Pensioni, una polemica surreale frutto di malafede e incompetenza ma l’Inps ha fatto solo quello che era previsto

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Le polemiche sull’incremento dell’età pensionabile sono surreali perché l’Inps non ha fatto nulla che non fosse già previsto. Ma le pensioni sono sempre terreno fertile per la peggiore demagogia

È difficile capire se nell’ultima polemica sulle pensioni siano prevalenti la malafede o l’incompetenza. Di primo acchito si dovrebbe attribuire il primo vizio all’opposizione politica e sindacale, il secondo al governo; in realtà vi è una mescolanza trasversale di malafede e incompetenza che potrebbero essere ricondotte agevolmente al codice penale (articolo 656: ‘’Diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico’’), nella consapevolezza che quando si parla di pensioni il risultato è garantito. Dove sta il vulnus che ha messo a soqquadro la politica?

Pensioni e Inps, cosa è successo?

L’Inps si sarebbe assunto la responsabilità di decidere in proprio e in segreto un incremento dell’età pensionabile e cioè dal 2027 i requisiti di accesso per la pensione anticipata, a prescindere dall’età, salirebbero dagli attuali 42 anni e 10 mesi e un anno in meno per le donne a 43 anni e 1 mese di contributi; mentre dal 2029 raggiungerebbero i 43 anni e 3 mesi. Presumibilmente, in ambedue i casi, con un anno in meno per le donne. Anche per la pensione di vecchiaia si registrerebbero incrementi, con l’età minima che passerebbe a 67 anni e 3 mesi nel 2027 e a 67 anni e 5 mesi nel 2029. Già il pensare che ciò sia possibile è la dimostrazione di un diffuso smarrimento non solo di chi propaga queste informazioni, ma anche di quanti le prendono sul serio. Un saggio del XX secolo soleva dire che il massimo della stupidità umana era quello di sorprendersi al mattino di svegliarsi come ci si era coricati alla sera: una considerazione ficcante per descrivere l’ultimo scandalo… per caso.

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Perché nella vicenda non vi è nulla che non fosse previsto in base ad atti normativi precedenti. Facciamo un po’ di storia. La riforma Dini/Treu (legge n.335/1995) introdusse il cosiddetto calcolo contributivo, integrale per i nuovi assicurati dal 1°gennaio 1996, pro rata per coloro che alla fine del 1995 non avevano ancora maturata un’anzianità contributiva di 18 anni (e quindi con il calcolo misto per di due periodi). Coloro che avevano superato i 18 anni rimanevano nel regime retributivo. La riforma Fornero del 2011, in pratica, introdusse, per tutti, il calcolo contributivo pro rata a partite dal 1° gennaio 2012, per cui tutte le future pensioni non interamente contributive, furono regolate dal sistema misto: calcolo retributivo fino a tutto il 2011, contributo dall’inizio dell’anno successivo. In pratica, oggi tutti i pensionandi hanno almeno 12 anni in regime contributivo in crescita, mentre va riducendosi la parte regolata ancora col retributivo.

Come funzione il sistema contributivo (in tutto o in parte) lo sappiamo: i contributi versati e accreditati (in un sistema di finanziamento che resta a ripartizione) costituiscono il cosiddetto montante che viene moltiplicato per i c.d. coefficienti di trasformazione ragguagliati all’età del pensionamento; l’operazione dà luogo al trattamento economico che si in generale aggiunge, nel sistema misto, alla quota che rimane in regime retributivo. I coefficienti di trasformazione sono soggetti a revisione periodica con effetto inversamente proporzionale all’attesa di vita: se questa si incrementa i moltiplicatori – le ragioni sono evidenti – si riducono a compensazione di un periodo più lungo di erogazione della pensione. Nel 2010 venne stabilito che tra i due incrementi fosse introdotto – limitatamente all’età pensionabile – un automatismo dopo una verifica periodica triennale.

La riforma Fornero del 2011 estese l’automatismo anche al requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata a prescindere al vincolo anagrafico e con revisione biennale. Il dl n. 4 del 2019 (in cui il governo gialloverde presentò le sue credenziali) si mosse – per quanto riguarda le pensioni – per favorire, come voleva la Lega, il pensionamento di anzianità e consentire un requisito anagrafico il più ridotto possibile. Le misure finalizzate a questi obiettivi furono due: quota 100, la più spettacolare, per la durata di un triennio; il blocco dei requisiti fino a tutto il 2026 al punto a cui erano arrivati in quel momento e cioè 67 anni per la vecchiaia (fermo restando il requisito minimo di almeno 20 anni di contribuzione); 42 anni e 10 mesi per gli uomini e uno in meno per le donne per accedere al pensionamento anticipato.

