di Alessandro Fulloni e Massimo Massenzio, inviati
Verbania, il racconto di Natalia: era ormai troppo tardi per salvarli
Verbania (Verbano-Cusio-Ossola) – «Quando ho capito chi c’era sotto quel cumulo di neve ho avuto un momento di buio. Il mio sguardo si è incrociato con quello di Renato: mi ha fatto un cenno, come per dirmi “sì, sono loro”, e allora ho pianto. Poi mi sono ripresa, ho fatto tutto quello che si poteva per salvarli. Ma ormai era troppo tardi».
Natalia Sibilia ha 55 anni e da 26 lavora come infermiera per il 118. È una grande appassionata di montagna, è in forze all’elisoccorso piemontese ed è istruttrice sanitaria del Soccorso alpino e speleologico.
Domenica mattina faceva parte dell’equipaggio che si è calato dall’elicottero per raggiungere i cinque alpinisti travolti dalla valanga sulla Punta della Valgrande, al confine tra la Svizzera e il Verbano-Cusio-Ossola.
Quando è decollata per lo «scramble» — la partenza immediata raggiungendo di corsa l’elicottero — dalla base di Borgosesia, non poteva sapere che del gruppo facevano parte tre suoi amici: Renato Rossi, architetto di 63 anni, uno dei due sopravvissuti, Gaudenzio «Enzo» Bonini, 65, titolare di un’autoscuola a Verbania, e l’ex prodiere di Mascalzone Latino, Matteo Auguadro, 48enne. Stavano scalando la parete «in verticale» assieme a Matteo Lomazzi, 34 anni, e Lorenzo Locarni, 32, quando si è verificato il distacco.
Rossi e Locarni sono riusciti a rimanere sul bordo del canale, Bonini, Auguadro e Lomazzi sono morti, trascinati 500 metri più a valle. «Ho riconosciuto subito Renato, in piedi, illeso, con l’altro ragazzo. Sono stati lucidissimi — è il racconto al Corriere di Natalia, due figlie — e hanno messo in atto tutte le manovre di autosoccorso. Hanno assistito alla caduta e hanno guardato dove venivano trascinati gli amici travolti. Poi hanno sciato sul bordo della valanga, cercando tracce e hanno individuato i corpi con il segnale Artva. Hanno scavato e li hanno estratti tutti in pochi minuti. Sono stati eccezionali, ma non c’era più nulla da fare».
Il pezzo di una giacca che spuntava dalla neve ha subito insospettito Natalia che ha guardato Renato sperando di non ricevere quella conferma. Invece erano proprio loro, gli amici con cui spesso era a cena e sulle piste: «Purtroppo mi ha fatto un cenno affermativo con la testa. Ho capito che era Enzo. Che choc… Renato è il mio vicino di casa a Macugnaga, dove ho sciato tantissime volte anche con Enzo. Un personaggio, un grande sciatore uno sportivo come Matteo Auguadro del resto».
D’estate Bonini «si dedicava alla vela e d’inverno faceva imprese in montagna, come la discesa dal canale Marinelli».
Quanto a Renato, è stato l’ultimo a rassegnarsi alla morte degli amici: «Continuava a chiedermi “Cosa posso fare, cosa posso fare?”. Purtroppo, però, era tutto drammaticamente chiaro. Quando se ne è reso conto appieno, ha detto di voler scendere con i suoi sci, “per non dare fastidio”, ma glielo abbiamo impedito. Non era in condizione di farlo. Sono stati istanti durissimi anche per me, è uno degli interventi più devastanti di tutta la mia vita».
Nel pomeriggio i due sopravvissuti sono stati interrogati. Dal fascicolo dell’inchiesta, affidata al pm Nicola Mezzina dal procuratore Alessandro Pepé, non sembrano emergere profili di responsabilità di terzi, tanto che non sarebbe neanche stata richiesta l’autopsia.
Al Corriere, Locarni ha detto di essere ancora «sotto choc, non riesco a parlare». I familiari delle vittime sono rimasti a lungo nella camera mortuaria. Mara, la mamma di Lomazzi, ha ricordato suo figlio, «innamorato dello sport». Giuseppe Goduri, presidente del Cai di Pallanza, li definisce «ragazzi straordinari. Cuori semplici e magnifici, pieni di sogni».
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