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Immaginate di vivere in un Paese normale. Anzi, meglio: in una democrazia normale.
Immaginate pure che esca un video in cui dei carabinieri inseguono una coppia di ragazzini in motorino che non si sono fermati a un posto di blocco, e che in quel video si sentano gli agenti che si incitano vicendevolmente a speronare il motorino per farlo cadere, e a dolersi nel non essere riusciti a farlo. Immaginate pure che nel corso di quell’inseguimento si verifichi un impatto tra motorino e volante, che uno dei due ragazzini muoia in seguito a quell’impatto, e che quegli stessi agenti si premurino di far cancellare o occultare ogni video che racconti la dinamica di quell’inseguimento.
Immaginate anche che, qualche giorno dopo, dei poliziotti fermino delle giovani militanti nel corso di una manifestazione ambientalista di protesta, le portino in Questura e, arrivate lì, in una stanza gelida, chiedano loro di spogliarsi, di togliersi gli slip e di piegarsi tre volte sulle gambe.
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In una democrazia normale, probabilmente, si discuterebbe della tutela delle persone di fronte a due presunti casi di prevaricazione da parte delle forze dell’ordine. E magari di come tutelare maggiormente i cittadini per far sì che l’uso della forza di cui le forze dell’ordine stesse hanno monopolio sia commisurato alla reale entità dei reati commessi, o del disordine sociale che una manifestazione di protesta può provocare.
In Italia, invece, di fronte al video della morti di Ramy Elgaml nessun esponente del governo o della maggioranza si è sentito in dovere di dire alcunché. Così come del resto di fronte ai racconti delle militanti di Extinction Rebellion Brescia. A scatenare le ire e il furore legislativo della maggioranza di destra che sostiene Giorgia Meloni sono stati gli episodi di violenza verso le forze dell’ordine durante la manifestazione di Bologna per protestare contro la morte di Ramy. Episodi che hanno convinto la maggioranza a proporre una sorta di “scudo” per i poliziotti che rischiano di finire automaticamente nel registro degli indagati quando “qualcosa va storto” nell’esercizio delle loro funzioni.
Intendiamoci: si può discutere se questa sia una misura corretta o meno. E pure quanto nel concreto permetta alle forze dell’ordine di avere le mani ancora più liberi nel reprimere con violenza manifestazioni di protesta e disordini sociali. Quel che spaventa più di tutto, di questa proposta della maggioranza, sono le intenzioni. La volontà, cioè, di affermare il principio che il governo sta con le forze dell’ordine che abusano della loro forza, mentre al contrario non si interessa dei cittadini che quegli abusi li subiscono. Tanto più se sono stranieri o oppositori politici.
Non è un fulmine a ciel sereno, ovviamente. Che lo si chiami o meno scudo penale, questa proposta rappresenta l’ennesima piccola torsione verso uno Stato autoritario e illiberale, in cui manifestare il dissenso è sbagliato a prescindere. E in cui alla rabbia sociale – che nel caso di Ramy ha perlomeno un motivo – si risponde solo con la repressione, meglio ancora se violenta, anziché eradicandone le cause.
Sappiamo come va a finire, in questi casi: violenza chiama violenza, repressione chiama reazione che chiama ulteriore repressione. Fino a che in piazza non ci scenderà più nessuno, per paura di prenderle, di finire in questura a subire chissà cosa, con la consapevolezza che lo Stato tutelerà sempre e comunque l’agente violento, anziché il cittadino che quella violenza la subisce. Se questo è l’obiettivo del governo, forse dobbiamo iniziare a spaventarci. Anche perché l’aria che tira – in Italia, in Europa, in Occidente -non promette altro che questo.
Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell’European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è “Nel continente nero, la destra alla conquista dell’Europa” (Rizzoli, 2024).
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