anche nota come Banyamulenge), ma è accusato di crimini di guerra e di destabilizzazione della regione. Dal 2021, il M23 ha intensificato le operazioni militari, controllando ampie aree del Nord Kivu, come dimostra la recente conquista di Masisi, una città strategica che ha aggravato la crisi umanitaria.
Il successo militare del M23 evidenzia la debolezza strutturale dell’esercito congolese (FARDC), frammentato e segnato da diserzioni e crimini interni. Per farvi fronte, nel marzo 2024 il governo di Kinshasa ha ripristinato la pena di morte dopo 20 anni di moratoria e, in meno di un anno, i soldati condannati a questa punizione estrema, per vari reati militari, sono almeno 172 (di cui un centinaio sembrerebbero già stati uccisi in pochi giorni). L’ultima sentenza di questo tipo, nei primi giorni del 2025, è stata contro tredici soldati congolesi per crimini di guerra, emessa dal tribunale militare di Lubero, e sottolinea una mancanza di disciplina e di coordinamento all’interno delle forze armate. Queste carenze rendono il governo di Kinshasa incapace di contenere l’avanzata dei ribelli e di garantire la sicurezza nelle aree colpite.
Parimenti, la missione internazionale di pace MONUSCO, attiva nella Repubblica Democratica del Congo da oltre due decenni, appare ormai del tutto inefficiente. Nonostante un bilancio annuo di 1,13 miliardi di dollari, il suo impatto è stato minimo, lasciando milioni di persone nella miseria e alimentando violenze e divisioni. La recente estensione del mandato da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU perpetua una situazione in cui il mandato di “mantenere la pace” appare svuotato di significato. Nel corso del 2024, questa missione ha avviato un processo di progressivo disimpegno (ad esempio, nella provincia del Sud Kivu ha gradualmente ridotto la sua presenza), ma il bilancio complessivo è storicamente insoddisfacente.
RDCongo, colloqui tra ONU e partiti su sicurezza e disimpegno MONUSCO
Mentre la RDC lotta con le proprie fragilità interne, il Rwanda sembra perseguire una strategia differente. Kigali si è impegnata negli ultimi anni a costruire un’immagine internazionale positiva, ospitando eventi globali di rilievo come il Campionato del Mondo di ciclismo su strada del 2025, il primo mai tenuto in Africa. Entrare in un conflitto diretto con la RDC metterebbe a rischio questa narrazione e isolerebbe il Rwanda sul piano internazionale, un costo che Kigali non sembra disposto a pagare.
Al contempo, il Rwanda continua a mantenere un’influenza strategica nell’est del Congo, utilizzando il M23 come leva indiretta. Questa strategia permette a Kigali di tutelare i propri interessi economici e geopolitici nella regione, senza esporsi direttamente a sanzioni o interventi esterni.
Il conflitto tra Rwanda e RDC difficilmente evolverà in una guerra aperta. La disparità di motivazioni e di organizzazione tra i due Paesi è evidente: mentre la RDC è frammentata e inefficace (voci parlano di una possibile ricandidatura alla presidenza di Joseph Kabila, sicuramente più gradito a Kigali), il Rwanda è un attore compatto con obiettivi ben definiti, nonché con rapporti piuttosto saldi nella regione, specie con Uganda e Kenya. Tuttavia, il rischio di un’ulteriore escalation è reale, soprattutto se il conflitto continuerà a destabilizzare l’area dei Grandi Laghi.
È una sfida complessa anche per la comunità internazionale. Da un lato, è necessario aumentare la pressione diplomatica sul Rwanda per garantire un reale impegno verso la pace. Dall’altro, occorre sostenere la RDC nel rafforzamento delle proprie istituzioni, in particolare riformando le forze armate e promuovendo la riconciliazione nazionale.
Il rapporto tra Rwanda e RDCongo rimane un enigma geopolitico, segnato da rivalità storiche, interessi economici e dinamiche di potere regionale. Lo “stallo erosivo” in corso richiede un intervento deciso e multilaterale per evitare che la crisi si approfondisca ulteriormente, portando nuove sofferenze a una popolazione già martoriata. Solo un approccio integrato, che tenga conto delle reali motivazioni e delle dinamiche locali, potrà aprire la strada a una soluzione sostenibile.
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