Da Damasco a Beirut, la diplomazia di Tajani per il rilancio economico

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Ci sono dei momenti in cui tutto cambia velocemente, bisogna saper leggere la realtà e intervenire. E bisogna avere alle spalle un sistema capace di attivarsi. Dal 7 ottobre 2023 con l’aggressione di Hamas fino alla caduta di Damasco, l’8 dicembre 2024, quella faglia critica che è il Medio Oriente vive una fase di riconfigurazione profonda e l’Italia non è stata colta impreparata, anzi, a differenza del 2011, si sta dimostrando molto proattiva e utile alla stabilizzazione che necessariamente segue il caos. La proiezione esterna nasce sempre dalla solidità interna. Grazie alla credibilità conquistata, in parallelo con il declino dell’asse franco-tedesco, l’Italia del governo Meloni sta dicendo la sua, con l’obiettivo di costituire una cornice per una pace duratura.

Il caso siriano

Innanzitutto, non era facile gestire il caso siriano. Nel volgere di pochi giorni, il regime di Assad, nonostante fosse puntellato dalla Russia e nonostante avesse riconquistato negli anni diverse posizioni, si è liquefatto. In anticipo – e in controtendenza – rispetto a tutti gli altri paesi, nel luglio scorso l’Italia aveva riaperto l’Ambasciata, chiusa oltre 10 anni prima. Circa un anno prima la Siria era stata riammessa nella Lega araba, ma ciò evidentemente non è bastato per sorreggere un regime tanto friabile e tanto inviso. La visita di Tajani a Damasco, nel corso della quale ha visitato anche un luogo di culto fondamentale come la Moschea degli Omayyadi, rappresenta una vistosa apertura di credito al nuovo governo di Al Jolani che cerca legittimazione e vede nella mano tesa dall’Italia un ponte per tutto l’Occidente. Proprio in tal senso, Erdoğan, sponsor nemmeno troppo nascosto del nuovo governo, ha fatto una richiesta esplicita all’Italia: far valere il suo peso per rimuovere le sanzioni economiche alla Siria nell’ottica di sostenere la stabilizzazione. Come annunciato dal ministro degli Interni turco, inoltre, in appena un mese già 50 mila siriani – una parte dei tantissimi accolti dalla Turchia – sono potuti tornare nella madrepatria. Insomma, il vecchio regime è caduto, c’è uno spazio per uscire dell’isolamento politico ed economico, fermo restando che bisogna tutelare i diritti essenziali, a partire da quelli delle minoranze, cristiane e non. Le parole di Erdoğan partono da una realtà. Italia e Turchia sono alleate de facto in Libia e nemmeno troppo velatamente in funzione anti-russa; in più, la Turchia è alle prese con un braccio di ferro con la Francia e l’Italia può servire. Paese giovane, con un sistema manifatturiero in crescita, un’industria tecnica di prim’ordine (lo conferma anche lo sviluppo dei droni), forte della sua tradizione e della religione come fattore unificante, la Turchia sta diventando il vero “organizer” della regione. E se due potenze come Italia e Turchia intensificano la sinergia strategica ci possono essere benefici per il Mediterraneo di Levante e non solo. Del resto, la NATO non può essere ovunque ed è meglio per gli Stati Uniti di avvalersi di alleati che hanno mostrato solidità e affidabilità, a partire dalla guerra in Ucraina.

Il Libano e la decapitazione di Hezbollah

Non finisce qui, però. La decapitazione di Hezbollah, organizzazione sia politica (presente in Parlamento) sia militare, ha inaugurato una fase nuova per il Libano, che merita di essere seguita e supportata. L’elezione del nuovo presidente della Repubblica libanese, Joseph Aoun, capo delle Forze armate (l’unico corpo della Repubblica che godeva di credito e rispetto), si sono sbloccate dopo uno stallo che si prolungava da due anni, posso essere il primo passo verso una difficile ma non impossibile ricostruzione. Sempre con il Ministro degli Esteri Antonio Tajani e il premier Meloni, l’Italia ha mostrato immediato supporto. Tra Tunisia, Libia e Siria, nel tormentato 2011 l’Italia perse larga parte delle sue posizioni costruite dal secondo Dopoguerra in poi nel Mediterraneo. Forte di una storia ininterrotta di cooperazione, può tornare da protagonista o, almeno, coprotagonista insieme alla Turchia come nuovo faro della “umma”, la comunità dei fedeli.

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Una cooperazione strutturale

Oltre alle lodevoli iniziative di questi giorni, sarà indispensabile ricostruire una cooperazione strutturale, riaprire canali economici verso l’Italia e l’Europa, favorire la stabilizzazione del fragile sistema monetario e bancario di Libano e Siria, supportarne lo sviluppo infrastrutturale (in Libano non ci sono ferrovie e il porto di Beirut) e industriale; allo stesso modo, questi paesi possono essere una “valvola di sfogo” per un export italiano in ripresa, nonostante il difficile contesto mondiale, e possono rappresentare una fonte di approvvigionamento di energia per rispondere alla scarsità e ai prezzi al rialzo. C’è molto da fare per la stabilità e la pace, ma ci sono le basi per fare bene.





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