prime correzioni ottiche della Corte di cassazione (Valentina Bonini) – TERZULTIMA FERMATA

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Un invito che qualche decennio fa è stato autorevolmente lanciato da uno dei “padri” della giustizia riparativa moderna, ossia quello di “cambiare lenti” (Howard Zehr, Changing lenses, Herald Press,1990), viene spesso reiterato quando ci si accosta ai meccanismi riparativi. Altrettanto spesso, però, il cambio di lenti sembra avvenire con scarsa consapevolezza delle diverse focali e, dismesse quelle consegnate allo studioso e all’operatore della giustizia penale, se ne inforcano di inadeguate, con il rischio di incorrere in vistose deformazioni ottiche, che talora rasentano il grottesco.

L’incidente è occorso anche alla Corte di cassazione che è giunta a soluzioni eccentriche e, talora, visibilmente contrastanti con il dettato normativo (così, ad esempio, Cass., sez. I, 9 luglio 2024, n. 41133, che ha escluso la possibilità di accedere al programma riparativo durante l’esecuzione della pena, in violazione di quanto con chiarezza stabilito dall’art. 44 d.lgs. n. 150/2022); non era difficile, pertanto, immaginare qualche disorientamento applicativo su una questione rimasta non trattata a livello normativo, come quella dell’impugnabilità dell’ordinanza con la quale, ai sensi dell’art. 129-bis c.p.p., il giudice abbia rigettato la richiesta di invio ai servizi riparativi.

Davanti al silenzio legislativo, i primissimi approdi giurisprudenziali hanno infatti valorizzato l’alterità del paradigma riparativo, per escludere la natura giurisdizionale anche degli atti che si collocano in posizione preliminare rispetto al programma riparativo e così sancirne la non impugnabilità (così Cass., sez. II, 12 dicembre 2023, n. 6595-24, c.e.d. 285930).

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Insomma, correttamente affermato che il percorso riparativo non ha natura giurisdizionale (tant’è che non vi partecipano i soggetti necessari del processo penale e non vi si accertano fatti e responsabilità penali), si è postulata una inusitata “contaminazione riparativa” degli atti a tema riparativo che pure appartengono alla sequenza del processo penale: la conclusione diventa allora tanto scontata quanto errata, sancendo la non impugnabilità di un’ordinanza pronunciata dal giudice in un contesto procedimentale e sulla base di criteri offerti dal codice di rito, perché qualificata come espressione di un «servizio pubblico di cura della relazione tra persone».

Lenti inadeguate, quelle che hanno indossato in quella occasione i giudici di legittimità, con l’effetto di confondere i confini, pur chiaramente tracciati, tra territori giudiziari e territori riparativi.

Una prima correzione del visus riparativo si registra, infatti, con un’altra decisione della Cassazione (sez. III, 7 giugno 2024, n. 33152, c.e.d. 286841) che supera l’eccentrica soluzione poggiante sulla qualifica extra-giurisdizionale di un’ordinanza pronunciata dal giudice per rigettare l’impugnabilità del provvedimento sulla base di altre considerazioni: ritiene la Corte che il diniego di invio ai servizi riparativi possa essere oggetto di impugnazione solo quando questo sia pronunciato in relazione a reati perseguibili su querela soggetta a remissione.

Pur recuperando la caratura giuridica del provvedimento pronunciato ai sensi dell’art. 129-bis c.p.p., la decisione della Corte limita l’impugnabilità del rigetto sulla base di un argomento che tiene conto solo degli effetti processuali del programma riparativo (sospensione del processo in caso di reato procedibile su querela soggetta a remissione), sottostimando i rilevanti effetti sostanziali (commisurazione della pena ex art. 133 c.p.; circostanza attenuante ex art. 62, n. 6 c.p.; sospensione condizionale della pena ex art. 164 comma 4 c.p.; oltre al possibile rilievo ai fini dell’art. 131-bis c.p. e dell’art. 464 bis c.p.p.) che la riforma Cartabia fa conseguire all’esito riparativo in caso di reati procedibili d’ufficio.

Con uno strano primato processualistico sul diritto sostanziale, i giudici di legittimità ritenevano che il rigetto dell’invio ai servizi riparativi in caso di reati procedibili ex officio non avesse «una incidenza giuridicamente rilevante sulla decisione finale», perché non influente sulla sospensione del procedimento.

