Leo celebra un nuovo record nel contrasto all’evasione. Ecco cosa non dice e perché la cifra che conta è un’altra

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Rivendica i 14 decreti attuativi della riforma che dovrebbe rendere il fisco un partner affidabile” e non più un “controllore sospettoso”. Promette per l’ennesima volta “attenzione specifica” a chi ha redditi medi e non ha ancora visto il taglio delle tasse più volte annunciato. Poi Maurizio Leo, in una pagina firmata di suo pugno sul Corriere della Sera, cala l’asso: per dimostrare che la strada seguita è quella giusta, snocciola inediti dati sui risultati raggiunti nel 2024 dal “contrasto all’evasione“, calderone in cui però finiscono anche le dannose rottamazioni. Il viceministro all’Economia non dice che il numero che davvero conta ai fini della disponibilità di risorse per ridurre la pressione fiscale è l’andamento del cosiddetto tax gap, cioè la distanza tra imposta attesa e gettito effettivamente raccolto. E l’aumento dell’evasione Iva stimato per il 2023 potrebbe allargarla, creando non pochi problemi al governo e ai contribuenti.

Nuova promessa al ceto medio – Il viceministro interviene a tre giorni dalla conferenza stampa di inizio anno di Giorgia Meloni: la premier ha assicurato che il 2025 sarà l’anno di un “segnale al ceto medio”, dopo il nulla di fatto del 2024 causa flop del concordato preventivo con le partite Iva. Cioè lo strumento di cui l’esponente di FdI è stato grande sponsor e che in futuro, assicura, “migliorerà diventando più efficace“. L’obiettivo, come più volte dichiarato dalla maggioranza, è ricavare risorse sufficienti per ridurre la seconda aliquota Irpef, quella del 35% che si applica ai redditi da 28mila a 50mila. È la prossima tappa, ribadisce Leo, dopo che la legge di Bilancio si è concentrata sui “redditi medio bassi” con la conferma della riduzione del cuneo fiscale e dell’accorpamento delle prime due aliquote, consentiti anche dalla “proficua azione di contrasto all’evasione”.

Il salto in avanti sulle cifre – Qui il viceministro con delega al fisco fa un salto in avanti anticipando numeri non ufficiali: “Nel 2024”, scrive, “lo Stato è riuscito a recuperare 32,79 miliardi di euro, una cifra in netto aumento rispetto al 2023 (31 miliardi)“. Grandezze imponenti – quanto una legge di Bilancio – che possono ingannare e meriterebbero qualche spiegazione, mentre Leo le dà per assodate attribuendole alla “virtuosa sinergia” tra amministrazione finanziaria e linee guida del governo.

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Il consuntivo 2023: 31 miliardi “col trucco” – Vediamo di fare chiarezza: l’ultimo dato consuntivo sul gettito recuperato dall’Agenzia delle Entrate riguarda il 2023, quando il recupero ordinario da attività di controllo (tra cui le lettere di promozione della compliance) ha fruttato 19,6 miliardi. Altri 5,7 sono arrivati da “misure straordinarie” come definizioni agevolate e rottamazioni, che però fanno perdere gettito all’erario e non dicono nulla sulla capacità strutturale di contrastare il nero. Così si arriva a 24,7 miliardi, il risultato ufficiale poi rivendicato anche da Meloni. L’ex direttore delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, che nel frattempo si è dimesso e ha criticato le sparate del governo su “pizzo di Stato” e contribuenti “ostaggio del fisco”, aveva parlato di “31 miliardi” – il dato ora richiamato da Leo – sommando anche i 6,7 riscossi per conto di Inps, Inail, ministeri, prefetture e Comuni. Un capitolo a parte, per quanto cruciale (se i contribuenti sanno che non funziona, come in Italia, sono invogliati a evadere).

Nessun dettaglio sull’aumento del 2024 – Passiamo al 2024. Le Entrate come sempre diffonderanno i risultati non prima di febbraio, e c’è un motivo: al momento i dati sui versamenti di dicembre sono parziali, visto che chi riceve una comunicazione di irregolarità ha 60 giorni di tempo per pagare. Dunque i 32,79 miliardi che risultano a Leo potrebbero rivelarsi sottostimati. Il punto però è che quella cifra, tenendo dentro misure straordinarie e riscossione, è “vuota”: non dà alcuna informazione sull’efficacia delle azioni dell’amministrazione finanziaria nel campo del vero e proprio contrasto all’evasione.

Il nodo del tax gap – Non solo: come Leo sa bene, la disponibilità o meno di fondi per tagliare le tasse dipende da come evolve il tax gap stimato nelle relazioni annuali della commissione insediata presso il Mef. L’ultima dice che nel 2021 la differenza tra gettito teorico ed effettivo, in termini relativi, si è ulteriormente ridotta scendendo al 14,9%, contro il 18,5% del 2019. È quel risultato, per quanto seguito da peggioramenti sia nel 2022 sia nel 2023, ad aver consentito al governo Meloni di alimentare il fondo per la riduzione della pressione fiscale poi usato come copertura per la manovra. Ma stime successive della Commissione europea dicono che l’evasione Iva nel 2023 è aumentata più di quanto risulta a via XX Settembre. Se sarà confermato, bisognerà ammettere che le maggiori entrate ritenute permanenti non erano tali. E ridurre le imposte diventerà una missione ancora più ardua.



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