Tanzania, il ritorno delle ossa rubate: un documentario esplora i traumi coloniali e la lotta per la restituzione


La città di Songea, nella remota regione meridionale della Tanzania, è intrisa di una storia di violenza e resistenza. Durante il dominio coloniale tedesco (1885-1918), questa zona divenne il centro di rivolte contro l’occupazione straniera. Le repressioni furono brutali: i tedeschi giustiziarono pubblicamente i leader delle ribellioni, come nel caso della guerra Maji Maji (1905-1907), uno dei conflitti anticoloniali più sanguinosi in Africa, che causò la morte di circa 300.000 persone. Ma la violenza non si fermò alle esecuzioni. In molti casi, i resti delle vittime furono trafugati e portati in Europa, dove furono utilizzati per esperimenti pseudoscientifici nel contesto della frenologia, una pratica che cercava di “dimostrare” la superiorità razziale europea.

Oggi, i discendenti di quelle vittime stanno combattendo una battaglia per il riconoscimento storico e il rimpatrio dei resti dei loro antenati. Il documentario “The Empty Grave”, diretto dalla regista tedesca Agnes Lisa Wegner e dalla tanzaniana Cece Mlay, esplora questa complessa ricerca. Al centro del film ci sono due famiglie: quella di John Mbano, discendente di Songea Mbano, un leader Ngoni giustiziato nel 1906, e quella di Felix e Ernest Kaaya, eredi di Lobulu Kaaya, capo della comunità Meru impiccato nel 1900.

Songea Mbano, leader Ngoni, fu uno dei protagonisti della guerra Maji Maji contro il dominio tedesco. Dopo la sua esecuzione, il suo corpo fu sepolto, ma la testa venne trafugata e inviata in Germania. Nel documentario, John Mbano e sua moglie Cesilia viaggiano fino a Berlino per chiedere la restituzione dei resti, visitando istituzioni come la Prussian Cultural Heritage Foundation, che conserva migliaia di resti umani sottratti durante il colonialismo.

Anche Lobulu Kaaya, leader della comunità Meru, subì una sorte simile: fu impiccato nel 1900 e il suo scheletro venne inviato a Berlino. Tuttavia, i suoi resti furono successivamente trasferiti negli Stati Uniti, dove sono stati identificati solo nel 2022. Nel documentario, i suoi discendenti affrontano l’emozione di confrontarsi con questa dolorosa eredità, visitando il luogo della sua esecuzione e cercando di ottenere il ritorno dei suoi resti.

Il film cattura non solo la complessità burocratica di queste battaglie, ma anche l’impatto emotivo sulle famiglie coinvolte. In una scena particolarmente toccante, Ernest Kaaya si reca per la prima volta sotto l’albero dove il suo antenato Lobulu fu impiccato. Il dolore si fa evidente mentre riflette sulla sofferenza subita dal suo avo e sul peso che questa storia ha avuto per generazioni.

Secondo Mlay, questa scena rappresenta un momento cruciale del documentario, in cui la realtà del trauma incontra l’obiettivo della macchina da presa. Il colonialismo non ha lasciato solo cicatrici fisiche, ma anche profonde ferite spirituali e culturali che continuano a influenzare le comunità.

Il dominio tedesco su Tanganyika (attuale Tanzania continentale) è stato particolarmente brutale. Durante quel periodo, decine di movimenti di resistenza si opposero all’occupazione, con gravi perdite umane. Nonostante ciò, il governo tedesco e quello tanzaniano hanno a lungo evitato di affrontare questa eredità. Solo recentemente, grazie alla crescente consapevolezza delle popolazioni africane e alla pressione per il ritorno dei beni culturali e umani trafugati, la narrativa sta cambiando.

Nel 2022, il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier ha visitato Songea, incontrando i discendenti di Songea Mbano. Durante il viaggio, Steinmeier ha chiesto pubblicamente scusa per i crimini coloniali e ha promesso di impegnarsi per la restituzione dei resti trafugati.

“The Empty Grave” ha debuttato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel febbraio 2023, suscitando grande interesse. È stato poi proiettato in diverse città tanzaniane, tra cui Dar es Salaam, Songea e Meru, con l’obiettivo di rendere omaggio alle famiglie coinvolte e incoraggiare altre comunità a denunciare casi simili.

Secondo Amil Shivji, co-produttore e fondatore della casa di produzione tanzaniana Kijiweni Productions, il film non è solo una denuncia, ma anche uno strumento per dare voce alle comunità. Wegner, da parte sua, ha sottolineato il senso di responsabilità personale come tedesca nel portare alla luce queste storie a lungo ignorate.

La lotta per il rimpatrio delle ossa rubate non è solo una questione simbolica: rappresenta un tentativo di recuperare dignità, memoria e identità culturale. Per molti, come John Mbano, il ritorno dei resti è fondamentale per ristabilire un equilibrio spirituale e comunitario.

Dell’importanza della restituzione, “Focus on Africa” ha scritto più volte. In particolare, della restituzione dei resti umani, in questi due articoli, necessari per una riflessione profonda sulla necessità di affrontare le eredità del colonialismo, non solo attraverso le scuse, ma con azioni concrete che riconoscano il dolore inflitto e contribuiscano alla guarigione delle ferite storiche:

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