Orbene, gli effetti in bonam partem sulla pena, pur non potendo che essere apprezzati in prospettiva eventuale quando il giudice formuli la prognosi di idoneità riparativa ai sensi dell’art. 129-bis c.p.p., sono preclusi laddove non sia disposto l’invio davanti ai servizi riparativi, ai quali si accede solo per il tramite dell’ordinanza giudiziale: da qui l’evidentissimo rilievo giuridico della chance riparativa anche quando si tratti di reati procedibili d’ufficio.

È necessario provare lenti ancora diverse, per godere di una migliore messa a fuoco del rapporto tra inneschi riparativi e diritti di impugnazione: la realizza la più recente pronuncia della Corte di cassazione (sez. V, 26 novembre 2024, n. 131-25, allegata in versione anonimizzata alla fine del post) che supera i limiti all’impugnabilità ingiustificatamente posti dai precedenti arresti.

Assunto come dato acquisito che il provvedimento di cui all’art. 129-bis c.p.p. –in ragione della forma, dei tempi e dei luoghi in cui è adottato e della previa instaurazione del contraddittorio– rappresenta un «atto del procedimento/processo di natura endoprocedimentale», la Corte applica le previsioni codicistiche che, in mancanza di una disciplina specifica, vengono recuperate dalla regola generale dell’impugnabilità delle ordinanze nei limiti di cui all’art. 586 c.p.p.: nel solco del principio di tassatività delle impugnazioni, la previsione consente di innescare il controllo delle ordinanze pronunciate nel dibattimento o negli atti preliminari unitamente all’impugnazione della sentenza.

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Non vi sono motivi per escludere dall’operatività della previsione generale l’ordinanza pronunciata nel contesto dibattimentale (o in limine allo stesso) in merito alla richiesta di invio al centro per la giustizia riparativa.

Ritiene, infatti, la Cassazione che «escludere la impugnazione differita dell’ordinanza in esame ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen. si tradurrebbe nella assenza di confronto con i principi che disciplinano il sistema processuale, ma anche con le ulteriori indicazioni legislative che collegano significative ricadute di natura sostanziale all’accesso ai programmi di giustizia riparativa».

A confortare l’impugnabilità del provvedimento che preclude l’esperienza riparativa, la Corte richiama i principi dettati dalle fonti sovranazionali (in particolare il § 33 della Raccomandazione CM/Rec 2018-8 del Consiglio d’Europa) e ripercorre gli effetti sulla pena collegati all’esito riparativo.

Sulla base di queste osservazioni, così, risulta superata la limitazione del diritto di impugnare il diniego a fini riparativi ai soli casi in cui il reato sia perseguibile su querela: valorizzando il principio dell’accesso generalizzato fissato dall’art. 44 d. lgs. n. 150/2022, che esprime un favor riparationis non scalfito né dalla il procedimentale né dalla tipologia criminosa, i giudici di legittimità cancellano dal limite all’impugnabilità dell’ordinanza collegato agli effetti sospensivi del processo e, pertanto, al regime di procedibilità del reato.

Peraltro, la Corte si spinge oltre e, recuperando un inciso della Relazione illustrativa del d.lgs. n. 150/2022, osserva come, se la sospensione del procedimento è espressamente prevista all’art. 129-bis c.p.p. solo in caso di reato perseguibile su querela, anche nelle altre ipotesi «resta […] salva la possibilità di valorizzare l’istituto -già impiegato nella prassi- del rinvio su richiesta dell’imputato, per consentire di concludere il programma e quindi di permettere al giudice di tenerne conto in sede di definizione del trattamento sanzionatorio».

È sulla base di questi approdi che la Corte di cassazione sgombra il campo dalle questioni di legittimità costituzionale, fondate sui limiti all’impugnazione fissati dai precedenti arresti giurisprudenziali.

L’esito decisorio è significativo sia per la correzione delle letture precedenti che comprimevano ingiustificatamente i diritti di impugnazione, sia perché il controllo sull’ordinanza ex art. 129-bis c.p.p. funge da importante occasione per la messa a fuoco dei criteri decisori che la stessa previsione assegna al giudice investito del “tema riparativo”: su questo terreno, del resto, si gioca una parte importante della partita riparativa, che, almeno nel fischio di inizio, deve osservare le regole della legalità e rifuggire letture arbitrarie dei presupposti codificati per l’invio ai servizi riparativi.

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