Pensioni, il 2025 porta in dote il taglio dei coefficienti di conversione

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Dopo la parentesi del calo dell’aspettativa media di vita dell’epoca Covid, con il ritorno alla normalità e con una vita media attesa alla crescita, il 2025 porta in dote una riduzione dei coefficienti pensionistici, con il risultato che chi va in pensione nel 2025 avrà una pensione attesa sulla quota contributiva più bassa di chi è uscito nel 2024 a parità di montante contributivo.

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L’effetto dei nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo scattati il primo gennaio comporta che un lavoratore che vada in pensione a 67 anni moltiplicherà il suo montante per il 5,608% invece che per il 5,723% valido fino al 31 dicembre 2024. Secondo i calcoli della Cgil, per un lavoratore che guadagna a fine carriera circa 30.000 euro lordi e va in pensione dal 2025 con un montante contributivo di circa 300.000 euro, la pensione varrà il 2% in meno di quella del collega uscito con lo stesso montante contributivo nel 2024.

Secondo le simulazioni del sindacato, il lavoratore considerato avrà nel 2025 una pensione di 1.225 euro lordi al mese per 13 mensilità a fronte dei 1.250 euro al mese del collega con lo stesso montante uscito nel 2024. Questo significa una perdita lorda su una pensione di 1.250 euro di oltre 25 euro al mese per un totale di oltre 326 euro l’anno. Nell’intero periodo della pensione attesa di perderanno oltre 5.000 euro.

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I coefficienti di trasformazione vengono rivisti ogni due anni per tenere conto delle variazioni delle aspettative di vita. Più alta è la speranza di vita, più lungo sarà il periodo di erogazione delle pensioni e, di conseguenza, più bassi saranno i coefficienti. Dopo il temporaneo aumento del biennio 2023-2024, legato alla riduzione della speranza di vita per via degli effetti del Covid, i nuovi coefficienti tornano a calare per allinearsi alla tendenza storica. Questa revisione colpisce tutti i lavoratori che andranno in pensione dal 2025 in avanti e questo meccanismo perverso rischierà di impoverire sempre di più coloro che hanno tutta la posizione integralmente contributiva accumulata dopo il 1995.

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La Cgil denuncia da tempo l’iniquità di un sistema previdenziale che in caso di allungamento dell’aspettativa di vita, le ricadute sono doppie: si allunga il traguardo pensionistico e si abbassano i coefficienti di trasformazione.

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L’impatto è ancora più significativo per chi esce dopo i 67 anni (perché magari non ha raggiuto i 20 anni di contributi necessari). Uscendo a 70 anni con lo stesso montante contributivo chi va in pensione nel 2024 matura una pensione di quasi 1.397 euro al mese mentre chi va nel 2025 prende 1.367 euro al mese, 30 in meno per una perdita annua, su 13 mensilità, di 389 euro.

Penalizzati pure i lavoratori autonomi che sono iscritti alle casse previdenziali privatizzate, sulle quali oltre ai bassi coefficienti grava pure la cupidigia del fisco che falcia i rendimenti maturati ogni anno sul montante contributivo con una gabella del 26%, quando per i pensionati dell’Inps questo non accade, limitando il prelievo fiscale al solo atto dell’erogazione della prestazione pensionistica.

Da più parti si reclama la necessità di una migliore perequazione dei trattamenti pensionistici, specie per coloro che hanno una vita regolare di contribuzione pensionistica e, conseguentemente, fiscale rispetto a chi non ha mai versato contributi e tasse e che potrebbe vedersi portata la pensione minima dagli odierni 598 euro mensili a 1.000 euro, innescando una clamorosa e odiosa disparità di trattamento.

Intanto, da registrare che dal 1° gennaio sono scattati i mini aumenti delle pensioni legati all’inflazione. L’assegno pensionistico sarà rivalutato sulla base dello 0,8% dell’aumento dei prezzi calcolato dall’Istat. E’ previsto un aumento legato al recupero dell’inflazione dello 0,8% per le pensioni fino a quattro volte il minimo (100% dell’aumento dei prezzi registrato dall’Istat), ovvero per quelle fino a 2.394,44 euro lordi. Per le pensioni tra quattro e cinque volte il minimo il recupero sarà del 90% dello 0,8% (quindi dello 0,75%) mentre per quelle superiori a cinque volte il minimo si recupererà il 75% dell’aumento dei prezzi (quindi lo 0,6%).

 

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