Guerra in Medio Oriente, ecco come le lobby israeliane influenzano l’Europa

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Tu chiamale se vuoi, emozioni lobbistiche

 

Le lobby israeliane in Europa operano con una potenza di fuoco impressionante, orchestrando narrazioni, influenze politiche e mediatiche capaci di plasmare il dibattito pubblico. A livello istituzionale, le connessioni stabilite si dipanano attraverso una rete capillare di organizzazioni che, sotto l’apparente missione di “dialogo” e “cooperazione”, promuovono con zelo e indefessa dedizione le istanze del governo israeliano, influenzando in modo pervasivo le politiche europee.

Un esempio emblematico di questa strategia è il caso dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), la cui definizione di antisemitismo è stata adottata in molte nazioni europee, oltre che negli USA. Una definizione controversa poiché include anche critiche legittime verso Israele: il rischio che possa essere utilizzata come strumento di controllo per silenziare il dissenso è ben più che una possibilità. Non è un caso che la confusione deliberata, costruita ad arte, tra antisemitismo e opposizione alle politiche israeliane negli ultimi 15 mesi abbia prodotto un clima di censura pesante, con un costo altissimo per la libertà di espressione.

Nel panorama mediatico, il controllo è altrettanto incisivo. Inchieste e reportage critici verso Israele vengono sistematicamente ostracizzati, e i giornalisti che osano raccontare realtà scomode sono spesso tacciati di pregiudizi ideologici. Questo condizionamento si estende alla produzione culturale e accademica, dove dibattiti e iniziative su Gaza o sulla Palestina vengono boicottati o cancellati, come dimostra il recente caso dell’evento organizzato da Amnesty International a Venezia. La pressione esercitata per la sua cancellazione da parte dell’Ateneo Veneto, già richiamata nel mio precedente articolo (link), è un esempio lampante di come queste dinamiche operino nel cuore dell’Europa.

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Un aspetto cruciale che merita attenzione è quanto emerso dalla recente trasmissione Report, che ha sollevato il velo sugli intrecci tra le lobby israeliane e il giro di denaro spaventoso che coinvolge gli interessi economici e finanziari tra Europa e Israele. Durante la trasmissione, è stato dimostrato come i finanziamenti europei destinati a scopi civili vengano invece utilizzati da Israele per scopi militari e offensivi. Questa inchiesta ha dato nuova forza a temi che avevo già trattato nei miei ultimi articoli (link), nei quali avevo evidenziato l’opacità degli accordi economici tra l’Europa e Israele, spesso alimentati con risorse provenienti dal gettito fiscale dei cittadini europei. 

Ma c’è di più: benché il lobbismo sia prassi consolidata e non vietata, la lobby israeliana non si limita alla difesa di Israele. Interviene anche nella costruzione di un immaginario che tende a sovrapporre la sua identità con quella ebraico mondiale, una narrativa che non solo ignora la complessità della diaspora, ma che, di fatto, strumentalizza l’Olocausto per finalità politiche contemporanee, come il documentato e inattaccabile libro di Norman G. Finkelstein, L’industria dell’Olocausto, ha insegnato bene a tutti noi che lo abbiamo letto e studiato. Questa appropriazione esclusiva del dolore collettivo deforma il dialogo e impone un’egemonia culturale difficile da contrastare.

La domanda cruciale è: fino a che punto l’Europa è disposta a spingersi e accettare simili interferenze? E poi, in che misura è ancora libera di agire o di scegliere? Gli evidenti doppi standard a cui assistiamo, uniti all’opaca complicità verso una Nazione indagata per genocidio dalla Corte di Giustizia Internazionale, e per i cui massimi esponenti la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto, farebbero pensare che è legata a doppia mandata.

Per capire quanto basta ricordare una dichiarazione fatta il 22 ottobre 2022 da Ursula von der Leyen, a proposito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nella quale definiva atti di terrorismo e crimini di guerra gli “attacchi mirati alle infrastrutture civili con il chiaro obiettivo di impedire a uomini, donne e bambini l’accesso all’acqua, all’elettricità, al riscaldamento, mentre l’inverno stava arrivando”. Sempre di Ursula von der Leyen, un anno dopo, esprimendo la posizione della Commissione europea dopo il 7 ottobre 2023, dichiarava: “Israele ha il diritto di difendersi in linea con le leggi internazionali. Hamas è un’organizzazione terroristica e i palestinesi sono anche loro vittime di questo terrorismo. L’Europa sta dalla parte di Israele in questo momento buio”.

Negli ultimi cinque anni, grazie al piccolo e potente esercito di lobbisti radicato a Bruxelles, che include un nutrito elenco di nostri esponenti politici – come è emerso dalla trasmissione Report di ieri sera -, le relazioni di Israele con le Istituzioni europee sono ormai simili a quelle che legano le lobby americane al Senato e al Governo americano. Non c’è foglia che si muova che la Lobby non voglia. Basta seguire le varie carriere politiche dei vari esponenti, e non solo, per capirlo.

Le lobby israeliane operano con l’obiettivo chiaro di preservare lo status quo, rendendo ogni critica “inaffrontabile”. Ma è proprio in questo scenario che l’Europa deve riaffermare i suoi principi di libertà, pluralismo e diritto internazionale, sempre che ne abbia ancora la possibilità. Una società democratica non può cedere ai ricatti morali e politici che minacciano di soffocare ogni voce indipendente. La strada per rompere questo meccanismo passa attraverso il coraggio dell’informazione libera e la resistenza civile alle narrazioni preconfezionate. Le connivenze politiche e il consenso mediatico non sono un destino inevitabile: sono una scelta. E come tutte le scelte, possono e devono essere messe in discussione.

Se le “emozioni lobbistiche” sono quelle che ci vengono vendute come giustificazioni politiche e morali, la realtà che emerge dal velo delle narrazioni orchestrate è ben più inquietante. Alla fine, la vera emozione dovrebbe essere la nostra capacità di discernere, di resistere a chi tenta di manipolare la verità, e difendere, con la forza delle idee, quella libertà che oggi sembra essere la merce più rara. La vera emozione dovrebbe essere quella di una società che riscopre il coraggio di pensare con la propria testa, imponendo alla politica di sfidare la logica delle lobby riportando al centro della discussione non più i loro interessi, ma il rispetto per la libertà e la verità. Tu chiamale se vuoi, emozioni lobbistiche, ma non confondiamole con il diritto di essere liberi. Perché se il faro acceso su queste lobby ci mostra solo il buio, sarà compito nostro accendere una luce che non si possa spegnere.

 

 



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