Il leader di estrema destra chiarisce ai popolari «chi è il vincitore» prima di iniziare a negoziare. Il centrodestra lo preferisce ai socialdemocratici in nome di un’agenda a favore delle imprese
È stato proprio lui l’autore degli slogan più controversi pronunciati da Jörg Haider quando ancora la cooperazione tra il partito post nazista FPÖ e i Popolari (ÖVP) era agli esordi; ha scritto lui i più aspri comizi dell’estrema destra austriaca, decenni prima di arrivare lui stesso a negoziare un governo in Austria come si accinge a fare ora: per Herbert Kickl – che prima di guidare FPÖ e portarlo in cima ai consensi era anzitutto l’ideologo duro del partito – le parole sono importanti. Proprio per questo pesa anche i silenzi.
«Oppure elezioni»
Da quando il presidente della Repubblica, lunedì mattina, lo ha incaricato di tentare i negoziati per un governo coi Popolari, Kickl ha tenuto la bocca cucita per ore, sbottonandosi soltanto questo martedì pomeriggio alle tre per una calcolata dichiarazione alla stampa. Nessuna possibilità per i giornalisti di fare domande, perché le parole contano, certo, ma pure i silenzi pesano, e in linea con i suoi sodali delle destre estreme europee, pure il miglior amico di AfD nonché cofondatore viennese dei Patrioti per l’Europa – l’alleato di Viktor Orbán, Marine Le Pen e Matteo Salvini – manifesta una idiosincrasia verso i media, che tiene alla larga o persino accusa di cospirazione come fece quando era ministro degli Interni.
Tra un silenzio e l’altro, ha detto quanto basta per chiarire che ha una leva negoziale in mano: tenterà di fare un accordo coi Popolari, ma mantenendo sullo sfondo lo scenario elettorale, con lo spauracchio che il suo partito possa persino aumentare il sorpasso su ÖVP già visto il 29 settembre. «Niente trucchi» oppure si va «a elezioni», è il messaggio lanciato ai Popolari: che si ricordino «chi ha vinto le elezioni e chi è arrivato secondo e quindi non è vincitore»; tradotto: che ÖVP non pensi di restare il regista come è successo in passato (nel 2000 i Popolari erano solo terzi ma Wolfgang Schüssel ottenne dall’alleanza con Haider di fare il cancelliere, nel 2017 con Sebastian Kurz cancelliere erano effettivamente primi ma dopo lo scandalo Ibiza hanno fatto fuori Kickl dal ministero degli Interni). «Bisogna avere un certo livello di durezza verso se stessi e verso i propri partner».
Insomma la dichiarazione è già di fatto un ingresso nei negoziati e serve a definire gli equilibri. Il resto è malcelato senso di rivincita: Kickl ha accennato al fatto che dopo le elezioni avesse avvertito Alexander Van der Bellen – il presidente della Repubblica che all’epoca incaricò dei negoziati il popolare Karl Nehammer – che la faccenda non si sarebbe chiusa lì; e infatti negli ultimi giorni (dopo l’innesco offerto dai liberali) i popolari hanno rotto il dialogo coi socialdemocratici, aprendo a un tavolo con l’estrema destra. Kickl ha anche accennato al «passato interessante» di Christian Stocker: con due parole, ha ironizzato sull’ipocrisia di ÖVP, perché Stocker demonizzava Kickl prima di rimpiazzare Nehammer alla guida di ÖVP e aprire al negoziato con lui.
Cordone antisociale
Questo mercoledì verrà nominato un cancelliere ad interim per sostituire Nehammer, che decade venerdì; perché i negoziati tra estrema destra e Popolari si concretizzino in un governo, non serviranno settimane ma mesi (neppure i più fulminei precedenti hanno richiesto meno di un mese o due). Il collante dovrà essere l’economia. Sotto l’incubo di una procedura Ue per deficit eccessivo e – citando le parole scelte questo martedì da Kickl – di una «situazione economica minacciosa» alla quale far fronte, le destre di ogni sfumatura possono giustificare la propria cooperazione. Ma soprattutto, su questo piano i Popolari ritengono di avere molto più in comune coi post nazisti che coi socialdemocratici, per i quali la difesa della spesa pubblica è alla base di ogni dialogo e la tassazione dei patrimoni è un tema di cui discutere.
Il leader di SPÖ Andrea Babler dice di aver fatto di tutto per arrivare a un accordo che evitasse al paese l’estrema destra, ma Nehammer cita «la retorica della lotta di classe usata da Babler» e «la socialdemocrazia d’antan» sottintendendo che queste siano valide motivazioni per preferire l’estrema destra. Del resto le spinte e gli interessi degli imprenditori hanno svolto un ruolo chiave sia nell’uscita dei liberali dai negoziati (i neoliberisti di Neos volevano tagliare il welfare e posticipare l’età pensionabile) che nella rottura scelta dai Popolari verso i socialisti.
Casomai ci fossero stati ancora dubbi su questo, li fugano dichiarazioni come quella fatta nelle ultime ore dal presidente dell’Associazione industriali Georg Knill: «Per noi non importano i colori ma le posizioni»; «coi socialdemocratici era impossibile», ha detto, mostrandosi invece aperto verso l’estrema destra. L’importante per le imprese è che «il budget sia riformato solo dal lato delle spese»: tagli alla spesa pubblica, altro che tasse ai più ricchi. In nome di questo, sia il mondo imprenditoriale che i Popolari sono disposti a digerire l’estrema destra post nazista, con le sue posizioni filorusse e dichiaratamente orbaniane, con le uscite estremiste e identitarie, anti sistema e no mask di Kickl.
Ancora una volta in Europa, il populismo di estrema destra è ritenuto assimilabile purché consenta di portare avanti politiche neoliberiste anti sociali; lo fanno i Popolari austriaci con l’estrema destra del posto, ma pure il Ppe a livello europeo. E come si è visto di recente in Francia – con il rifiuto di Macron di tradurre in potere effettivo i consensi incassati dal Fronte popolare, ma la sua disponibilità a dialogare con Le Pen – il cordone sanitario è usato ormai contro la sinistra.
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