Pensione anticipata, il miraggio è servito: perchè per il Governo Meloni l’età d’uscita dal lavoro è diventata una bomba a orologeria – IL PUNTO

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L’età pensionabile si sta trasformando per il Governo Meloni in una bomba ad orologeria. La gaffe dell’Inps, che ha prima innalzato di tre mesi l’età di uscita – portandola nel simulatore pubblico a 67 anni e tre mesi – salvo poi cancellare i 90 giorni aggiunti dopo le pressioni della Cgil, ha fatto esplodere il problema che covava da almeno due anni. Perché in campagna elettorale, nel 2023, la Lega aveva promesso con gli “striscioni” che la Legge Fornero sarebbe stata spazzata via. Invece, poi, anche i ministri del Carroccio si sono dovuti arrendere all’evidenza, fatta di conti pubblici e Inps sempre più in rosso, aspettativa di vita in crescita e meno lavoratori attivi che tengono in piedi il sistema previdenziale.

Sindacati e opposizione sanno bene che la partita in palio è molto sentita dai cittadini. E che certi argomenti, come l’età dell’uscita dal lavoro da anticipare (piuttosto che posticipare), sono seguitissimi dai diretti interessati. Che nella scuola sono in numero altissimo, oltre 200 mila over 60enni che in percentuale altrettanto alta lamentano anche disturbi e patologie derivanti da stress da lavoro correlato.

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“È arrivato il momento di ridiscutere il meccanismo di calcolo e di accesso alle pensioni”, ha tuonato, dalle pagine di Repubblica, il segretario della Cgil Maurizio Landini.

“I lavori non sono tutti uguali. E non si può continuare ad aumentare per tutti l’età pensionabile in modo automatico sulla base dell’aspettativa di vita a prescindere dalla gravosità degli impieghi. Non lo fa nessuno in Europa”, ha sottolineato Landini. E oggi tranne i maestri della scuola dell’infanzia, in quella lista non risultano i lavoratori della scuola.

Parlando del governo Meloni, il leader della Cgil ha detto che s’era impegnato “ad abrogare la legge Fornero e l’ha peggiorata. Hanno fatto cassa miliardaria anche sulle rivalutazioni delle pensioni all’inflazione. Hanno stretto tutti i canali di accesso anticipato. Opzione donna quasi non esiste più. I giovani rischiano assegni poco dignitosi, per via del lavoro povero e discontinuo: altro che previdenza integrativa, c’è bisogno di una pensione di garanzia. Quest’anno poi le pensioni si riducono per via dei coefficienti di trasformazione più bassi. E ora il blitz dell’Inps”.

Sulla norma che ha prodotto la crescita automatica dell’aspettativa di vita, che risale al 2009, Landini dice: “non siamo mai stati d’accordo con questo sistema automatico che fissa regole uguali per lavori diversi: aumenta le disuguaglianze”.

“La questione pensionistica in Italia non può più essere rinviata. È imprescindibile avviare un confronto strutturato e serrato per una riforma organica del sistema previdenziale che tuteli i diritti dei lavoratori e garantisca una pensione dignitosa tanto per gli attuali pensionati quanto per le future generazioni”, ha detto il segretario confederale della Uil, Santo Biondo, interpellato dall’Ansa sul capitolo pensioni.

L’attuale gestione delle pensioni, rimarca, “si limita a prorogare strumenti temporanei e inadeguati, come Opzione donna, Ape sociale e Quota 103, senza affrontare le questioni strutturali che gravano sul sistema. Misure di breve respiro, dal costo stimato di circa 500 milioni di euro, non risolvono i nodi fondamentali, lasciando irrisolte le problematiche legate alla sostenibilità a lungo termine e alle disparità sociali esistenti”.

Per la Uil serve una riforma “equa che deve tener conto delle condizioni specifiche di chi svolge lavori gravosi e logoranti, favorendone l’uscita anticipata. È inoltre imprescindibile il riconoscimento del lavoro di cura, svolto in larga parte dalle donne, ai fini previdenziali e pensionistici”.

Infine, Biondo sostiene che “in un mercato del lavoro caratterizzato da precariato e lavoro povero, non si può trascurare la necessità di introdurre una pensione di garanzia per i giovani, che protegga chi ha carriere frammentate e redditi bassi”.

