Gli immobili con abusi possono essere acquistati all’asta?

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Il Consiglio di Stato chiarisce le responsabilità dell’acquirente di immobili abusivi venduti all’asta giudiziaria

L’acquisto di un immobile all’asta può essere un’opzione allettante per molti, ma può anche nascondere insidie legali significative, soprattutto quando l’immobile è gravato da abusi edilizi. In questi casi, la ben nota complessità del diritto urbanistico si intreccia ancora una volta con le scelte quotidiane dei cittadini, mettendo in luce la delicata questione di come gli acquirenti possano affrontare e risolvere tali situazioni.

Un recente caso discusso dai giudici di Palazzo Spada ha messo in evidenza le difficoltà che gli acquirenti devono affrontare quando si trovano a navigare tra norme e procedure intricate, sottolineando l’importanza di comprendere i diritti e le responsabilità legate all’acquisto di immobili con abusi edilizi. La storia di questo caso ci porta a riflettere sul difficile equilibrio tra la tutela dell’interesse pubblico e la protezione dei diritti individuali.

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Ma ora scopriamo insieme i preziosi chiarimenti del Consiglio di Stato nella sentenza n. 9583/2024 sugli immobili abusivi venduti all’asta.

Quali sono le disposizioni legali applicabili all’acquisto di un immobile con abusi edilizi durante un’asta giudiziaria?

La sentenza del Consiglio di Stato riguarda un ricorso al Tar presentato da un privato contro il Comune. L’oggetto del contendere è il diniego di condono edilizio per un appartamento. L’immobile era stato trasferito al ricorrente appellante con un decreto del Tribunale nel 2021, a seguito di una procedura espropriativa.

Per quel che riguarda il condono, il procedimento era stato avviato su istanza del proprietario originario e il diniego (a causa dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione risalente al 2018, relativa a ulteriori opere abusive realizzate in pendenza dello stesso condono) era stato notificato a lui nel 2021. Successivamente, il provvedimento era stato notificato anche all’appellante nel 2022, in qualità di aggiudicatario.

La decisione del Tar in merito al diniego di condono su opera abusiva acquisita all’asta

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) aveva respinto le censure dell’aggiudicatario, sostenendo che egli avrebbe dovuto presentare una domanda di permesso di costruire in sanatoria ai sensi degli articoli 40 della Legge 47/1985 e 46 del D.P.R. 380/2001. Inoltre, il TAR aveva affermato che il procedimento di diniego di condono era stato completato prima del trasferimento dell’immobile all’aggiudicatario appellante.

Il protagonista del caso allora presentava appello contro la sentenza del TAR, sostenendo diversi motivi contro la decisione del Tar:

  • in primo luogo, contestava l’asserzione del TAR secondo cui avrebbe potuto e dovuto presentare una domanda di permesso di costruire in sanatoria;
  • egli sosteneva che il diniego di condono era stato notificato solo al richiedente originario proprietario dell’immobile, mentre ai comproprietari era stato inviato tramite PEC ai Comuni di residenza per la successiva notifica, senza che questa fosse effettivamente avvenuta. Pertanto, a suo giudizio, il procedimento non era stato concluso nei confronti dei debitori esecutati prima del trasferimento dell’immobile. In sintesi, se il procedimento non fosse stato completato prima dell’aggiudicazione, ciò avrebbe potuto offrire maggiori opportunità per risolvere la questione degli abusi edilizi;
  • inoltre, ha sostenuto che non avrebbe potuto presentare la domanda di condono entro i termini previsti dall’art. 40 della Legge 47/1985, poiché la ragione del credito che aveva portato alla procedura esecutiva non era anteriore all’entrata in vigore della Legge 724 del 1994.

CdS: l’acquisto all’asta giudiziaria non sana automaticamente l’immobile abusivo. Occorre presentare domanda di sanatoria entro 120 giorni, ma a determinate condizioni

I motivi presentati dall’appellante sono stati ritenuti infondati dal Consiglio di Stato. Una delle principali questioni sollevate riguardava la natura del diniego di condono. L’appellante sosteneva che il diniego non era stato notificato correttamente a tutti i destinatari, ma la giurisprudenza ha chiarito che il diniego di condono non è un atto ricettizio. Ciò significa che la sua validità non dipende dalla notifica, ma dal momento in cui è stato adottato. Pertanto, se il diniego è stato emanato entro i termini previsti, è considerato tempestivo anche se non è stato comunicato a tutti i destinatari.

Notifica ed efficacia del diniego

Anche se si considerasse il diniego come un atto ricettizio, la notifica sarebbe condizione di efficacia e non di validità. In pratica, se il diniego non è stato notificato a qualcuno, questo potrebbe renderlo inefficace solo nei confronti di quella persona, ma non invalidarlo completamente. Nel caso specifico, il diniego è stato notificato al richiedente principale (originario proprietario dell’immobile) e la mancata notifica ai comproprietari non ha invalidato il provvedimento.

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Procedimento di condono e trasferimento dell’immobile

L’istanza di condono era già stata respinta prima del trasferimento dell’immobile al nuovo proprietario appellante. Questo significa che, al momento dell’assegnazione, l’immobile non era più suscettibile di sanatoria. Le istanze presentate dal ricorrente appellante per conformare l’immobile alle prescrizioni dell’ordinanza di demolizione non hanno avuto rilievo, poiché il procedimento era già concluso.

Effetto purgativo e illeciti edilizi

I giudici di Palazzo Spada precisano che la vendita all’asta di un immobile non cancella gli illeciti edilizi esistenti. L’acquisto a titolo originario può eliminare i diritti e le limitazioni legali sul bene, ma non risolve automaticamente le violazioni edilizie. In questi casi, l’unico aspetto considerato dal legislatore è la possibilità di presentare una domanda di sanatoria entro certi termini, a condizione che le ragioni dell’acquisto siano anteriori a specifiche leggi:

Nell’ipotesi in cui il bene acquistato sia affetto da illeciti edilizi, l’unico aspetto espressamente preso in considerazione dal legislatore riguarda la scansione dei tempi per attivare la procedura di sanabilità delle opere, disponendo, all’art. 40, ultimo comma, l. 47/1985, che la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento purché le ragioni di credito, per cui si interviene o procede, siano di data anteriore all’entrata in vigore della legge citata (Cons. Stato, sez. VI, n. 7246 del 2023).

La ragione di credito dell’appellante non era anteriore perché si basava su un’ipoteca volontaria concessa al precedente proprietario a garanzia di un mutuo del 2009. Questa data è quindi successiva all’entrata in vigore della Legge 724 del 1994, che è il riferimento temporale richiesto per poter presentare una domanda di sanatoria entro 120 giorni dall’acquisto dell’immobile, ai sensi dell’art. 40 della Legge 47/1985. Pertanto, l’appellante non poteva beneficiare di questa possibilità di sanatoria.

Principio di proporzionalità

In ultimo, il ricorrente aveva anche contestato la decisione di rigettare integralmente la domanda di condono, sostenendo che solo una parte delle opere era abusiva. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ribadito che la presentazione di una domanda di condono non autorizza a completare o trasformare i manufatti oggetto della richiesta. Pertanto, le opere abusive devono essere demolite.

Il ricorso non è, quindi, accolto.

 

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