Nel frattempo furono introdotte e riconfermate, magari con qualche modifica, anche talune via d’uscita secondarie. Un particolare rilevo va attribuito alle cosiddette quote che, trascorso il triennio di quota 100, dovevano garantire la transizione e che, nel giro di qualche anno sono divenute un disincentivo all’anticipo. In un fortunoso recupero di saggezza, nelle sue leggi di bilancio, il governo di centro destra ha anticipato di due anni le scadenza del blocco dell’adeguamento automatico all’incremento dell’attesa di vita.

Così, anziché da 2027, il meccanismo – che ritrova il ruolo centrale che aveva nella riforma Fornero – è tornato a ripartire dal 1° gennaio di quest’anno. Non si è era bloccato, però, tutto il caravanserraglio del calcolo contributivo. Infatti, mentre i requisiti per l’accesso al pensionamento erano stati bloccati, era proseguita la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione, da moltiplicare per il montante contributivo ai fini dell’importo del trattamento, anch’essi ragguagliati all’attesa di vita. Infatti, era stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 147 dell’11 giugno 2020 col decreto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 1° giugno 2020 la revisione triennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo, di cui si riporta di seguito l’atto completo. Il ministro competente era Andrea Orlando nel governo giallorosso (quelli che oggi strillano di più).

COEFFICIENTI DI TRASFORMAZIONE

Età Divisori Valori
57 23,892 4,186%
58 23,314 4,289%
59 22,734 4,399%
60 22,149 4,515%
61 21,558 4,639%
62 20,965 4,770%
63 20,366 4,910%
64 19,763 5,060%
65 19,157 5,220%
66 18,549 5,391%
67 17,938 5,575%
68 17,324 5,772%
69 16,707 5,985%
70 16,090 6,215%
71 15,465 6,466%

(N.B. tasso di sconto = 1,5%)

Il meccanismo relativo ai coefficienti (da non confondere con i requisiti) era poi proseguito con altre verifiche biennali, da cui discendeva – a parità di condizioni – un ritocco al ribasso (in senso inversamente proporzionale all’incremento dell’attesa di vita e agli altri parametri, rispetto agli effetti dei coefficienti previgenti. Così i nuovi coefficienti che determinano la quota contributiva (totale o parziale) dell’assegno pensionistico si sono ridotti tra l’1,55% e il 2,18% (a parità di condizioni). Ma non è finita: ed è qui che casca l’asino.

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Tra due anni, in sede di nuovo adeguamento dal 2027, è presumibile che vi siano delle variazioni che richiedano degli adeguamenti dei requisiti di accesso, nella misura anticipata all’inizio, per ambedue le tipologie di pensione, ordinaria e anticipata. Questi sono gli adeguamenti alle previsioni demografiche, riguardanti l’attesa vita, che risultano all’unisono da tutti i simulatori (Istat, Inps, Rgs). Per quanto la demografia si appalesi sempre più come una scienza esatta, non è detto che i trend saranno necessariamente questi. Saranno certificati a suo tempo dall’Istat e per essere assunti occorrerà un provvedimento amministrativo del governo allora in carica. Nel frattempo però – noi ci auguriamo di no – potrebbe essere cambiata anche la legislazione.

Verso la fine della XVII legislatura, due autorevoli parlamentari di opposti schieramenti Cesare Damiano e Maurizio Sacconi (ambedue ex ministri del Lavoro) proposero di bloccare la revisione dei coefficienti in vista di una ridefinizione della materia, ottenendo il blocco solo per coloro che erano già classificati in altri provvedimenti (ape sociale, precoci) in quanto esposti a situazioni lavorative o personali di disagio.

Ma sarà bene usare cautela, visto che questa normativa, ora rimessa in moto, è in grado di garantire un maggiore contenimento della spesa pensionistica in ragione dell’equilibrio corretto tra importo della pensione, versamenti contributivi effettuati, calcolo secondo criteri attuariali dell’attesa di vita e delle conseguenti erogazione e riscossione della prestazione. In sostanza l’Inps si era limitato a modificare il simulatore, recependo le nuova normativa (derivante dallo sblocco) e mettendola in relazione con gli incrementi ipotizzati dell’attesa di vita nei prossimi anni. Il furore complice della Cgil e della Lega hanno preteso e ottenuto la cancellazione di un banale esercizio attuariale.



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