Case green? Niente soldi. Il governo Meloni non mette neanche un euro nel piano inviato da Giorgetti a Bruxelles

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Il Piano strutturale di bilancio, approvato lo scorso ottobre, prevede solo misure generiche e a costo zero per incentivare la riqualificazione energetica degli edifici chiesta dall’Ue. L’ex ministro Giovannini: «Un grande peccato, così i cittadini pagheranno bollette più alte»

«Alla fine chi paga?», si chiedeva il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti il 12 aprile 2024, giorno dell’approvazione definitiva della direttiva case green. A distanza di qualche mese, la risposta a quella domanda è finalmente arrivata: non sarà il governo italiano a pagare. Il Piano strutturale di bilancio, inviato alla Commissione europea a fine 2024, non prevede nemmeno un euro di soldi pubblici per raggiungere gli obiettivi sulla riqualificazione energetica degli edifici. Il documento preparato dal Mef – che esplicita gli impegni che l’Italia intende prendere per rispettare il nuovo Patto di stabilità – ha un orizzonte quinquennale e contiene la programmazione della spesa pubblica dal 2025 al 2029. Un piano dettagliato, lungo 248 pagine, ma che sul tema dell’efficientamento energetico si limita a suggerire misure generiche e a costo zero. Il tutto, rigorosamente, «senza produrre effetti sulla finanza pubblica».

Cosa prevede la direttiva case green

La direttiva europea sulle performance energetiche degli edifici, ribattezzata in Italia «direttiva case green», è entrata in vigore a maggio del 2024 e fissa l’obiettivo per il settore edilizio di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, in linea con i dettami del Green Deal. In vista di quella scadenza, Bruxelles ha previsto una serie di obiettivi intermedi, a partire dalla richiesta ai Paesi membri di ridurre i consumi energetici degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Un traguardo tutt’altro che scontato per l’Italia, che deve fare i conti con uno dei parchi immobiliari più vecchi e inquinanti di tutta l’Unione europea. Secondo i calcoli del Politecnico di Milano, il nostro Paese dovrebbe spendere circa 180 miliardi di euro per adeguarsi alla normativa.

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I ritardi dell’Italia, che ancora non ha un piano

Per centrare i target di Bruxelles, l’Italia è chiamata a varare un piano straordinario per l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Peccato che il governo di Giorgia Meloni, l’unico insieme all’Ungheria a votare contro il provvedimento in sede europea, sembra essersi mosso al rallentatore finora sul tema. Lo scorso aprile, il ministero dell’Ambiente aveva annunciato a Open di essere al lavoro su un «piano di azione» che sarebbe stato presentato entro giugno. Di questo piano, però, ancora non c’è alcuna traccia. In compenso, la Legge di Bilancio per il 2025 ha introdotto tagli significativi agli incentivi fiscali per chi ristruttura casa, compresi gli interventi di riqualificazione energetica. Una decisione che Giorgetti ha giustificato con la necessità di rimettere a posto i conti pubblici (in particolare dopo la zavorra del Superbonus), ma che è stata anche molto criticata dall’Ance, l’associazione dei costruttori edili.

Il piano del Mef (senza un euro di soldi pubblici)

La cautela nell’uso dei soldi pubblici potrebbe anche essere vista come una virtù. Il problema è che il governo italiano non si è impegnato a delineare una strategia concreta e responsabile per riqualificare il parco immobiliare. Piuttosto, ha semplicemente deciso di non spendere nemmeno un euro da qui al 2030 per centrare gli obiettivi della direttiva case green. Il Piano strutturale di bilancio, approvato dal parlamento lo scorso ottobre, non cita alcuna cifra per incentivare le riqualificazioni energetiche degli edifici. Piuttosto, il documento preparato dal ministero di Giorgetti si limita a elencare alcune misure vaghe e a costo zero per lo Stato. Sono quattro, in particolare, le misure proposte dal Mef:

  • Collaborazioni pubblico-privato: in questo modo sono le aziende a investire direttamente nei lavori di ristrutturazione;
  • Contratti di prestazione energetica (Epc): aziende specializzate finanziano interventi di riqualificazione, il cui costo viene ripagato tramite i risparmi energetici generati negli anni successivi;
  • Semplificazione amministrativa: riduzione dei tempi per ottenere i permessi per la riqualificazione energetica e unificazione delle procedure per gli interventi di retrofit;
  • Digitalizzazione per la gestione energetica: introduzione di «strumenti digitali per monitorare e migliorare le prestazioni energetiche».

Tutte le misure appena descritte hanno un elemento in comune: non hanno alcun impatto diretto sulle casse dello Stato, come conferma lo stesso ministero dell’Economia e delle Finanze. Contattato da Open, il ministero guidato da Giorgetti precisa infatti che gli interventi inclusi nel Piano strutturale di bilancio per l’attuazione della direttiva case green «non richiedono nuovi stanziamenti di bilancio per il periodo di riferimento del Psb», ossia dal 2025 al 2029.

Un passaggio del Piano strutturale di bilancio relativo ai piani del governo italiano per rispettare gli obiettivi della direttiva case green

Giovannini: «Senza fondi non ci sarà alcuna riqualificazione degli edifici»

«Non è normale che il Piano strutturale di bilancio non menzioni alcuna cifra per la riduzione dei consumi energetici degli edifici», dice a Open Enrico Giovannini, ex ministro delle Infrastrutture del governo Draghi e direttore scientifico dell’Asvis. «Fino al 2026 porteremo a termine gli investimenti del Pnrr, ma dopo?», si chiede Giovannini. Il governo italiano deve recepire la direttiva case green nel corso del 2025 e, contestualmente, dovrebbe presentare il proprio piano di azione per la ristrutturazione degli edifici più inquinanti. Ma anche quando ciò avverrà, avverte l’ex ministro, quel piano «rischia di essere un semplice insieme di parole che non stimolerà alcun cambiamento, perché di fatto non vengono stanziati fondi dal 2027 in avanti». Il Piano strutturale di bilancio preparato dal Mef contiene le linee guida di finanza pubblica fino al 2029 e, almeno in teoria, non può essere modificato se non in seguito a eventi eccezionali o cambi di governo. Questo significa che l’Italia, a meno di nuove pandemie o shock simili, non potrà rimettere mano al Psb prima delle prossime elezioni politiche, previste per il 2027.

Il governo italiano spera in una revisione della direttiva europea?

La sensazione, a giudicare da quanto visto finora, è che il governo italiano stia prendendo tempo, forse nella speranza che l’Ue decida di rimettere mano alla direttiva sull’efficienza energetica degli edifici, come rischia di accadere con altri dossier del Green Deal. «È un sospetto lecito, soprattutto se si considera che i partiti di governo hanno votato contro quel provvedimento in sede europea. Questa direttiva andrebbe vista invece come un’opportunità per creare occupazione e far scendere le bollette, ma purtroppo non sembra che il governo la veda così, ed è un grande peccato e un costo per la collettività in termini di salute (più inquinamento) e di bollette più alte», osserva ancora Giovannini.

In copertina: Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la premier Giorgia Meloni in una foto del 2023 (ANSA/Massimo Percossi)



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