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Amaro è anche il commento di Francesco Boccia, presidente dei senatori del Pd: sulle pensioni, ha detto a Fanpage.it, “ci piacerebbe sapere cosa ne pensa Salvini, che per dodici anni, in maniera anche sgradevole e scorretta, ha criticato pesantemente Elsa Fornero. Tutto quello che smentiscono di solito poi accade. Quindi purtroppo le smentite di solito equivalgono a conferme, da parte del governo di destra a guida Giorgia Meloni. E stiamo chiedendo chiarimenti, non solo all’Inps, ma ai ministeri competenti, Lavoro e ministero dell’Economia”.

Il senatore Boccia si sofferma poi sulle proiezioni che vorrebbero “allungare di cinque mesi i requisiti per andare in pensione”: fare questo e “soprattutto modificare i coefficienti”, sostiene, sarebbe “grave e scorretto”.

 “Vogliamo trasparenza – conclude il senatore dem – perché le italiane e gli italiani che devono andare in pensione vogliono sapere come ci andranno e a quali condizioni”.

Dal Governo, però, arrivano garanzie: non ci sarà alcun innalzamento delle soglie di uscita dal lavoro. “Garantiamo che non ci sarà nessun aumento dell’età pensionabile o degli altri requisiti negli anni a venire”, ha sottolineato il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, intervistato dal Qn.
“L’Inps ha inserito erratamente nel suo applicativo previsionale, prima di qualsiasi decreto ministeriale che determinasse e stabilisse questa attività, l’aumento dei requisiti per il pensionamento. Ma posso dire fin da ora che per quanto ci riguarda l’età per la pensione di vecchiaia non salirà oltre i 67 anni, né dal 2027 né dopo. E lo stesso vale per gli anni di contributi per la pensione cosiddetta anticipata”, ha tagliato corto Durigon.

“Sappiamo benissimo – ha aggiunto il leghista – che la speranza di vita può variare e crescere anno dopo anno, nel 2024 di un mese, nel 2025 di due. E sappiamo che c’è una norma che la collega all’aumento dei requisiti pensionistici. Ma non è nostra intenzione far crescere l’età pensionabile oltre i 67 anni: interverremo, dunque, su questo quando sarà necessario agire, per bloccare gli aumenti”, ha concluso.

Intanto, però, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nell’ultimo biennio si è dato molto da fare per contrastare gli anticipi pensionistici: nessuno si è salvato dalla tagliola, tanto che le pensioni prima delle soglie Fornero “nei primi nove mesi del 2024 rispetto al 2022” sono passate “da 210 mila a 151 mila”.

“Prima – scrive Repubblica riferendosi Giorgetti – ha concesso Quota 103, l’ultima della nidiata. Nel riconfermarla per due volte ha però imposto il ricalcolo tutto contributivo (prima applicato solo alle donne), un tetto di importo, una finestra di uscita salita da 6 a 9 mesi per i dipendenti pubblici e da 3 a 7 mesi per i privati. Ha alzato l’età per l’Ape sociale, l’indennità per i lavoratori più in difficoltà: da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Si è accanito su Opzione donna che infatti è quasi scomparsa. Già nata col ricalcolo contributivo, il governo Meloni ha alzato l’età da 60 a 61 anni, limitandola a categorie ben precise: caregiver, invalide al 74%, licenziate da aziende con tavoli aperti al ministero”.

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Quindi, sempre il numero uno del dicastero dell’Economia, ha alzato i requisiti per l’uscita anticipata a 64 anni: i candidati “devono avere una pensione ‘ricca’: 3,2 volte l’assegno sociale, circa 1.700 euro, dal 2030. E se vogliono raggiungere quella somma con i fondi integrativi devono poter contare su 30 anni di contributi anziché 20.

Nel frattempo, è saltato anche il limite di 65 anni per gli statali, che da adesso restano fino a 67 anni. E se vogliono, con il consenso dell’amministrazione, possono ora rimanere fino a 70 anni.

Se poi si guarda all’importo dell’assegno di pensione c’è poco da ridere: alla riduzione sempre più sensibile dovuta al prevalere degli anni utili di tipo contributivo, si è aggiunta l’indicizzazione all’inflazione, con il risultato che l’assegno di quiescenza risulterà assai più piccolo dell’ultimo stipendio percepito dal lavoratore: nella scuola fino a 500 euro in meno.





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